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Export made in Italy da record, ma è grazie ai prezzi

export commercio coronavirus

L’intramontabile ‘forza del Made in Italy’, così adatta alla retorica, in contesti di crisi può rivelarsi vitale. E a meno di peggioramenti nello scenario geopolitico, nel 2022 e nel 2023 sarà proprio così, nonostante gli shock economici affrontati dalle imprese. “Nei primi sei mesi del 2022 le nostre esportazioni sono cresciute del 22,5%”, racconta a Fortune Italia Alessandra Ricci, amministratore delegato di Sace, che nelle sue stime sull’export di quest’anno parla di una crescita del 10% per l’Italia.

Nel suo ultimo report, il gruppo specializzato nel sostegno alle imprese rivela numeri positivi anche nel 2023 (+5%, circa 600 mld di euro di valore) e una quota di mercato a livello mondiale che “rimarrà pressoché invariata”. Ma nei dati va tenuto in considerazione il peso dell’inflazione: cresce il valore dell’export perché salgono i prezzi, molto più dei volumi delle merci esportate.

alessandra ricci Ad Sace
Alessandra Ricci, Ad di Sace

Prezzi da record = Export da record

Non è un caso se le esportazioni italiane a luglio 2022 hanno segnato un nuovo record storico, a 57,8 miliardi di euro, sulla spinta dell’inflazione. A comunicare la cifra è stato l’Istat, che non ha mai registrato un dato superiore (dal 1991, anno in cui si è iniziato a registrarlo). Una crescita dell’export in valore (+18% rispetto a luglio 2021), che però vede anche un calo del volume del 4%. Nell’insieme dei primi 7 mesi del 2022, il risultato è una crescita in valore del 21,8% e un aumento in volume limitato allo 0,9%.

Secondo Sace a fine anno quell’aumento dei volumi arriverà a un 2,6%. Meglio, ma sicuramente un andamento sottotono rispetto a quello dei prezzi spinti dall’inflazione. Eppure, sostengono da Sace, usciremo dal prossimo biennio con un Made in Italy che, ancora una volta, sarà riuscito a mantenere la sua quota sui mercati internazionali.

L’Ad di Sace sottolinea, in particolare, il confronto con i nostri tradizionali concorrenti in Europa. “L’export italiano ha senza dubbio due punti di forza trainanti: le nostre imprese e l’eccellenza del Made in Italy. La qualità dei prodotti, la diversificazione delle destinazioni, l’innovazione e la capacità di guardare avanti, a cui si aggiunge una resilienza tipica delle aziende italiane che, nonostante il contesto estremamente fluido e complesso, sapranno anche con il nostro supporto intercettare le opportunità offerte dai mercati esteri”, dice Ricci.

“Tutto questo si riflette nei numeri. Nei primi sei mesi del 2022 le nostre esportazioni sono cresciute del 22,5%, una performance importante, che ci rende orgogliosi anche nel confronto con i principali player europei. Le nostre vendite oltreoceano, infatti, crescono al di sopra di quelle della Germania e della Francia, che sono i nostri principali concorrenti e che si attestano rispettivamente su un +13%, e un +19,4%, e solo leggermente al di sotto rispetto alla Spagna (+24,3%)”.

Eppure, i numeri raccontano anche le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina: l’export italiano sarà una risorsa preziosa, ma sarà decisamente più costoso. L’aumento del 10,3% del valore delle esportazioni del 2022 sarà spinto in larga parte dal fattore prezzo, più che dal volume, “che esprimerà invece solo un +2,6%”, si legge nel rapporto Sace.

Successivamente, nel 2023, secondo lo scenario base utilizzato da Sace per il report, “le tensioni sui costi dovrebbero ridursi e i trend legati a valori e volumi dell’export convergeranno con una crescita rispettivamente del 5% e del 4%, mentre il nostro export raggiungerà i 600 miliardi di euro, consentendo all’Italia, ottavo Paese esportatore nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello globale, pari al 2,7%”.

Nel 2023 le percentuali miglioreranno: scenderà quella relativa al valore (+5%), a fronte di un +4% in volume.

Migliorano poi le esportazioni italiane di servizi: +19,9%, con un ritorno “pressoché ai livelli pre-Covid dopo il rimbalzo incompleto dello scorso anno, grazie soprattutto al comparto del turismo che rappresenta il 9,1% del nostro Pil. Il buon andamento proseguirà anche nel 2023 a un ritmo del 9,8%, che permetterà di superare i livelli del 2019”.

I tre scenari di Sace

Il report di Sace prende in considerazione tre scenari diversi. I numeri elencati sopra appartengono a quello di base, che poggia su una “lenta e progressiva risoluzione del conflitto nel corso del prossimo anno”.

Secondo lo scenario ‘peggiore’, elaborato sulle ipotesi di “continuazione e intensificazione nel tempo del conflitto, la cui probabilità di accadimento sta gradualmente aumentando”, le nostre esportazioni crescerebbero quest’anno a un tasso del 9,1% (-1,2 punti percentuali rispetto allo scenario base) e registrerebbero un incremento solo di poco superiore allo zero nel 2023 (+0,5%; -4,5 p.p. rispetto al baseline).  

Nello scenario migliore, invece, con una risoluzione del conflitto in tempi più brevi, “l’allentamento delle distorsioni sul mercato energetico e il conseguente calo delle pressioni inflazionistiche aprirebbero a una ‘ripresa post-conflitto’ nel corso del prossimo anno, con benefici per imprese e famiglie: l’export italiano di beni crescerebbe dell’11% nell’anno in corso (+0,7 p.p. rispetto al baseline) e dell’8,3% nel 2023 (+3,4 p.p.) per poi tornare in linea con lo scenario base nel biennio successivo”.

I settori che vanno meglio

Tornando allo scenario di base, nonostante le difficoltà secondo Sace ci sono dinamiche positive per settori come metalli, chimica e meccanica strumentale, anche grazie ai piani pubblici di investimento e di transizione energetica che stanno attuando diversi mercati tra i quali Stati Uniti, Spagna, Emirati Arabi Uniti e India. Nonostante il rincaro dei processi produttivi lungo tutta la filiera, nel 2022-2023 proseguirà la buona performance dell’agroalimentare, che già dall’anno scorso sta beneficiando anche della ripartenza del turismo.

A soffrire l’inflazione e il calo del potere d’acquisto delle imprese e delle famiglie più in difficoltà saranno i beni di consumo, come ad esempio la gioielleria e i prodotti in pelle.

Tra incertezza geopolitica, caro prezzi e interruzione delle catene di fornitura, il mondo sta affrontando “sfide globali e cambiamenti molto spesso repentini”, dice l’Ad di Sace. “In questo contesto di rischi le imprese hanno bisogno di qualcuno accanto che le possa accompagnare nel valutarli e nel gestirli. Noi del Gruppo Sace siamo qui per questo”, con una “vera e propria ‘cassetta degli attrezzi’ a cui le aziende possono attingere per prepararsi e affrontare ogni fase dei propri progetti di sviluppo internazionale. Un’offerta che recentemente è stata rafforzata anche da nuovi strumenti per sostenere la liquidità, gli investimenti per la competitività e la transizione verso una economia più pulita, circolare e sostenibile nell’ambito del Green New Deal, a partire dal mercato domestico. Abbiamo tutte le risorse, gli strumenti e le competenze per affrontare – insieme alle imprese – le sfide sui mercati internazionali, tenendo alta la bandiera dell’export italiano”.

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