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Il sindaco di Napoli Manfredi: “Crisi energetica e povertà, un mix esplosivo”

gaetano manfredi sindaco napoli

Saranno mesi difficili. La situazione delle famiglie è difficile. Il costo delle bollette è insostenibile. Non se la passano meglio gli enti locali, i comuni, che ogni anno si vedono tagliare fondi e trasferire nuove funzioni dal Governo. Di questi e altri temi, come la povertà, il lavoro che non c’è, la necessità di aiutare economicamente Napoli e la sua sterminata e popolosa area metropolitana, abbiamo parlato col sindaco di Napoli Gaetano Manfredi.

Sindaco Manfredi, siamo in una situazione di finanza pubblica difficile, resa se possibile ancor più complicata dalla pandemia e dalla guerra russa in Ucraina, che ha creato problemi enormi sotto il profilo energetico. Come si fa a gestire una metropoli come Napoli che già aveva problemi seri di finanza locale?

Oggi gestire le città e soprattutto le grandi aree metropolitane è la vera sfida che noi abbiamo davanti, perché c’è sempre più richiesta di servizi, che costano sempre di più. L’effetto della crisi energetica noi lo misuriamo sull’incremento delle bollette, anche per l’illuminazione pubblica, per le scuole, per l’azienda dei trasporti e per l’azienda dei rifiuti. E poi aumenta la povertà, perché chiaramente la spinta inflattiva riduce la capacità d’acquisto delle persone. E in una città come Napoli, in cui il tema della povertà è ancora centrale, questo diventa ancora più drammatico. La somma di tutti questi aspetti diventa un mix esplosivo. Credo che oggi ci sia una grande difficoltà nel gestire le grandi aree metropolitane, che rappresentano il luogo della sfida, della complessità dei tempi moderni e noi corriamo il rischio di avere grandi tensioni sociali, perché laddove non c’è più la capacità di dare una risposta ai bisogni primari delle persone, è chiaro che aumenta la rabbia sociale, il malcontento, la richiesta di un cambiamento, e questo spinge ad una crisi della coesione sociale, il che diventa un tema fondamentale. Non mi sembra che ci sia grande attenzione sulle città, questo è un tema reale. Non c’è una percezione da parte della politica centrale di come l’amministrazione delle città rappresenti la vera risposta ai bisogni dei cittadini.

Lei viene dal mondo universitario, non è un politico di professione, per cui immagino avrà avuto qualche difficoltà a comprendere certi meccanismi della politica. Riesce a spiegarsi la solitudine che sta vivendo in questo momento lei che, oltre ad amministrare la città di Napoli, ha anche un’area metropolitana di oltre tre milioni di italiani, con pochi soldi e con la prospettiva di averne ancora meno?

Io vengo da un mondo diverso, anche se sono stato il rettore della più grande università del Mezzogiorno; è una piccola città nella città. In fondo la Federico II conta quasi diecimila dipendenti, più di centomila studenti. Per me è stata una palestra importante, perché aveva in sé tutta una serie di problematiche, di criticità, di opportunità che in fondo nella città vengono amplificate. C’è una grande solitudine perché sono state fatte delle scelte da parte degli ultimi governi, dalla crisi del 2008 in poi, che hanno molto penalizzato nei trasferimenti le città. C’è stato meno trasferimento finanziario, più trasferimento di funzioni e di servizi, e questo ha determinato, col federalismo fiscale, molto più ricorso al finanziamento tramite la leva fiscale, che ovviamente per le città è molto difficile da gestire: c’è il problema dell’evasione, della povertà; chiaramente chi è povero ha difficoltà a pagare o non può pagare. E quindi alla fine c’è questo grande paradosso: i sindaci, che sono un po’ il baluardo della risposta ai problemi delle persone, sono quelli che poi in questo sistema istituzionale sono i più soli. L’ho anche ricordato recentemente, quando si parla di autonomia differenziata: qua si parla tanto delle Regioni, ma poi non si parla mai dei Comuni e delle grandi aree metropolitane. Le tre grandi aree metropolitane, di Roma, Milano e Napoli, hanno più di dieci milioni di abitanti; rappresentano un pezzo fondamentale del Paese, hanno pochi poteri, poca autonomia, poche risorse e grandi responsabilità e questo credo che sia veramente uno dei temi politici fondamentali. Del resto se guardiamo a ciò che sta accadendo in Europa, tutte le grandi aree metropolitane, come Parigi o Londra, hanno delle strutture amministrative particolari, con più autonomia e molte più risorse, proprio perché c’è la percezione chiara che in queste aree metropolitane ci sono le grandi criticità, a cui gli Stati devono dare una risposta.

Manfredi, come si spiega questo ricorso alla Regione, che è un’operazione di ingegneria istituzionale recente, in un Paese che è poi l’Italia dei Comuni?

Questo è un po’ un paradosso. C’è stata una grande spinta sul regionalismo, che è poi una costruzione del dopoguerra, giovane. Le Regioni hanno poi questo paradosso, che sono nate come ente programmatorio per poi diventare anche ente gestionale. La riforma delle Province non ha aiutato, perchè chiaramente sono state smontate le Province, trasferendo tutte le funzioni alle aree metropolitane, senza poi completare tutto il percorso istituzionale, e l’Italia dei Comuni si è trovata con i Comuni senza soldi e senza poteri. Io credo che questo sia anche uno dei motivi della crisi della rappresentanza democratica in Italia. Se tante persone sono scontente della politica, deriva anche dal fatto che i servizi di prossimità, la gestione della quotidianità, è scadente. Alla fine il cittadino comune non segue i grandi principi della politica, ma scende di casa e vede se passa l’autobus, se la strada è pulita, se la scuola dei figli è in ordine. Purtroppo questi sono servizi che vengono garantiti con difficoltà dai Comuni. Abbiamo molti Comuni italiani che sono in dissesto o in pre-dissesto. Alla fine questo porta nel cittadino medio la disaffezione verso la politica, la protesta, il cittadino non va a votare perché vede che la sua quotidianità non riceve mai una risposta concreta.

C’è un’intelligenza comune coi sindaci di Roma e Milano per porre questi problemi comuni al Governo centrale?

Noi ci sentiamo con continuità con Gualtieri e Sala, sindaci delle due aree metropolitane grandi, come Napoli, ma anche con i sindaci delle aree metropolitane più piccole. E anche a Draghi in persona abbiamo posto questo tema, sulla necessità di norme speciali per le grandi aree metropolitane. Abbiamo portato avanti questo tema anche nel Pnrr, che ha avuto solamente in pochi casi un’interlocuzione diretta con le aree metropolitane, che poi sono quelle che pianificano anche tutta una serie di interventi fondamentali. Il sistema dei trasporti, per esempio, in un area metropolitana è fondamentale, perché sono aree ad alta intensità abitativa, dove la frequenza dei trasporti non è quella di una zona normale del Paese. C’è stato interesse e anche qualche intervento, però non sufficiente rispetto alle problematiche. Un altro tema che è anche molto importante è il rapporto con l’Europa, nel senso che oggi le politiche di coesione sono politiche essenzialmente gestite dalle Regioni, però l’Europa s’è resa conto della necessità di interlocuzione anche con le aree metropolitane. Nel nuovo programma di sostegno comunitario c’è più spazio per il PON Metro, con molto più finanziamento. È logico che ci siano risorse destinate direttamente alle aree metropolitane e che non passino per le Regioni, perché quello diventa solamente uno strumento di appesantimento burocratico. Questo tema credo debba essere al centro dell’agenda politica italiana ed europea.

Questo vale sia per i fondi comunitari ordinari che per il Pnrr?

Sì. Anche per il Pnrr noi abbiamo avuto sui trasporti un finanziamento straordinario per la mobilità elettrica. Sul tema degli autobus elettrici abbiamo costituito un consorzio tra Roma, Milano e Napoli per comprarli insieme. È naturale che questa politica venga gestita dalle tre aree metropolitane che hanno dieci milioni di abitanti e gestiscono migliaia di autobus.

Con l’acquisto comune degli autobus spuntate sicuramente un prezzo migliore.

Sì. Abbiamo poi una parte tecnica che viene fatta in comune, confrontiamo le esperienze e le difficoltà delle diverse città. Un ragionamento analogo lo stiamo facendo sul tema delle metropolitane, ma anche sul tema della rigenerazione urbana. Il tema delle grandi periferie è un tema di tutte le città ma estremamente significativo nelle periferie delle aree metropolitane. Se pensiamo alla periferia di Napoli, a Scampia, o alle periferie di Milano e Roma, i problemi sono molto simili. E quindi fare delle politiche comuni, avere dei finanziamenti mirati, lavorare in una direzione per avere un progetto per le aree metropolitane, rappresenta dal mio punto di vista una strada fondamentale per dare un po’ delle risposte alla marginalità sociale. È questo un tema sul quale con gli altri sindaci c’è grande sintonia e idee comuni condivise. Speriamo che anche col nuovo Governo si riesca ad intavolare un discorso in questa direzione.

Le chiederei se si trova in difficoltà come amministratore di un grande Comune in un Paese dove c’è grande discussione sull’autonomia differenziata ma pare che siano scomparse le parole Sud e questione meridionale.

L’ho sottolineato anche in alcuni interventi che ho fatto. Devo dire che sono molto perplesso e anche preoccupato di un Paese che non affronta il tema dei divari. Oggi la vera sfida dell’Italia è il superamento dei divari, in primo luogo quelli territoriali. Abbiamo il grande tema del Sud, ma abbiamo tanti Sud: anche nelle aree del Centro e del Nord abbiamo tante zone che hanno marginalità economiche. Ci sono poi i divari generazionali, i divari di genere. Sono molto preoccupato perché qualsiasi analisi economica che viene fatta, ci dice che la crescita dei divari rappresenta il fattore determinante per la non capacità dell’Italia di crescere economicamente. L’Italia non cresce, cioè, perché è un Paese con troppe differenze. Solamente riducendo tali differenze può crescere di più. Infatti il Pnrr è nato con l’obiettivo di ridurre i divari, perché l’Europa è consapevole che il vero tema è questo. Invece in Italia non se ne parla; sembra quasi che parlare di Mezzogiorno sia perder tempo, che i soldi che si danno al Sud son soldi buttati. In realtà se noi vogliamo far crescere il Pil, dove deve crescere è proprio al Sud. Questo veramente mi lascia perplesso e mi preoccupa molto perché significa che il nostro è un Paese che non vuole investire su sé stesso, in cui essenzialmente si difendono le rendite di posizione e ci si accontenta di un immobilismo che però significa poi un progressivo degrado del Paese. Sono convinto che questo sarà uno dei temi fondamentali con cui ci dovremo scontrare; che non se ne parli in campagna elettorale mi preoccupa molto e significa anche che la rappresentanza politica del Mezzogiorno evidentemente non è capace di far sentire la propria voce.

Lei è preoccupato anche per la rappresentanza territoriale della classe politica? Avrà letto i candidati in Campania per le Politiche.

Credo che il caso della Campania sia un po’ un esempio di quello che è il tema del Paese. Noi abbiamo una legge elettorale che per come è stata costruita, combinata con la riduzione dei parlamentari, praticamente azzera la rappresentanza territoriale. Abbiamo persone di altre Regioni che si candidano in Campania, come abbiamo campani in Basilicata o in Puglia, o abbiamo romani che vanno in Veneto. Quando noi stacchiamo la rappresentanza territoriale dai luoghi, questo è un altro fattore che porta alla disaffezione per la politica. Poi c’è un tema. In un Paese dove portare le istanze del territorio è importante, alla fine chi viene eletto in un determinato collegio, rappresenterà il proprio collegio d’elezione o quello di residenza o di attività politica? Possiamo avere un grande paradosso, cioè che chi viene eletto in Sicilia, Puglia o Campania, ad un certo punto potrebbe votare per l’autonomia differenziata, ad esempio, perché lui è lombardo o veneto. Credo che noi abbiamo bisogno di una riforma elettorale che faccia ritornare la rappresentanza dei territori, il radicamento territoriale, il collegamento tra territori e rappresentanti a Roma.

Napoli è una città che rappresenta un’occasione per l’intero Paese se si riesce a riportarla a certi livelli. Qual è la prima cosa che chiederà al Governo che nascerà?

Quello che chiederò è che Napoli venga trattata alla stregua delle altre grandi città d’Italia. Non possiamo negare che Napoli, anche per responsabilità dei napoletani e della classe dirigente napoletana, negli ultimi anni ai tavoli importanti non s’è mai seduta. Ci sono stati grandi investimenti e progetti sulle altre grandi città d’Italia, su Napoli abbiamo avuto veramente poco. Faccio due esempi banali. Milano le Olimpiadi, Roma il Giubileo, Napoli non ha avuto un grande evento con un grande finanziamento. Io credo che ci siano due leve su cui Napoli può far molto. Da un lato il tema della creatività; Napoli è una città fortemente creativa e la creatività oggi è anche economia e quindi avere la possibilità di mettere Napoli al centro dei grandi circuiti internazionali della creatività significa dare una soggettività importante alla nostra città. E poi i temi dell’innovazione. Napoli spesso viene descritta come una città un po’ oleografica, tradizionale. Ma è una città fortemente innovativa, con grandi Università e centri di ricerca, anche imprese innovative. Io credo che mettere insieme creatività e innovazione può essere per Napoli una grande occasione. Però per far questo servono degli investimenti importanti e ci vuole anche un intervento straordinario a livello europeo che dia questa prospettiva a una Napoli che ha una sua grande tradizione ma che guarda con forza al futuro.

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