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Djokovic, più forte di tutti e di tutto

Chissà cosa avrà pensato il principino George di Cambridge (9 anni il prossimo 22 luglio) al suo debutto, seduto tra mamma e papà, nella prima fila del Royal Box di Wimbledon ignaro di assistere alla finale di una delle edizioni più contestate (e contestabili) del leggendario torneo londinese. Nonostante sole e caldo soffocante, il futuro Re – nel suo impeccabile abito blu con tanto di cravatta regimental – ha compostamente assistito, dalla posizione privilegiata che gli compete per rango, alle tre ore di giuoco consolidando, per l’eleganza e qualche innocente smorfia, la sua precoce carriera di star dei social.

Royal Box, Wimbledon
Foto ANSA

 

Il solo talento non può bastare

Al suo regal cospetto, in campo, si sono confrontate due visioni del tennis e della vita diametralmente opposte: quella (rigore e sacrificio) del trentacinquenne ex-numero 1 del ranking Atp Novak Djokovic, alla sua ottava finale sul Centre Court dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, e quella (genio e sregolatezza) del ventisettenne australiano Nick Kyrgios, alla prima finale in singolare in uno Slam. Mai, ne siamo certi, il giovane rampollo del casato di Windsor ha potuto sentire tante parolacce pronunciate in sua presenza da un suddito di Sua Maestà. Il talento dello scapestrato atleta di Canberra (vincitore in coppia con il connazionale Thanasi Kokkinakis del torneo di doppio degli Australian Open 2022) è tra i più puri tra i tennisti in attività tale da permettergli il raggiungimento di questi livelli di gioco anche senza un allenatore (poiché, a suo dire,”nessuno riuscirebbe a sopportarlo”) e senza una costanza negli allenamenti. Il solo talento non può bastare, nel tennis come nella vita. A vincere, per la settima volta, è stato ancora Nole (in quattro set: 4-6, 6-3, 6-4, 7-6).

Foto ANSA
Foto ANSA

Figli d’arte

Ad assistere alla vittoria del serbo, negli spalti laterali ma sempre in posizione invidiabile, c’era un altro figlio d’arte, Stefan, il primogenito di Djokovic e Jelena Ristic di 7 anni. Anche il piccolo erede al trono del tennis é salito agli onori della cronaca e dei social in queste settimane sfoggiando  un gran talento in allenamento con il padre e imitando il dritto di Nadal, di cui si dichiara grande tifoso, per “infastidirlo”. Esattamente lo stesso talento di un giovanissimo Novack quando si presentò abbigliato di tutto punto, a soli sei anni (era il 1993, l’anno in cui Pet Sampras vinse il primo dei suoi 7 Wimbledon), sui campi di giuoco della severissima allenatrice Jelena Gencic sui monti della località turistica di Kopaonik (di fronte al ristorante dei suoi genitori).

Il re dei re

Kyrgios non è quindi riuscito ad aggiungere il suo nome, di chiara origine greca, a quelli dei sei australiani capaci prima di lui di imporsi nel tempio del tennis moderno: il mitico Rod Laver, vincitore di quattro edizioni tra il 1951 e il 1969; John Newcombe, tre volte vincitore tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi dei ‘70; Lew Hoad e Roy Emerson, vincitori entrambi di due edizioni consecutive (‘56 e ‘57 il primo, ‘64 e ‘65 il secondo); Pat Cash, vincitore dell’edizione del 1987 in finale contro Ivan Lendl. Ultimo australiano ad alzare al cielo “The Gentlemen’s Singles Trophy” è stato Lleyton Hewitt al termine della finale del 2002 contro l’argentino David Nalbandian, l’ultima giocata da tennisti ‘normali’ prima dell’avvento dei Fab4.

Djokovic rimane imbattuto sull’erba del più prestigioso torneo del mondo da 5 anni. Sue le ultime quattro edizioni giocate di un torneo che, dal 1877, si è svolto tutti gli anni tranne che durante le due guerre mondiali e nel 2020 in conseguenza della pandemia di Covid-19. Imbattuto sul centrale dal 2013, quando perse in finale contro Andy Murray, l’ultima sconfitta del campionissimo di Belgrado a Wimbledon risale al lontano 12 luglio 2017 quando fu costretto al ritiro, nei quarti contro Tomas Berdych, da un infortunio muscolare. Fu quella anche l’ultima edizione vinta da Roger Federer che detiene il record di vittorie con 8 titoli.

Cosa sarebbe stato della carriera di Novak Djokovic, di per sé strepitosa, senza il Covid nessuno lo può sapere. Se è vero come è vero che con i se e con i ma non si fa la storia – neanche quella del tennis – probabilmente, se si fosse regolarmente svolta anche l’edizione 2020 di questo torneo, oggi Djokovic avrebbe eguagliato i record di Federer di tornei vinti (come detto, 8) e di vittorie consecutive (5) e quello di Nadal di Major conquistati (22). Con la finale di quest’anno Nole ha comunque incassato l’assegno di 2mln 353mila 273 euro (il 15% in più rispetto all’anno precedente per un montepremi record di oltre 46mln di euro) destinati in egual misura, dal 2007, ai vincitori del singolare maschile e di quello femminile, conquistato il record di finali dello Slam giocate (32) e superato il Re del tennis Roger Federer per numero di Major vinti raggiungendo quota 21.

Il più famoso dei No-Vax

A penalizzare il palmares del serbo non è stato soltanto l’annullamento del torneo di Wimbledon del 2020. Ancora più pesanti sono state le conseguenze, anche in termini di sponsorizzazioni, della sua irremovibile decisione di non vaccinarsi. La stessa decisione gli impedirà, ad oggi, di partecipare a fine agosto agli US Open e lo costringerà ad uscire dai primi dieci del ranking Atp.
Djokovic é tornato a sollevare il trofeo più ambito del tennis e lo ha fatto dopo un anno esatto di digiuno a livello Major, dopo aver fallito l’occasione di conquistare il Grande Slam perdendo in finale contro Medvedev gli US Open e al termine di una prima parte di stagione molto complessa. Il tennista serbo si è prima scontrato, in difesa dei ‘suoi’ principi, con le autorità australiane fino a farsi espellere dal torneo e dal continente per poi affrontare la difficoltà di recuperare la forma fisica e la tranquillità mentale necessarie a esprimere al meglio il proprio giuoco.

Unico trionfo dei primi sei mesi di quest’anno è stato il Master 1000 di Roma, torneo al quale alcune autorità e alcune vecchie glorie dello sport azzurro non avrebbero neanche voluto farlo partecipare, proprio poiché non vaccinato. “Sarei disposto a rinunciare ai tornei più importanti pur di restare fedele ai miei principi”, ha dichiarato più volte. “Avere la libertà di decidere cosa è meglio per il mio corpo è più importante di qualsiasi titolo o altro”.

Per Djokovic non ha minimamente il sapore della vendetta neanche l’aver sconfitto un australiano nella finale di Wimbledon: “Il mio rapporto con Kyrgios? Non so se posso già chiamarla amicizia, ma ora è migliore rispetto a quello che avevamo prima dello scorso gennaio” ha dichiarato prima della finale. “La situazione si è rivelata difficile per me in Australia, ma lui è stato uno dei pochi giocatori a difendermi pubblicamente. Ho apprezzato davvero quello che ha fatto per me. Non mi stancherò mai di dirgli grazie”.

Mentre a fine partita ha detto: “Mi riposerò per le prossime due settimane e sto aspettando qualche buona notizia dagli Stati Uniti perché ci terrei molto a giocarci. Se non arriveranno, non credo che andrò a raccogliere punti nei vari tornei anche perché la mia presenza alle Finals dovrebbe essere quasi certa. Speriamo che arrivi qualche buona notizia dagli Stati Uniti. Un’esenzione? Sì, potrebbe essere quella ma non credo che mi verrà concessa. Piuttosto che cada l’obbligo vaccinale per l’ingresso, come già successo in altri paesi. Vedremo, se succederà per tempo proverò andare allo US Open altrimenti giocherò in Laver Cup e in Coppa Davis. Amo giocare per il mio Paese”.

Niente punti, tanti soldi

A mutilare questa edizione di Wimbledon non è stato tanto il virus (che ha comunque impedito a Berrettini, finalista lo scorso anno, di partecipare perché positivo al suo arrivo a Londra) quanto l’improvvida scelta degli organizzatori di vietare il torneo agli atleti russi e bielorussi. La decisione, fortemente voluta da Downing Street, non ha certo portato fortuna al governo di Boris Johnson costretto – per ben più gravi motivi – alle dimissioni da Primo Ministro e da leader dei Tory prima della fine del torneo. Se uno dei motivi della decisione di bannare, tra gli altri, il numero 1 del ranking Atp Daniil Medvedev era evitare ai reali l’imbarazzo di dover premiare uno di loro, il problema è stato superato dall’ironia del fato e dall’eleganza della duchessa di Cambridge che non ha fatto una smorfia trovandosi sabato a premiare l’improbabile vincitrice del torneo femminile la moscovita Elena Rybakina, dal 2018 di passaporto kazako, che ha battuto in finale la tunisina Ons Jabeur, entrambe per la prima volta in finale in uno Slam.

Dopo aver conquistato il titolo, in conferenza stampa, la Rybakina alla domanda, chiara e diretta, della giornalista inglese: “Wimbledon quest’anno ha bannato tutti gli atleti russi per la paura in parte della propaganda di Vladimir Putin. Ovviamente tu sei kazaka, ma sei nata e cresciuta in Russia. Condanni la guerra e le azioni di Putin?” dopo aver in un primo momento dichiarato di non aver compreso il quesito ha ‘diplomaticamente’ risposto: “Scusa, il mio inglese non è dei migliori” (chapeau!). Del tutto “sproporzionata” è comunque apparsa, agli organizzatori (?) così come a molti giocatori (nessuno dei quali preventivamente interpellato), anche la risposta di Atp e Wta alle decisioni prese a Church Road. Le due associazioni hanno infatti deciso di non assegnare ai Championships punti per le loro classifiche.

“La possibilità per i giocatori di ogni nazionalità di partecipare ai tornei, basandosi sul merito e senza discriminazioni, è fondamentale per il circuito” è stata la motivazione ufficiale. In sostanza, non si capisce quale sia stata la ‘punizione’ per gli organizzatori del torneo mentre i veri penalizzati sono stati i giocatori che avevano raccolto punti importanti nel 2021 (Djokovic e Berrettini primi tra tutti) che si sono visti sottrare quelli dello scorso anno senza avere la possibilità di recuperarli. Kyrgios, non avrà, ad esempio, nessun vantaggio di classifica dell’ottimo risultato ottenuto. Che senso ha? Non sarebbe stato sufficiente non togliere i punti della passata edizione ai tennisti bannati? Trovare un modo per ‘penalizzare’ veramente gli organizzatori? Non siamo certamente nel 1973 e Andrea Gaudenzi non è Cliff Drydsale. I tempi sono cambiati e i ritmi sono frenetici. Il pensiero di tutti è già rivolto al prossimo torneo, al prossimo Slam, a Wimbledon 2023. D’altro canto, a gennaio, solo pochi mesi fa, Djokovic era il male assoluto, un autolesionista no-vax, oggi è il Re dei Re (del tennis).

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