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Tulou, la casa del futuro viene dal passato

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La startup Tulou sbarca a Milano copiando il modello di housing sociale del popolo Hakka. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2022.

A Bologna affittano un divano-letto agli studenti per dormire in salotto. “Trecentocinquanta euro. Possibile che ci siamo ridotti a questo?”. Andrea Colombo è un manager ambizioso, ma tiene i piedi per terra. Insieme a Vittorio Mauri, Santo Bellistri e Linda Maroli è uno dei fondatori di Tulou, la startup che si definisce il primo serviced living operator ‘collaborativo’ in Italia. Tulou promuove e gestisce soluzioni residenziali innovative con un unico obiettivo: mettere al centro del concetto di abitare “la persona e non la casa”. Il nome è emblematico: i tulou sono case-fortezza costruite oltre dieci secoli fa dal popolo Hakka, un gruppo di contadini che alla fine del primo millennio decise di lasciare la terra d’origine nella Cina centrale per emigrare al sud. E che oggi vive in queste abitazioni in cui decine di famiglie sono riunite in una sorta di clan. “Un co-housing ante litteram”, scherza Colombo. Eppure la casa è uno spazio che tutti noi siamo abituati a pensare come ‘nostro’. Cosa succede al nostro spazio quando diventa condiviso?

Il co-housing nasce in Danimarca, dove nel 1964 l’architetto Jan Gødmand Høyer con il termine bofælleskaber – letteralmente, comunità vivente – sviluppa una nuova idea di abitare ricca di relazioni di vicinato soddisfacenti.

“Noi abbiamo preso quest’idea, insieme a quella delle abitazioni contadine collettive edificate in Cina tra il XV e il XX secolo, e l’abbiamo arricchita”.

Come quasi tutte le storie, anche quella di Tulou parte da un incontro. Quello tra Andrea e Vittorio, che insieme si occupavano di investimenti in venture capital, e quello tra loro e gli altri due cofounder Santo e Linda.

“Era il 2019. Io e Vittorio avevamo puntato al mondo immobiliare come nuova wave di investimento”, spiega Colombo. “Santo e Linda, invece, che sono i fondatori della nota catena di ristorazione Temakinho, avevano adocchiato già da tempo il trend dell’abitare condiviso. Abbiamo così trovato un primo punto di contatto, e studiando ci siamo presto resi conto di un aspetto troppo spesso trascurato: esiste un malessere diffuso nella popolazione relativamente al modo in cui abita”.

Questo vale soprattutto per quanto riguarda gli affitti. La proposta di prodotto, secondo Colombo, non è aderente rispetto a quelle che sono le esigenze contemporanee. La nostra è una società abituata ad avere tutto ‘on demand’, mentre l’immobiliare “è un prodotto standard”.

“Abbiamo immaginato di creare qualcosa che potesse rispondere a esigenze specifiche. Per noi la casa deve essere un intelligente sistema di well-living progettato ascoltando le necessità dei residenti, con servizi e strumenti sia fisici che digitali che abilitino la comunità, l’armonia e la crescita personale”.

In particolare durante – e dopo – i due anni di lockdown, la solitudine è diventata un tema importante per vecchie e nuove generazioni. E un edificio, afferma Colombo, “potrebbe fare la differenza per guarire ferite come l’ansia e la perdita di senso di appartenenza”.

Immaginate di essere soli nel vostro appartamento. È ora di pranzo, aprite il nuovo pacco di spaghetti e quando l’acqua bolle vi rendete conto di aver finito il sale. “Anziché chiamare Gorillas e aspettare sette minuti e quarantadue secondi potete chiedere al vicinato. Da cose piccole si creano interazioni e la vita, quella fatta di socialità, riparte”.

L’offerta di Tulou sarà caratterizzata dagli spazi comuni: dalla palestra alla piscina, alla sala cinema. A beneficio dei residenti e a scapito della dimensione di abitare privato.

“È chiaro che se confronti il prezzo di una stanza di Tulou con un qualsiasi altro appartamento o monolocale”, dice Colombo, “quello di Tulou è maggiore. Ma sommando i costi, il nostro modello viene premiato. Perché contiene tutti quei servizi che altrimenti cercheresti e pagheresti altrove”.

Nel settore immobiliare il mondo del social housing è quello dell’abitare convenzionato. Ciò comporta una certa competitività, perché si va incontro a una domanda di ‘aiuto sociale’: quella di persone che non possono permettersi un affitto in determinate città.

“La nostra accezione di social housing è invece collaborativo-partecipativa. Ciò vuol dire che viene valorizzato ed estremizzato il valore della privacy”, spiega Colombo.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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