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Riforme, parla Cassese: Italia, una democrazia in mano ad oligarchi di partito

Sabino Cassese Fortune Italia

Sabino Cassese è uno di quei giuristi italiani raffinati e competenti che amano parlare e scrivere di riforme istituzionali solo se e quando ritengono ci sia qualcosa da dire rispetto a proposte chiare di ridisegno di assetti istituzionali messi in campo dalla politica. Nella sua vita ha sempre servito lo Stato come giudice emerito della Corte Costituzionale, professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, ministro della Funzione Pubblica del governo Ciampi e tanti altri incarichi pubblici che ha assolto con onore e disciplina al servizio delle istituzioni.

Quando gli abbiamo proposto una intervista su riforme istituzionali, dibattito elettorale in atto, diserzione delle urne, sfiducia al governo Draghi, non si è sottratto. Si è solo voluto assicurare che volessimo fare un ragionamento serio sul difficile momento che vive l’Italia e non cercassimo un titolo a effetto per il giornale. E ha quindi risposto a tutte le domande di Fortune Italia.

Professor Cassese, nel dibattito elettorale di queste settimane ha tenuto banco la riforma in senso presidenziale avanzata da Fratelli dItalia. Non è una novità questa proposta, è stata più volte argomento anche di scontro politico duro, sin dai tempi delle Commissioni bicamerali per le riforme negli anni 90. Il nostro Paese è pronto a passare da una Repubblica parlamentare a una di tipo presidenziale? E in caso di affermazione forte dello schieramento di centrodestra, lei non crede che i ‘vincitori’ debbano comunque evitare di ridisegnare larchitettura costituzionale del Paese da soli?

Il passaggio da lei evocato richiede, innanzitutto, di chiarire a quale tipo di Repubblica presidenziale si aspira. Infatti, esistono non meno di una decina di tipi di repubbliche presidenziali. Alcune repubbliche presidenziali prevedono un presidente eletto dal popolo, ma con poteri esclusivamente di arbitrato e rappresentativi. Altri tipi un presidente eletto dal popolo, con poteri che riguardano la difesa e la politica estera. Altri ancora, con elezione popolare del presidente e poteri estesi a tutte le materie. Poi vi sono le differenze che riguardano il peso dell’organo rappresentativo, il Parlamento, che in alcuni casi è maggiore, in altri è minore. In mezzo, c’è il governo, che in alcuni casi risponde esclusivamente al Parlamento, in altri risponde esclusivamente al Presidente. Come vede, bisogna fare molte scelte. Poi, c’è il problema delle istituzioni connesse; come è stato più volte detto, non basta introdurre l’istituto presidenziale e disinteressarsi del resto. Chi sceglierà 5 dei 15 giudici della Corte costituzionale? Chi avrà il potere di rinvio delle leggi al Parlamento? Chi presiederà il Consiglio superiore della Magistratura? Tutto questo richiede che la modifica costituzionale abbia un consenso largo, non limitato alla mera maggioranza parlamentare. Questo, d’altra parte, è previsto dalla Costituzione.

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Professore da troppi anni assistiamo a una progressiva diserzione degli elettori dalle urne. È probabile che anche questa volta il partito del non voto sarà quello che otterrà più ‘consensi’. È un fenomeno fisiologico delle democrazie occidentali o è una patologia della nostra democrazia ?

Il crescente numero di persone che non si recano alle urne a votare è fenomeno di tutte le democrazie contemporanee. É più vistoso in Italia perché eravamo partiti da percentuali molto alte di partecipazione al voto, leggermente superiori al 90% degli aventi diritto al voto. Ora anche in Italia circa 1/3 dell’elettorato non va a votare, e i numeri sono crescenti. Coloro che si astengono si possono dividere in tre categorie. Vi sono quelli che sono indecisi e quindi non si recano alle urne. Vi sono quelli che rifiutano l’intero assetto o sistema politico costituzionale e si astengono dal voto per protesta. Vi sono, infine, anche quelli che non hanno nulla da dire perché sono soddisfatti del sistema politico costituzionale e degli orientamenti prevalenti. Quindi, l’astensione dal voto ha significati diversi.

Altro argomento legato alla bassa affluenza alle urne è il disinteresse dei giovani rispetto al rito più importante di una democrazia: il voto! Perché i giovani non sono interessati? Perché decidono che è inutile andare a votare?

Il problema dei giovani è molto complesso. Riguarda, innanzitutto, la crisi dei partiti. Questi non sono più grandi organizzazioni sociali, nelle quali si formava la cultura politica e in cui giovani e meno giovani si incontravano e discutevano. C’è, poi, il digital divide che è spesso un enorme vallo tra le generazioni. C’è, infine, l’incapacità delle forze politiche di prospettare ai giovani quelle che Mazzini chiamava le speranze dell’avvenire.

cassese

Andiamo a votare un nuovo Parlamento che ha subìto il taglio di un terzo di deputati e senatori. Questo taglio secondo lei cambia il rapporto tra elettori ed eletti?

Non credo che la diminuzione di circa 1/3 dei parlamentari cambi la struttura della rappresentanza. Muta i rapporti di rappresentanza in alcune parti o regioni dove la riduzione dei parlamentari, per le dimensioni della regione o della circoscrizione, limita la presenza dei partiti minori.

A ogni tornata elettorale c’è la consueta polemica sulla scelta dei candidati, sulla qualità della classe dirigente e sui cosiddetti nominati o catapultati dall’alto in collegi dove saranno sicuramente eletti perché vicini al capo di questa o di quella forza politica. È colpa dell’attuale legge elettorale che favorirebbe queste cooptazioni di nuovi parlamentari sulla base della fedeltà ai capi di partito o è semplicemente malcostume politico italico? O è l’una e l’altra cosa?

Andrei alla radice, che sta nella crisi dei partiti. L’articolo 49 della Costituzione configura i partiti come associazioni. Ma quelli attuali non sono più associazioni, bensì soltanto comitati elettorali, composti da feudatari che si raccolgono intorno a un cosiddetto leader. Se, quindi, nella politica diminuisce di importanza la fase ascendente, (dalla società al partito), rimane la fase discendente (dal partito alla società) e quindi si capisce che i candidati siano ‘paracadutati’. A questo si aggiunge la legge elettorale, cioè la legge Rosato del 2017, che è un singolare strumento democratico con una fortissima componente oligarchica, che si può notare nella assenza di preferenze, nelle liste bloccate, nell’impossibilità di voto disgiunto.

draghi governo

A suo parere è stato un errore far cadere il Governo Draghi in una fase difficile della storia del Paese e dell’Europa con una pandemia ancora in corso ed una guerra nel cuore dell’Europa?

È stato un grande errore per due motivi. Il primo è che il governo Draghi stava facendo bene. Il secondo è che non aveva spiegazioni funzionali lo scioglimento delle camere pochi mesi prima della loro fine naturale. Bisognava andare avanti, fino all’inizio del 2023.

Che cosa non riesce davvero a digerire della campagna elettorale in corso: le promesse mirabolanti che non potranno essere mantenute per via della finanza pubblica esangue o le forze politiche che si accapigliano su cose futili ma non discutono di temi come giustizia, fisco, scuola, università, ricerca scientifica, giovani… ?

I motivi di insoddisfazione sono molti. Programmi elettorali scritti a tavolino o commissionati. Attenzione al quotidiano, al contingente, senza prospettazione del futuro. Difetto di realismo e incapacità di imparare la lezione dell’esperienza fatta con la pandemia, la guerra e ora la crisi energetica. La conseguenza è che andiamo a votare uomini, non programmi, né idealità, né progetti.

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