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Lavoro: a gennaio già manca il personale, ma il problema è a lungo termine

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Essere a corto di personale costa, e costa parecchio: 1.300 mld di dollari di mancata produttività, solo nel 2022, in tutto il mondo, secondo un report di BCG: sono 30 milioni i posti di lavoro scoperti. A perdere di più sono Stati Uniti, Cina, Germania, Regno Unito e Canada. E in Italia? La perdita nel 2022 è stata di 15 mld, dice il report. Intanto, secondo un altro report (il Bollettino del Sistema informativo Excelsior realizzato da Unioncamere e Anpal) il 2023 italiano parte male: sono 230mila i lavoratori che mancano all’appello, rispetto alle esigenze delle imprese.

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è passato dal 38,6% dello scorso anno al 45,6% di quello attuale, in Italia. La mancanza di candidati è la motivazione maggiormente indicata dalle imprese (27,8%), seguita dalla preparazione inadeguata (13,5%).

Insomma, la mancanza di personale e manodopera viene sentita dalle imprese nell’immediato. Ma sarà un problema che caratterizzerà i prossimi anni, e decenni, del mercato del lavoro italiano. Per questo, nel discorso, entra necessariamente la migrazione.

Lavoro, i numeri a gennaio

Secondo il report di Unioncamere e Anpal in Italia mancano già 230mila professionalità: in tutto sono 504mila i lavoratori ricercati dalle imprese a gennaio. La domanda di lavoro prevista ad inizio d’anno è superiore ai livelli pre-Covid e segna un +14,0% (+62mila assunzioni) rispetto a gennaio 2019.

Le professioni più difficili da reperire sono dirigenti (66,1%), operai specializzati (61,9%), tecnici (51,6%), conduttori di impianti (49,0%), professioni intellettuali, scientifiche e con elevata specializzazione (47,5%), professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (41,0%).

Per trovare quelle 200mila posizioni che mancano, ci vorranno più di 4 mesi (4,3): è il tempo medio di ricerca “necessario per ricoprire le vacancies valutate dalle imprese di difficile reperimento”, secondo il report di Unioncamere e Anpal. “Sono 153mila le assunzioni programmate rivolte preferenzialmente ai giovani sotto i 30 anni e per le quali si registra una difficoltà media di reperimento del 48%. Circa il 20% delle ricerche di personale sono rivolte a laureati (96mila) e il 30% a diplomati (150mila). Per il 18,1% delle assunzioni (oltre 91mila) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori della logistica, dei servizi operativi e nella metallurgia”.

Italia, un problema demografico

Il report di Bcg, pubblicato in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), fornisce indicazioni utili sul lungo termine.

Racconta come nel 2050 la migrazione potrebbe generare 20.000 mld di dollari di produzione economica, rispetto ai 9.000 attuali. Ma fornisce anche dati importanti sul futuro del mondo del lavoro in Italia, dove attualmente più della metà della popolazione è in età lavorativa.

Nei prossimi decenni però quel numero scenderà, e di molto. Già per la fine del 2023 ci sarà un calo di circa il 7% e al 2050 avremo addirittura una fetta del 28% di popolazione lavorativa in meno, rispetto ad oggi.

Già oggi, la carenza di manodopera costa all’Italia intorno ai 15 mld di dollari ogni anno, come detto.

Secondo l’analisi di Bcg, i talenti provenienti da altri Paesi possono rivelarsi una risorsa preziosa anche per l’economia del Paese. Secondo un altro report, sempre di Boston consulting group, le organizzazioni con un alto numero di immigrati nei propri leadership team “hanno in media una redditività superiore di circa il 15% – 2,2 punti percentuali se misurata in termini di utili al lordo di interessi e imposte di vendita, e hanno il 75% di probabilità in più di essere innovatori di livello mondiale. Nel 2020, ad esempio, il 28% delle 2.000 maggiori società quotate in borsa al mondo ha reso nota la cittadinanza dei propri membri del consiglio di amministrazione e del gruppo dirigente e, tra queste aziende, il 26% dei dirigenti a livello di consiglio di amministrazione proveniva da un Paese diverso da quello della sede centrale dell’azienda”.

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