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crypto arte

Nell’era che segue l’avvento di Bitcoin ed Ethereum una rivoluzione sta scuotendo il mercato dell’arte e i processi di produzione e vendita delle opere. Ne abbiamo parlato con Serena Tabacchi, esperta internazionale di crypto art. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022.

Arte e tecnologia non sono mai state così vicine. Gallerie e mostre virtuali, musei che vendono i propri capolavori in versione Nft e artisti digitali super quotati: la crypto arte non è più solo il sogno di un piccolo gruppo di visionari, ma realtà. Una realtà che produce ricchezza e che alimenta la speculazione degli investitori.

Il mercato dell’intelligenza artificiale è in forte crescita, anche in Italia. Secondo le stime di Assintel Report, osservatorio permanente sul mercato digitale di Confcommercio, nel nostro Paese passerà dagli 860 mln di euro del 2021 a 1,1 mld nel 2023. Mentre il valore complessivo del mercato high-tech nel 2020 ha raggiunto i 15,5 mld di euro. Di fronte a questi numeri non stupisce che anche il mondo dell’arte abbia iniziato a interessarsi a queste nuove tecnologie, trasformando radicalmente il processo di produzione, distribuzione e vendita delle opere. Ne abbiamo parlato con Serena Tabacchi, direttrice e cofondatrice del MoCDA, Museo d’Arte Contemporanea Digitale, curatrice e promotrice dell’educazione all’arte digitale e alle nuove tecnologie in Italia e all’estero.

L’Europa ha da poco superato il traguardo dei 100 mld di dollari di capitale investito in high-tech in un solo anno. In che modo l’arte contemporanea sta sfruttando l’esplosione dell’industria tecnologica?

L’arte è stata storicamente molto lontana dal mondo della tecnologia. A mio avviso, sono stati gli artisti ‘outsider’ e gli esperti di tech, prima delle aziende, a intravedere un’opportunità nella loro unione e a rivoluzionare il settore. Chi si occupa di tecnologia e di finanziamenti di un’industria è sempre alla ricerca di nuovi use case, al di fuori del mercato finanziario. L’industria del gaming e quella dell’arte si sono rivelate target privilegiati perché utilizzavano sistemi esclusivamente digitali, necessari affinché questi due linguaggi comunicassero. In breve il fenomeno è diventato di massa.

La tecnologia blockchain sta stravolgendo il mercato delle opere d’arte. Secondo lei si tratta di una rivoluzione che renderà il settore più democratico o ancora più elitario?

Inizialmente c’era una spinta alla democratizzazione e alla maggiore accessibilità. Ma lo scenario è mutato rapidamente: le opere d’arte hanno iniziato a costare più degli originali fisici e a diventare accessibili solo a chi poteva permettersele. Così l’arte è tornata a essere nuovamente elitaria. Oggi, però, il singolo acquirente ha in mano un potere molto più grande rispetto al passato.

Nel mercato dell’arte tradizionale, invece, il sistema è controllato da attori come le gallerie, che non lasciano spazio di manovra agli acquirenti. Non definirei quindi questo sistema più democratico di quello tradizionale, ma sicuramente più accessibile. Questo cambiamento presenta dei rischi: gli individui, anche restando anonimi, possono determinare le sorti del mercato. Prendi, ad esempio, Robbie Barrat: è stato uno dei primi a ‘mintare’ (processo di coniazione che permette ai dati di un Nft di essere inseriti su una blockchain, di solito Ethereum, ndr) su SupeRare, ma hanno speculato così tanto sulle sue opere da portarlo alla decisione di uscire dal mercato Nft.

Nel maggio del 2021 cinque opere digitali di Andy Warhol sono state vendute da Christie’s per oltre 3,3 mln di dollari. Il new media artist Golan Levin ha dichiarato che le opere vendute non corrisponderebbero alle originali, definendo il comportamento della casa d’aste inglese “imbarazzante”. Cosa pensa di questa vicenda?

Sono d’accordo con Levin. Ci sono tante operazioni nel real estate che non dovrebbero essere fatte per una questione di intellectual property. Un esempio è la vicenda del British Museum di Londra, che ha deciso di mettere in vendita alcune sue opere come Nft: metà dello staff è d’accordo perché vede in questa operazione un’opportunità economica in un momento di crisi del settore, l’altra metà vorrebbe sotterrarsi perché vede uno sfruttamento d’immagine con il quale non è d’accordo. È anche vero che esistono opere libere da copyright, quindi tecnicamente non c’è un divieto di riproduzione in Nft, ma il collezionista è consapevole del fatto che sta comprando un certificato di proprietà su un qualcosa di cui non possiede nulla: non ha l’opera d’arte fisica né un file, ha solo un diritto, e anche piuttosto ambiguo. Secondo me questo sistema funziona molto bene solo con l’arte digitale nativa, negli altri casi, come quello di Andy Warhol, si tratta di operazioni rischiose che per me non hanno molto senso.

 

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

crypto arte
Vittorio Bonapace, A.D. 2000 crucifixion, courtesy Dart Milano – Vittorio Bonapace

 

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