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L’ecommerce italiano vale 71 mld. “È il primo driver di crescita”

Cosa fa crescere di più il fatturato delle aziende italiane? La risposta è forse scontata, nell’era della trasformazione digitale delle imprese: l’e-commerce e il retail digitale, che in Italia valgono 71 mld di euro e che si posizionano al primo posto tra le 99 attività economiche italiane per incidenza sul fatturato complessivo delle imprese. Il motivo, secondo Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, il Consorzio del commercio digitale italiano, è semplice: “Non è cambiato il venditore, è cambiato il consumatore”. In altre parole, il concetto di vendita omnicanale e multicanale si sta rafforzando: ora si vende ‘digitalmente’ sia in negozio che su un sito Internet, e le due esperienze sono sempre più legate.

I numeri dell’Ecommerce e la multicanalità

Partiamo dai numeri: sono quelli contenuti nello studio condotto da Netcomm in collaborazione con The European House – Ambrosetti, presentato ieri a Roma:

  • Il settore dell’e-commerce ha contribuito per il 40,6% alla crescita di fatturato totale delle attività economiche nel quinquennio 2016-2020 in La rete del valore dell’e-commerce e del digital retail è quindi al primo posto tra le 99 attività economiche italiane per incidenza sul fatturato complessivo del settore privato, passando dall’1,2% a 2,1%, nel quinquennio.
  • Per ogni 100 euro investiti nella rete del valore dell’e-commerce e del digital retail, se ne generano altri 148 nel resto dell’economia.
  • Per ogni 100 unità di lavoro generate in modo diretto dalle attività dell’e-commerce e del digital retail, si attivano ulteriori 141 unità di lavoro.
  • Più della metà del fatturato proviene dal Nord-Ovest (51,1%, con un importante contributo offerto dalla Lombardia).
  • Si stima che nel 2021 la crescita delle filiera sia pari a +4,4% rispetto al 2020, attestandosi a quasi 71 miliardi di euro di fatturato complessivo a livello nazionale
  • L’incremento rispetto al primo anno di pandemia è stato di 3 mld (era quasi 68 miliardi di euro nel 2020, con un incremento del 20% rispetto all’anno pre-pandemia).

“L’e-commerce non è solo vendita online, ma anche vendita digitale e nei negozi: la multicanalità sta diventando una realtà”, dice a Fortune Italia Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, a margine dell’evento di presentazione dello studio. “Quello che è cambiato non è soltanto il venditore, è cambiato il consumatore. Vuole comprare in negozio come online: se non c’è un prodotto disponibile, lo vuole scegliere su un tablet e farselo mandare a casa. Complessivamente quello che sta avvenendo è uno spostamento delle vendite online verso le vendite offline, con un’integrazione”.

“L’indagine condotta presso le imprese italiane indica che l’e-commerce è riconosciuto come un canale prioritario per la crescita del business, con investimenti crescenti che verranno indirizzati sul digital marketing e sull’export digitale. Oltre ad essere una grande opportunità per l’internazionalizzazione delle produzioni del Made in Italy, il settore rappresenta un’opportunità anche per la creazione di valore per l’Italia”, afferma Lorenzo Tavazzi, Partner e responsabile dell’Area Scenari e Intelligence di The European House Ambrosetti.

Dalla survey condotta presso le imprese, presentata nello studio, si intravedono su cosa si muoveranno ora le imprese. Ecco il podio deli investimenti futuri:

  1. Digital marketing, prima voce sia per il canale B2B (38,5% del panel) sia per il canale B2C (23,9% del panel).
  2. User experience, in particolare il sito di e-commerce (23,1% del panel B2B, 22,9% per il B2C).
  3. Incremento della presenza su marketplace per il B2B (15,4%), mentre per le imprese B2C l’incremento del team dedicato al canale e-commerce (22,2%).

Dalla survey è emerso anche come la vendita online abbia permesso agli operatori di avere un rapporto diretto con la clientela (per circa un quarto dei rispondenti) e di offrire un’esperienza più completa. Per 1 operatore su 5 l’ingresso nel canale online ha permesso di ridurre i costi di gestione dell’ordine, mentre “solo per una minima parte dei rispondenti (10% nel B2B, 6,4% nel B2C) ha implicato un ridimensionamento della rete fisica retail, a conferma della convivenza e del mutuo supporto tra segmento online e offline”, si legge nel rapporto.

Un punto che trova d’accordo anche altri partecipanti all’evento: l’incompatibilità tra negozi ed e-commerce è una leggenda urbana ormai superata, secondo Dirk Pinamonti, head of ecommerce di Nexi.

Secondo il manager della società di pagamenti “anche le dotcom ormai aprono punti fisici”, mentre il fruttivendolo ora offre la consegna a casa e accetta pagamenti attraverso un link. Ormai il settore “merita una considerazione industriale indipendente, ed è quello che abbiamo fatto anche in Nexi”. Secondo Pinamonti “si stanno affermando nuovi modelli di vendita e trend di consumo (quick commerce, subscription, second hand market, nuovi marketplace). La generazione Z trasforma l’engagement in nuovi canali di acquisto (social commerce, metaverso, live streaming shopping) e in ambito pagamenti emergono nuovi strumenti (By Now Pay Later, addebiti diretti su c/c) e ci si concentra sulla semplificazione della UXdopo l’introduzione della Strong Customer Authentication richiesta dalla normativa PSD2″.

Ecommerce, le proposte per crescere ancora

Secondo Liscia di Netcomm, nonostante il “plateau” del trend di crescita dell’e-commerce non sia ancora stato raggiunto, un intervento per la filiera serve. Le proposte di  Netcomm e The European House – Ambrosetti hanno individuato 3 ambiti d’intervento.

Un momento della presentazione dello studio Netcomm – European House Ambrosetti

Secondo il presidente quello più urgente riguarda le competenze: “Dobbiamo fare sistema, come Netcomm facciamo parte delle iniziative di Amazon e di Alibaba, e abbiamo iniziative con università, ma bisogna creare consorzi d’imprese per permettere la creazione delle nuove categorie professionali”. Per questo “chiediamo ai rappresentanti politici e istituzionali di sostenere lo sviluppo di questa filiera attraverso precisi interventi e investimenti che consentano di colmare il gap di competenze digitali che scontiamo a livello europeo e rafforzare l’export digitale”.

Netcomm e European House Ambrosetti suggeriscono finanziamenti destinati alle imprese per la formazione di nuove risorse, a condizione che queste accedano a corsi certificati e che, allo stesso tempo, le imprese si impegnino ad assumere la risorsa al termine di tale programma di formazione. Il ruolo di ente certificatore, nel caso italiano, potrebbe essere assunto proprio da Netcomm.

Secondo Walter Rizzetto, presidente della Commissione lavoro della Camera, “le aziende fanno fatica a reperire lavoratori formati. Il tema delle competenze è fondamentale. Il 45,6% dei cittadini italiani ha competenze digitali, contro una media europea del 54%”. Secondo Rizzetto la formazione può essere affidata alle aziende, “con contributi che possono arrivare dallo Stato”.

Intanto, i marketplace si sono già mossi, e in Italia il discorso competenze è particolarmente importante: secondo Giorgio Busnelli, Director consumer goods di Amazon in Europa, “in tutto il continente il nostro ruolo sulle competenze delle imprese è analogo, ma è particolarmente importante in Italia”. Per due motivi: un tasso di alfabetizzazione digitale più basso di altri Paesi e un tessuto industriale “più ricco di Pmi”.

L’anno scorso, il gigante fondato da Jeff Bezos ha investito 3 mld di euro in Europa sulle iniziative per l’internazionalizzazione e la digitalizzazione delle aziende, dice Busnelli.

Ma non ci sono solo le competenze (secondo il report, le figure più ricercate sono Data Engineer nel B2B e SEO Specialist nel B2C).

Netcomm e European House Ambrosetti propongono anche di destinare “parte dei fondi del Pnrr agli investimenti tecnologici delle imprese dell’industria del commercio, a partire dai 13,4 miliardi di euro previsti dal Piano Nazionale ‘Transizione 4.0’, includendo un esplicito riferimento alle tecnologie immateriali”.

Per quanto riguarda il rafforzamento del digital export, Netcomm e European House Ambrosetti puntao sui marketplace B2C e B2B per la promozione in apposite “vetrine” delle produzioni del “Made in Italy” e di semplificare gli adempimenti doganali, tramite l’adozione di procedure doganali e commerciali semplificate e accelerate.

Ecommerce e digital retail, gli altri numeri

Nello studio di Netcomm e The European House Ambrosetti si spiega come la rete del valore dell’e-commerce e dei digital retail si articola in due macro-aggregati: le vendite online (che oltre ai marketplace e retailer totalmente o parzialmente attivi sul canale online comprende anche piattaforme pubblicitarie, servizi integrati per la presenza web e le attività di customer care) e i servizi a supporto delle attività di e-commerce, tra cui logistica, packaging e sistemi di pagamento.

Il segmento delle vendite online in Italia nel 2020 ha registrato un fatturato di quasi 41 miliardi di euro (CAGR 2016-2020 in crescita del 13,1%); vi operano 673mila imprese distribuite in tutta Italia, con una lieve prevalenza nel Nord-Ovest (28%) e nel Centro Italia (27%). Come per il comparto complessivo, il 57% del fatturato delle vendite online si concentra nel Nord-Ovest, in particolare in Lombardia.

Il segmento dei servizi a supporto dell’e-commerce e del digital retail in Italia al 2020 ha registrato un fatturato di 27 miliardi di euro (CAGR 2016-2020 con in crescita del 13,6%). È composto da circa 50mila imprese localizzate in tutto il Paese, con una lieve prevalenza nel Mezzogiorno (34%) e nel Nord-Ovest (26%). Circa la metà (43%) del fatturato si concentra nel Nord-Ovest, con la leadership della Lombardia.

Va evidenziato poi il ruolo della logistica, il comparto a crescita maggiore sia per fatturato (+13,7% medio annuo) che per numero di occupati (+16,1% medio annuo). Secondo Elisa Pizzola, Chief Commercial Officer di GLS, “il nostro settore debba cogliere le opportunità offerte dal digitale per continuare quel percorso di sviluppo e crescita che lo renderanno anche sempre più efficiente e sostenibile”.

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