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Una nuova dieta mediatica: intervista a Giuseppe De Bellis (Sky TG24)

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Dall’impatto della pandemia e della guerra a quello dello smart working, l’informazione è cambiata. Ne parla Giuseppe De Bellis, direttore di Sky TG24. Questa intervista a firma di Emanuele Bevilacqua sarà disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022, in edicola e online dalla prossima settimana.

 

La pandemia e la guerra hanno segnato le nostre vite. Questi avvenimenti hanno comportato, per un canale all-news come Sky TG24, la necessità di rimodulare il mix dei contenuti. Come avete reagito?

Il fattore esterno – prima la pandemia, poi la guerra – ha giocato un ruolo cruciale nel percorso di evoluzione di Sky TG24. Quando sono diventato direttore nel 2019, Sky TG24 era una struttura che svolgeva il mestiere originario dell’all-news: essere la piattaforma più veloce e aggiornata del panorama dell’informazione. I competitor erano i siti. E la sfida era praticabile, perché i siti all’epoca erano scritti, mentre l’all-news aveva le immagini. L’arrivo dei social ha reso la competizione per la velocità non più praticabile. Non potevamo più essere un all-news tradizionale. Oggi non siamo più unicamente un canale tv, ma un brand editoriale che si muove su tutti i mezzi disponibili: tv, web, social. Con la stagione televisiva 2019/2020 siamo partiti con il nuovo palinsesto, fatto di approfondimenti, maggiore velocità, interviste in esterni e integrazione con il digitale. Dopo quattro mesi è arrivato Covid. Abbiamo dovuto cambiare rotta, ma abbiamo anche capito di poter fare cose che non pensavamo di poter fare. Un esempio? Ancora oggi siamo al 50% in smart working: abbiamo i giornalisti che fanno il coordinamento della regia fuori dalla regia, abbiamo fatto il tg da casa e abbiamo accettato l’imperfezione dei collegamenti fatti tramite Zoom, Google Meet, Skype e Teams. Queste piattaforme ci hanno aperto un mondo. Grazie ai collegamenti abbiamo la possibilità di fare l’intervista a Zelensky in tempi rapidi. Prima avremmo potuto farla in maniera tradizionale andando a Kiev. Inoltre, oggi riusciamo ad attrarre commentatori che farebbero fatica a interagire con noi da un punto di vista logistico. Il contenuto si è rafforzato, anche se la qualità produttiva è diminuita. Noi cerchiamo di migliorare la qualità produttiva arricchendo l’informazione con un apparato estetico. Abbiamo ristrutturato gli studi e configurato la realtà aumentata.

Si! Abbiamo visto gli studi nuovi. Splendidi. Cosa possiamo dire di aver imparato dal racconto di Covid e della guerra dal punto di vista della comunicazione?

Abbiamo imparato che bisogna rallentare. Il mestiere dell’all-news non è più arrivare prima, ma arrivare meglio. Oggi la dieta mediatica del pubblico è molto più variegata di prima. La sfida è quella di essere scelti per motivi di affidabilità, la gara ad arrivare per primi mette troppo a rischio la qualità. Inoltre, abbiamo imparato che ‘uno non vale uno’.  Tutte le opinioni sono legittime ma non tutte hanno lo stesso peso. Imparzialità non significa mettere allo stesso livello tutte le posizioni. L’autorevolezza nasce dalla consapevolezza di ‘fare challenge’ sulle opinioni degli altri. Bisogna essere competenti, e non solo dei mediatori tra opinioni e informazioni.

Diamo uno sguardo alle vostre aree tematiche. Come costruite i verticali?

L’idea di fondo è quella di sviluppare una verticalità su base tematica seguendo la spiegazione dei fenomeni che cambiano le nostre vite piuttosto che una verticalità fine a se stessa. Dare tanto spazio all’economia fa parte della nostra storia ed è coerente con l’interpretazione del mondo di oggi. Abbiamo raddoppiato gli spazi riservati all’economia e incrementato quelli dedicati agli esteri già da prima della guerra. Siamo infatti una testata che ha un forte orientamento internazionale. E gli esteri costituiscono una parte fondamentale del mio percorso. La politica è stata poi rilevante per il posizionamento di Sky TG24. Essere la casa dei confronti politici in stile americano, è stata una scelta fatta in continuità con le direzioni precedenti. Per quanto riguarda le tematiche più specifiche abbiamo scelto argomenti sui quali noi ci impegniamo a tornare, anche se il notiziario non lo prevede. Il primo è il cambiamento climatico. L’azienda è infatti molto impegnata nella divulgazione della crisi climatica e delle soluzioni necessarie per aiutare l’ambiente. Di conseguenza creiamo tantissimi contenuti quotidiani, come il format intitolato Impact. Un’altra area di interesse è l’innovazione, perché spiega come ci muoveremo o lavoreremo in futuro. A tal proposito abbiamo creato un programma settimanale: Progress.

La tv in genere, anche i canali più innovativi come il vostro, stanno perdendo una parte del pubblico giovanile. La permanenza dei giovani sulla televisione si va a concentrare su alcuni momenti specifici come lo spettacolo o lo sport. Con quali temi pensate si possa mantenere un pubblico fra i 18 e i 24 anni?

Nel mondo delle news televisive, noi abbiamo la fortuna di avere il pubblico più giovane. Anche in quel range 18-24 anni abbiamo più pubblico rispetto alla media. Siamo attenti a risultare interessanti per i giovani. Non è tanto una scelta di argomenti, ma piuttosto di linguaggio con cui tratti gli argomenti. In condizioni normali i giovani sono attratti da cose tipicamente generazionali. Su questo noi incidiamo poco, come tutti. Bisogna creare una confidenza con l’abitudine di consumo dei giovani, a partire dall’integrazione tra linguaggio tv e digital. Tutto ciò parlando delle notizie di cui ci occupiamo: guerra, Pnrr, Covid, clima. Temi come la diversità, l’inclusione, l’uguaglianza di genere fanno parte di un grande dibattito transgenerazionale e sono molto rilevanti per i ragazzi che hanno dai 15 anni in su. Riuscire a spiegare la politica usando filtri delle cose che interessano come la sostenibilità è un modo per tenere agganciati i giovani.

Da sempre c’è stato un certo turnover nella squadra dei conduttori di Sky TG24. Negli ultimi tempi sono tornati alcuni appuntamenti fissi, come quello del tg delle 20.

Sky TG24 ha dato maggiore rilevanza al brand piuttosto che al volto. Ho deciso di interrompere questo trend. In diverse parti della giornata – la mattina presto, le 13, le 20 e le 24 – abbiamo dei conduttori fissi. L’idea è quella di fidelizzare l’appuntamento orario attraverso un volto, mantenendo l’identità dinamica dell’all-news. A volte il conduttore è anche il miglior inviato. Esiste un punto di mediazione tra volontà di creare un appuntamento e questa tradizione di maggior dinamismo e interazione. I nostri studi sono ispirati all’idea della ‘casa di vetro’ e della trasparenza. Ci avviciniamo al pubblico attraverso l’integrazione tra lo studio, la redazione, la realtà aumentata e altri elementi tecnologici.

Abbiamo un problema di credibilità. Come è possibile filtrare le notizie, i commenti che contribuiscono ad alimentare il circolo della cattiva informazione?

Non esiste una ricetta. Oggi nessuno di noi può fare a meno delle piattaforme social, che sono il principale veicolo di fake news, commenti e costruzione di realtà alternative. Durante la pandemia sembrava che l’infodemia fosse causata dalle testate, quando invece era causata dall’enorme abuso del commento all’informazione fatta dai media. Non possiamo abbandonare quelle piattaforme social perché altrimenti rischiamo di peggiorare il problema. Dobbiamo accettare la situazione e combatterla minuto dopo minuto. Non bisogna cedere alla tentazione di voler piacere a tutti. È chiaro che noi viviamo grazie al pubblico. E prima il giudizio era lento, mentre oggi è istantaneo e molto spesso fatto solo da chi ti critica. Chi apprezza un contenuto non sente l’istinto di condividere. Dobbiamo mettere tutta la nostra energia e non accettare la logica di snaturarci per piacere a tutti.

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