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Il dilemma europeo su Internet: tassare o non tassare le Big Tech

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Tassare o non tassare le Big Tech per contribuire allo sviluppo delle reti ultraveloci europee?  È questa la questione che rimbalza nelle ultime settimane sul tema del coinvestimento delle Ott sui costi della rete e che è rimasta un po’ sotto traccia.

Tuttavia nelle ultime settimane ha iniziato a investire la sfera politica, soprattutto dopo l’annuncio di Thierry Breton, commissario al Mercato interno. Breton ha confermato l’intenzione della Commissione di presentare il Connectivity Infrastructure Act entro i primi mesi del 2023.

Non poteva essere altrimenti, anche alla luce del Discorso sullo Stato dell’Unione del 14 settembre scorso in cui Ursula Von der Leyen, tra le altre cose, ha affermato che l’Ue guarda con molto interesse allo sviluppo del metaverso e alle opportunità che potrà offrire allo sviluppo dell’economia digitale europea.

Come rilevato dallo stesso Breton, infatti, la creazione e diffusione di spazi virtuali pone la necessità di ripensare la regolamentazione di settore, poiché se è vero che promettono di offrire nuove opportunità di interazione e una versione tridimensionale e più immersiva di Internet, è ancor più vero che questo tipo di tecnologia richiederà un uso massiccio di dati.

Tali prospettive contrastano con il contesto in cui si sviluppa il settore che negli ultimi anni ha incontrato notevoli difficoltà derivanti da continui (e quanto mai necessari) investimenti a cui non sono seguiti adeguati ritorni, determinando, come naturale risultato, un sovraindebitamento delle aziende di telecomunicazioni e una contrazione della capacità di tenuta dell’intero comparto.

Una situazione aggravata dall’attuale contesto globale e che minaccia il programma dell’agenda digitale europea.

Un dilemma condiviso a livello globale. Difatti, negli Stati Uniti il legislatore ha incaricato la Commissione Federale per le Comunicazioni (Fcc) di valutare le azioni necessarie a migliorare la gestione del servizio universale nel raggiungere gli obiettivi per la banda larga, la quale, nel suo Rapporto sul futuro del Fondo per il servizio universale, rilasciato lo scorso 15 agosto, ha dichiarato che “alle grandi aziende tecnologiche dovrebbe essere richiesto di contribuire in modo equo al finanziamento della realizzazione delle reti a banda ultra-larga per abbattere il digital divide e spingere l’erogazione di servizi innovativi”.

In Europa il tema ha acceso un dibattito contrapponendo da un lato 48 eurodeputati che lo scorso 14 settembre hanno espresso, con una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Ue, alla vice presidente Margrethe Vestager e al Commissario per il Mercato interno Thierry Breton, il loro favore alla proposta di coinvolgere le Ott (e le web company in generale) nella realizzazione delle reti a banda ultra-larga.

Dall’altra parte ci sono 54 membri del Parlamento Europeo (schierati sulle posizioni delle big tech) che, con una lettera inviata alla Commissione, hanno sollevato preoccupazioni per protestare contro una misura di coinvestimento sulle infrastrutture di rete in quanto, ciò, determinerebbe una minaccia alla neutralità della rete e possibili ostacoli ai piccoli fornitori.

Una posizione condivisa dagli operatori mobili virtuali (Mvno). Questi ritengono che una simile iniziativa potrebbe ritorcersi contro gli stessi consumatori e le imprese europee. In altre parole, obbligare i grandi fornitori di contenuti e aziende come Amazon, Google, Meta o Netflix, per citarne alcune, a contribuire finanziariamente agli investimenti di rete, potrebbe determinare una loro posizione dominante nel flusso dei dati all’interno della rete stessa.

La proposta di far pagare alle big tech una parte dei costi della banda larga ha un forte impatto sui governi europei. E soprattutto in questa fase, in cui i diversi piani di ripresa sono in corso d’opera e si incentrano su un rilevante processo di digitalizzazione e necessitano quindi la realizzazione di nuove, più estese ed efficienti infrastrutture per la banda larga. Sappiamo tuttavia che i costi sono elevatissimi.

Alcuni Paesi tra cui Francia, Spagna e Italia (come confermato anche dal ministro Colao), si sono dichiarati favorevoli a una legislazione che assicuri che le Big Tech diano il loro contributo a finanziare gli ingenti investimenti di rete necessari a sostenere la crescita del traffico Internet previsto nell’immediato futuro. Questi stessi Paesi hanno poi invitato la Commissione a raccogliere le informazioni necessarie da tutte le parti interessate, in attesa di ulteriori analisi da parte dell’organismo di regolamentazione europeo congiunto, il Berec.

L’intervento del Berec (Body of European Regulators for Electronic Communication) è stato sollecitato anche dai governi del nord Europa come Germania, Paesi Bassi e Finlandia, meno propensi a scegliere su quale lato della barricata schierarsi, i quali hanno scritto alla Commissione europea, invitandola ad attendere l’esito della consultazione prima definire qualsiasi tipo di intervento.

Nei prossimi mesi, quindi, sia le telco che le big tech saranno chiamate a dimostrare nel dettaglio quanto il traffico di rete sia effettivamente aumentato negli ultimi anni e quale sia l’impatto in termini di costi derivante da tale incremento, così come i possibili effetti che una misura come quella pensata dalla Commissione Europea potrebbe determinare sui relativi mercati.

Le compagini si stanno dunque organizzando e il dibattito politico è appena cominciato.

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