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Senza tregua: Jerome Powell e la Fed tra inflazione e recessione

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La grande sfida tra il capo della Fed e l’inflazione nella sua lotta agli aumenti dei prezzi, molti a Wall Street pensano che Powell stia alzando i tassi di interesse troppo in fretta. Altri temono che si fermerà troppo presto. Ecco perché il compito di Powell potrebbe essere il più difficile in America. La versione completa di questo articolo sarà disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2023.

Da un podio presso la sede della Fed a Washington DC, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell aveva appena inviato un severo messaggio alla comunità degli investitori globali: la banca centrale stava per ridurre l’offerta di moneta, anche se questo avrebbe potuto causare sofferenza.

Fino a quel momento, la Fed aveva mantenuto tassi di interesse ai minimi storici e pompato trilioni di dollari nel sistema bancario attraverso un programma straordinario chiamato Quantitative easing, o Qe.

Ma era arrivato il momento di fermare quell’incentivo, per mantenere l’economia in crescita e l’inflazione bassa. Il “pilota automatico” era inserito, ha dichiarato Powell, il processo non sarebbe stato rallentato o bloccato, anche se i prezzi delle azioni fossero crollati o il mercato obbligazionario fosse stato preso dal panico. La Fed era stata creata per fare cose difficili come questa, al riparo dalle pressioni politiche, e Powell era determinato a farle. Assumere una linea più aggressiva “è stata una buona decisione”, ha detto Powell. “E non credo che la cambieremo”.

Questa scena avrebbe potuto verificarsi in qualsiasi momento nel corso del 2022, quando Powell e la Fed sono intervenuti per combattere un aumento senza precedenti dei prezzi al consumo. Ma questo discorso risale al 19 dicembre 2018.

Powell era al suo primo anno come presidente della Fed, che aveva applicato il Quantitative easing per quasi un decennio per combattere gli effetti della Grande Recessione – e le preoccupazioni su come questo avrebbe potuto influire sull’economia stavano crescendo sia a Washington che a Wall Street. Così Powell ha assunto il ruolo del ‘cattivo’ che cerca di disciplinare la finanza e i mercati si sono ribellati. I prezzi di azioni, obbligazioni e materie prime sono scesi in modo incredibilmente sincronizzato, lasciando sbalorditi gli analisti che ritenevano impensabile un ribasso così coordinato. Nell’arco di sole tre settimane, l’S&P 500 è sceso in terreno di correzione, perdendo quasi il 16%. Alla Vigilia di Natale, normalmente una giornata di negoziazione tranquilla, la media industriale del Dow Jones ha perso il 3%.

Anche il presidente Trump, che aveva nominato Powell un anno prima, ha iniziato a pressarlo affinché allentasse le restrizioni, accusandolo su Twitter di fare affidamento su “numeri senza senso”. Powell sapeva che questo sarebbe potuto accadere: aveva previsto lui stesso simili turbolenze all’inizio del suo mandato alla Fed, anche quando aveva sostenuto la fine del Qe. Quel tipo di politica monetaria della banca aveva pompato al rialzo i prezzi degli asset, l’inversione di rotta avrebbe inevitabilmente comportato dei costi. Ma quando quei costi sono arrivati, praticamente in tempo reale, Powell e la Fed hanno fatto un passo indietro. Nel giro di poche settimane, Powell ha abbandonato l’approccio troppo rigido. “La necessità di aumentare i tassi è diminuita”, ha detto in una conferenza stampa nel successivo mese di gennaio. A questo annuncio i mercati si sono gonfiati, con azioni e obbligazioni entrambe in rialzo, proprio come in precedenza erano crollate. Autopilota? Disinserito. L’episodio divenne noto a Wall Street come il ‘Powell Pivot’, la svolta di Powell.

E ha evidenziato come Jay Powell, una volta visto come un oppositore della Fed, avesse finito per confermare una tradizione che risaliva ai giorni della presidenza di Alan Greenspan negli anni Ottanta e Novanta. Se le cose fossero andate fuori controllo nei mercati, la Fed sarebbe intervenuta per proteggere gli investitori, anche a rischio di peggiorare l’inflazione e creare altri problemi. Comprendere il ‘Powell Pivot’ è la chiave per comprendere la posta in gioco nella lotta odierna contro l’inflazione che sta correndo ai livelli più alti dai primi anni ‘80, così come la volatilità del mercato azionario e obbligazionario che l’ha accompagnata.

Powell ha promesso ancora una volta che la Federal Reserve ridurrà l’offerta di moneta. Ma molti stakeholder – investitori, banchieri, legislatori – scommettono che cambierà di nuovo idea. “Credo che molte persone non pensassero che Powell sarebbe stato serio, perché non lo è stato”, dice il senatore repubblicano Rick Scott. Scott afferma di aver incontrato Powell più volte nel 2022 per capire quanto aggressivamente potrebbe inasprire la sua politica finanziaria. Scott non ha ancora risposte certe, mentre Powell ha rifiutato di essere intervistato per questo articolo. Un’incertezza simile si riflette quotidianamente sui mercati. I prezzi delle azioni e delle obbligazioni precipitano quando arrivano dati allarmanti sull’inflazione, poiché è il segnale che la Fed continuerà ad alzare i tassi, e si riprendono ad ogni segno di attività economica più debole che potrebbe persuadere la banca centrale a fare marcia indietro. È accaduto che i movimenti degli indici azionari siano variati di due punti percentuali in entrambe le direzioni nello stesso giorno. Un importante indicatore della volatilità del mercato, il CBOE Volatility Index (VIX), ha iniziato a salire alla fine del 2021 e da allora è rimasto sempre elevato.

Anche i mercati e le economie in Europa e in Asia stanno tremando, poiché l’aumento dei tassi negli Stati Uniti può minare il valore delle loro valute. In passato, gli investitori avrebbero potuto contare sulla Federal Reserve come ancora di stabilità. La banca centrale è l’istituzione più potente della finanza, e gli economisti che la gestiscono un tempo erano visti come l’equivalente di brillanti ingegneri nella sala di controllo di una centrale elettrica, in grado di muovere abilmente le leve per restringere l’offerta di moneta quando l’inflazione era alta e poi allentarla di nuovo quando l’economia aveva bisogno di una spinta. Ma quei giorni sono finiti, grazie a un decennio di interventi radicali senza precedenti della Fed. Anni di tassi di interesse pari allo zero per cento, insieme a una radicale accelerazione dell’emissione di nuova moneta, hanno fondamentalmente ridisegnato il panorama finanziario trasformando i leader della Fed da ingegneri onniscienti a un gruppo di persone che cercano di orientarsi in una stanza buia. Un modo per misurare il cambiamento, e la portata dell’impronta della Fed nell’economia, è tracciare la dimensione del bilancio della Fed, che aumenta quando la Fed crea denaro.

Tra il 2008 e il 2014, con il Qe, il bilancio è lievitato da 900 a 4.400 mld di dollari. Ed era solo l’inizio. Durante la pandemia, Jay Powell ha gestito il più grande intervento economico della storia, raddoppiando praticamente il bilancio fino ai quasi 9 trilioni di dollari di oggi. Le conseguenze di questa politica finanziaria sono di vasta portata. La Fed ha prodotto tutto quel denaro acquistando titoli del Tesoro degli Stati Uniti (ne parleremo più avanti). A metà del 2022, la banca centrale possedeva il 25% di tutti i titoli del Tesoro Usa in circolazione. Quando un’entità copre un mercato così grande, ogni passo può causare un terremoto, come ha dimostrato la Fed nel 2022. Sotto Powell, la Fed ha alzato i tassi sei volte tra marzo e novembre, portando il tasso di riferimento a breve termine dallo 0,25% al 4% (a dicembre i tassi sono stati alzati di altri 50 punti; mentre andiamo in stampa si attende la decisione del meeting di febbraio, ndr). Powell ha anche messo in pausa il Qe.

*Christopher Leonard è l’autore di The Lords of Easy Money (2022, Simon & Schuster).

 

La versione completa di questo articolo sarà disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2023. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

 

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