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Come si diventa leader: parla la pioniera delle Ceo, Carly Fiorina

carly fiorina ceo

Le parole migliori per descrivere cosa abbia rappresentato Carly Fiorina per il mondo del business americano sono probabilmente già state scritte: “Carly Fiorina non ha solo rotto il soffitto di cristallo, l’ha annientato”. Così iniziava un approfondimento che Fortune, nel 2007, dedicava alla supermanager americana, diventata nel 1999 la prima donna alla guida di una delle 50 maggiori aziende Usa, quando è stata ingaggiata per guidare Hewlett Packard, che sotto la sua guida sarebbe diventata l’undicesima società più grande degli Stati Uniti per fatturato.

La manager americana (con un breve passato nel nostro Paese: a Fortune Italia racconta che da giovane ha insegnato inglese a Bologna per un anno) è founder e chairman di Carly Fiorina Enterprises e di Unlocking Potential, un’organizzazione no-profit che investe nel potenziale umano. E a novembre parteciperà al World Business Forum che si terrà a Milano.


Lei è stata la prima donna a guidare una società Fortune 50 e la prima ad essere nominata Most powerful women da Fortune. All’epoca era presidente del gruppo Lucent Technologies. Una carriera iniziata come segretaria, e presumo che non sia stato facile diventare amministratore delegato: è più facile adesso? Come sono cambiate le cose da allora?

Molte cose sono cambiate, ci sono più donne nel mondo del business, nelle c-suite, nei consigli. Ma la verità è che non abbiamo assolutamente fatto i progressi che avremmo dovuto fare o che francamente ci aspettavamo. I dati sono chiari: quando hai un team diversificato i risultati migliorano. Quando le donne sono più coinvolte in un’azienda e in un’economia i risultati sono migliori. Sappiamo che più donne significa risultati migliori, eppure abbiamo ancora molta strada da fare.

Quando si guarda ai numeri del venture capital si vede quanto sia più difficile raccogliere soldi per le donne rispetto agli uomini. Hai qualche consiglio per le giovani imprenditrici?

Dobbiamo essere realistici. Per le donne è più difficile e diverso. La seconda cosa che direi è: non lasciate che questo realismo vi scoraggi. La terza cosa: non lasciate che gli stereotipi degli altri su di voi vi definiscano. Siate voi stesse e non abbiate paura di portare tutto quello che avete sul tavolo. Lo dico perché molto spesso le donne cercano di inserirsi, di comportarsi come un uomo, di fare qualcosa per far sentire gli uomini a loro agio. E non penso che sia efficace. Penso che sia più efficace produrre risultati, risolvere problemi. E penso che per farlo le donne debbano portare sul tavolo tutte le loro capacità. Se qualcuno si sente a disagio, e sicuramente sarà così, che sia. Ma la cosa più importante è produrre risultati e risolvere problemi.

La sua carriera è unica: ha guidato Hewlett Packard, ha supervisionato il merger con Compaq che è stato il più grande nella storia del tech all’epoca, è stata nell’advisory board della Cia, ha avuto il ruolo di advisor per John McCain nel 2008 ed era tra i candidati alle primarie repubblicane per l’elezione del 2016. Quindi direi che ha una prospettiva a tutto tondo sul concetto di problem solving. A Milano ne parlerà, e sembra che il problem solving non sia mai stato così importante, considerato che viviamo in un periodo così pieno di problemi. Ha consigli per i leader di oggi, dal business alla politica?

Carly Fiorina in un dibattito con gli altri candidati alle primarie repubblicane per le elezioni del 2016. Da sinistra, oltre a Fiorina: John Kasich, Marco Rubio, Ben Carson, Donald Trump, Ted Cruz e Jeb Bush

 

Credo che il problem solving sia lo scopo della leadership. Il ‘purpose’ è cambiare le cose in meglio, l’unico modo è risolvere problemi. Purtroppo ci sono molte persone in posizioni di potere che non sono leader, che gestiscono, ma non guidano. Il management è fare il meglio possibile con quello che hai a disposizione, sfruttare la situazione a tuo vantaggio. Ma non è leadership. Ci sono molte persone che si lamentano di come sono le cose ma non hanno molto interesse nel cambiarle. Per questo lo status quo è così potente: molte persone se ne lamentano e sollevano problemi, ma non li vogliono risolvere, li voglio usare. Questo succede molto in politica: la gente usa i problemi per guadagnare potere, e questa non è leadership. Una delle cose di cui parlerò molto a Milano è: se vuoi essere un vero leader, e non parliamo di titolo, posizione e ruolo, che diciamocelo, è un concetto tossico per molte persone che aspirano a un titolo ma non a guidare gli altri. E se lo vuoi fare, ti devi focalizzare sulla risoluzione di problemi. E farlo è difficile perché anche quando il problema è scontato, e io lo dico per esperienza personale, quando lo andrai a risolvere verrai criticata. Verrai criticata perché le persone parlano di cambiamento non sempre lo gradiscono, non sempre sono pronte ad accoglierlo.

Chi sta facendo un buon lavoro come leader?

Penso che abbiamo un fantastico esempio di leader nel presidente dell’Ucraina Zelensky. I leader parlano sempre di ‘noi’, non di ‘me’. Non sentirai mai Zelensky farsi complimenti, non lo sentirai mai parlare di tutte le difficoltà che deve affrontare, è sempre concentrato sugli altri sui risultati e sul problem solving. Penso che sia un grande esempio. Non si aggrappa al suo titolo o alla sua posizione, non si dà arie. Non ha mai un atteggiamento autocelebrativo. Perché sta comunicando che la leadership riguarda il cambiare le cose in meglio e raggiungere risultati. Il peggior sbaglio che un leader possa fare è dire “solo io posso sistemare le cose”. Ti faccio un esempio. Quando sono arrivata in Hewlett Packard tutti i numeri andavano nella direzione sbagliata. I profitti, i ricavi, il market share, tutto era in ribasso. Sono andata a parlare subito con due gruppi di persone: clienti e persone che interagivano con i clienti tutti i giorni. Non sono arrivata pensando di avere tutte le risposte, e non le ho chieste ai dirigenti, perché anche loro possono essere isolati. Ho chiesto alle persone che comprano i nostri prodotti e a quelle che le servono. Perché le persone più vicine al problema lo capiscono sempre meglio. Sempre. E quello che succede ai Ceo e a chi ha una posizione di rilievo è confondersi e dire ‘so io cosa è meglio. È il motivo per cui ho la posizione e il titolo’. Ma i leader dovrebbero andare dalle persone che capiscono i problemi. Sembra così scontato ma lo facciamo molto raramente. Se vuoi sapere cosa sta succedendo chiedi alle persone che hanno esperienza del problema e poi ascoltale. E incorporale nel problem solving. Lo faccio ancora oggi. Chiedere alle persone che sono più vicine al problema significa che i leader devono rinunciare al convincimento di sapere tutto. Che devono essere disposti a dire alle persone ‘”ho bisogno di aiuto”. Ma quello che ho scoperto nelle mie esperienze è che le persone amano che gli si chieda di aiutare a risolvere un problema perché dà più valore al loro lavoro.

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