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Price cap a 60 dollari per il petrolio russo, parla l’esperto Massimo Nicolazzi (Ispi)

“Una misura blanda, considerato che la Russia ha destabilizzato deliberatamente il mercato dell’energia”. Questa la reazione di Zelensky a margine dell’approvazione del Price Cap al petrolio russo, fissata a 60 dollari al barile dall’Unione Europea. Il provvedimento è stato giudicato ‘debole’ dal premier Ucraino, che il Financial Times ha indicato come “persona dell’anno”, e che aveva chiesto l’applicazione di un tetto a 30 dollari.
La Russia, per il tramite del portavoce del Cremlino Dimitry Peskov, ha già dichiarato che non accetterà il tetto al prezzo del suo petrolio.

Una situazione complessa, che lascia intravedere diversi scenari plausibili. Fortune Italia ha approfondito il tema con Massimo Nicolazzi, senior advisor di geoeconomia e sicurezza energetica presso Ispi – Istituto per gli studi di politica internazionale.

Entra in vigore  il price cap imposto al petrolio russo. Quali saranno le conseguenze?
Questa misura è stata imposta dal G7, a cui si è aggiunta l’Eu che ha decretato l’embargo, per cui non importeremo più petrolio russo via nave. Il price cap è uno strano animale, che ha come effetto quello di privare il petrolio russo di una serie di servizi, svolti da paesi di competenza G7, soprattutto attività assicurative e noleggio di navi, che sono consentite solo a condizione che il greggio trasportato o assicurato sia venduto, a destinazione finale, ad un prezzo uguale o inferiore a quanto stabilito dal price cap.
Le conseguenze? Difficile da dire, oggi il prezzo non si è mosso molto, considerando che sono entrati in vigore sia l’embargo che il price cap. Possiamo spiegarlo dicendo che il mercato, che per mestiere deve guardare avanti, aveva già scontato questa ipotesi.
Ora ci saranno probabilmente alcuni mesi di aggiustamento, non so quanto intensi dal punto di vista della ripercussione sui prezzi. La Russia, dal canto suo, si sta munendo di una flotta di navi petroliere usate, questo le consentirà di non dipendere da shippers, spedizionieri dei paesi che applicano la sanzione. In seconda battuta, i russi dovranno capire qual è una valuta sicura, e alternativa al dollaro, con cui farsi pagare, dato che il meccanismo sanzionatorio si basa sulla banca centrale americana.

La misura taglierà le entrate di Mosca, sostiene Von der Leyen e le fa eco l’Usa, ma il limite dei 60 dollari al barile è superiore al prezzo di vendita del petrolio russo, in alcuni mercati. Qual è la sua analisi sul punto?
Mi sembra piuttosto una petizione di principio, non vedo un reale significato economico della misura. Le spiego, i russi già non potevano contare su servizi assicurativi e di shipping erogati da fornitori occidentali, e avevano cominciato a vendere in India e Cina a prezzi ribassati. Probabilmente continueranno in questa direzione, vendendo così ad un prezzo che rientri nei limiti del price cap, senza doverlo ammettere apertamente. Questa è la tecnica più probabile. L’embargo vero, che rischia di farci più male, è quello previsto per febbraio, che agirà sui prodotti raffinati. Per dirlo in altre parole: in Europa non abbiamo capacità di raffinazione, e lo abbiamo visto già dall’aumento dei prezzi del diesel, che ha superato il costo della benzina ormai da mesi.
Anche in questo caso, una soluzione potrebbe venire dalle dinamiche del mercato delle esportazioni. Le norme sul price cap danno, a chi compra il petrolio, il diritto di riesportare i prodotti raffinati. Quindi i russi potrebbero vendere ai cinesi, che a noi rivenderebbero il prodotto raffinato, il diesel appunto.

Massimo Nicolazzi – senior advisor geoeconomia di Ispi – Istituto per gli studi di politica internazionale

Come funziona il meccanismo del price cap? Quali sono le condizioni a fronte delle quali viene attivato?Funziona in maniera strana, anche perché un regolamento di esecuzione europeo non l’ho ancora visto. Ho visto invece le linee guida del 22 novembre dell’Ofac – Office of Foreign Assets Control, che applica le sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che si basano sull’autocertificazione. In pratica né spedizionieri né assicuratori hanno l’obbligo di conoscere il prezzo a cui viene venduto il bene che trasportano o assicurano.
Le misure dell’Ofac prevedono però che ci sia una verifica del costo, attraverso l’autocertificazione da parte di chi acquista il servizio di shipping o assicurativo. Quello che probabilmente succederà, in conseguenza, è che nel dubbio sia gli shippers che gli assicuratori dell’Ocse si asterranno dal trasportare o assicurare petrolio russo, per evitare di incorrere nella compliance bancaria, che è la vera minaccia sottesa. Chi sgarra rischia di non poter più operare in dollari, e i blocchi vengono applicati anche se solo  manca la certezza di un procedimento corretto.
Per dirla altrimenti, se c’è uno shipper che tratta con la Russia, è difficile che abbia accesso ai fondi per ottenere nuovi finanziamenti, e questo sarebbe un problema per molti.

Guardando anche al mercato del gas, l’Italia è stata fra i primi ad ipotizzare l’idea di un price cap dinamico, proposto ad aprile e poi ratificato ad ottobre. Poi il provvedimento non ha avuto seguito. In cosa la proposta italiana non è risultata applicabile?
E’ una proposta che semplicemente non può funzionare, punto. Si basa sull’idea di un corridoio dinamico, un concetto che richiama un po’ l’iconico ‘dinamismo del cane al guinzaglio’ di Giacomo Balla. In pratica, il dinamismo era impedito dal contorno di condizioni che la Commissione aveva posto, e che rendeva di fatto impraticabile il provvedimento. Ci sono delle nuove proposte al vaglio, ma resta un meccanismo che non potrà essere efficace.

C’è invece una misura che potrebbe garantire dei risultati?
Il Ttf (Title Transfer Facility) ha sede in Olanda ed è uno dei principali mercati di riferimento per lo scambio del gas in Europa. Ttf è gestito da una società che si chiama Gasunie, una specie di Snam, di Rete gas olandese.  Rispetto a balzi repentini di prezzi, se si fosse creata un’interlocuzione, anche informale, con Gasunie per chiedere di inserire un ‘circuit breaker’, ovvero una chiusura per eccesso di valutazione del titolo, si sarebbe arrivati ad un risultato certo. Nel regolamento americano questa misura, per esempio, è già prevista. Il tema è quello per cui un price cap rischia di creare comunque due mercati paralleli, uno via tubo e uno via nave. In questo è l’economista americano Morris Albert Aderman che ci soccorre nella comprensione del fenomeno, con la sua storica definizione: ‘il mercato del petrolio, come l’oceano, è una grande piscina’. In altre parole, il petrolio è merce trasportabile, perché viaggia sulle navi, e può cambiare destinazione se e quando serve, e vanno quindi dove il prezzo è più conveniente per chi vende. Mentre le esportazioni di gas viaggiano nelle pipeline, nei gasdotti, e quindi sono condizionate e non facilmente dirottabili.
Facciamo un esempio concreto: l’anno scorso la Russia ha esportato 150miliardi di metri cubi di gas in Ue, quest’anno forse 30/40 sempre via pipeline. L’eccesso è rimasto in giacimento, una perdita secca dell’offerta disponibile sul mercato degli scambi internazionali.

Tornando alla misura varata per il petrolio, la Polonia si era opposta, proponendo un tetto di 30 dollari al barile, in linea con la richiesta di Zelensky. Perché il tetto è stato alzato del doppio nella misura definitiva?
Si tratta di opinioni. Loro potevano dire quello che volevano. Il tema è che se veramente si vuole ridurre il mercato russo, allora bisogna operare attraverso gli embarghi. Il price cap è invece un meccanismo che evita un collasso immediato del sistema. E non mi sembra che Cina e India stiano pensando di aderire a questa misura. Loro anzi ne potranno trarre probabilmente un ulteriore beneficio, perché il mercato russo dovrà forse scontare ancora di più il prezzo del petrolio per mantenere i volumi di esportazione, che per ora possono essere garantiti proprio da India e Cina.

Qual è il ruolo dell’Opec in questa vicenda?
Mi sembra che da stamattina si siano messi in una condizione di ‘wait and see’. Non hanno preso nessun impegno, né di aumento né di riduzione, erano stati sollecitati in merito ad un aumento, ma hanno scelto di aspettare. E da qui si possono scatenare una serie di dinamiche.
Se Opec+ regge, si riesce a tenere su i prezzi. Ma immaginiamo invece uno scenario in cui la Russia cominci a vendere a costi stracciatissimi alla Cina, non so se poi il mercato saudita resterebbe a guardare. In termini pratici, l’alternativa più gettonata, dai media e dagli analisti, è che ci sarà una specie di cartello relativo ai prezzi del greggio, che li manterrà sopra una certa soglia. Ma c’è una corrente di pensiero alternativa, che considera l’effettivo rallentamento cinese nelle importazioni, dovuto alla contingenza Covid ed empasse economica, che ha visto il Pil cinese aumentare solo del 2/3% in un anno. C’è anche la difficoltà logistica russa, legata al tema delle esportazioni. Una probabile conseguenza di questi due elementi potrebbe essere quella di un intervento degli arabi che, pur di vendere il loro petrolio, potrebbero scatenare una guerra al ribasso.
Di fatto, una possibilità che i prezzi del petrolio vadano alle stelle io non la vedo. Da questo punto di vista, il prossimo anno sarà molto più rischioso per il mercato del gas, è qui che dobbiamo temere gli inasprimenti peggiori.
Ancora una volta, dobbiamo guardare alla Cina, quello che succederà a livello globale sarà in funzione dei consumi e delle importazioni cinesi, sono loro la pedina determinante nel gioco d’insieme.
Rispetto al petrolio, di sicuro nei prossimi giorni ci saranno le conseguenze del combinato disposto di embargo e price cap, qualche turbamento sul mercato ci sarà, è difficile che non si crei, dobbiamo solo capire quando durerà, perché per certo tenderà a stabilizzarsi.

 

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