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Web e news, le scelte dei giovani: intervista a Enrico Mentana | VIDEO

Enrico Mentana Fortune Italia

A quattro anni dal varo del giornale online Open, il bilancio di Enrico Mentana che discute di nuove frontiere dell’editoria, nuovi modelli di business, trasformazione del giornalismo e nuove opportunità per i giovani. Una versione di questa intervista di Emilio Carelli è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2023.

Difficile trovare le parole giuste per raccontare ciò che Enrico Mentana rappresenta per il giornalismo italiano. È uno dei professionisti più longevi, rispettati e credibili del mondo dell’informazione. Una credibilità conquistata quotidianamente, in oltre 40 anni di professione, con un modo di fare informazione coraggioso, corretto e trasparente. Dagli anni ’80 ai nostri giorni Mentana ha attraversato e raccontato, per gran parte del tempo dalla tolda di comando dei principali telegiornali, un Paese che è passato dagli eccessi del post boom economico della ‘Milano da bere’ alle stragi di mafia, al declino industriale, da Mani Pulite al berlusconismo, alle guerre tra politica e giustizia. Ha cominciato in Rai, al Tg1 e al Tg2, che ha lasciato da vice direttore. Ha fondato e guidato il Tg5, telegiornale della tv commerciale di Silvio Berlusconi, facendolo diventare uno dei due tg più seguiti dagli italiani. Oggi dirige il Tg La7. In questi anni, non pago dell’impegno professionale come direttore di testata, è diventato anche editore. Nel dicembre del 2018 ha varato Open, un giornale online con una ventina di giovani giornalisti assunti. Nell’aprile del 2022,  è nato anche Domino, mensile di geopolitica che l’editore Mentana ha affidato all’analista e saggista Dario Fabbri, nominato direttore editoriale. Per capire come cambia l’editoria italiana, chi sono i protagonisti, quali sono gli sforzi che le imprese editoriali fanno per restare sul mercato, Emilio Carelli ha intervistato per noi Enrico Mentana. Sono amici. Hanno fondato assieme il Tg5, poi le loro strade si sono divise, perché Carelli ha prima creato TgCom e poi ha inventato e lanciato in Italia il primo canale All News, Sky TG24, nell’agosto del 2003.   – di P.C.

Il 18 dicembre scorso Open ha compiuto 4 anni. Tu, come editore, che bilancio fai di questa avventura sia dal punto di vista giornalistico ma anche umano, culturale?

Quando ho iniziato il mio percorso professionale, 45 anni fa, ogni giovane che fosse mediamente in grado di farlo, diventava giornalista. Per un giovane di oggi è molto più difficile. Allora ho voluto coniugare due cose: il fatto di voler fare un giornale online, cioè l’innovazione che supera tutti quelli che sono gli stenti che conosciamo nell’editoria tradizionale, e però soprattutto fare quello che gli anglosassoni chiamano il ‘give back’, cioè restituire un po’ della fortuna che ho avuto io. E con Open in quattro anni praticamente venti giovani sono già diventati professionisti perché l’intento era di fare un giornale di giovani per i giovani, online, destinato soprattutto allo smartphone ma che creasse contemporaneamente anche delle nuove professionalità. Era quello che volevo e penso di avercela fatta. Poi ovviamente c’era l’altra questione, l’altra scommessa: fare un prodotto innovativo che entrasse nelle abitudini della gente e questo voleva dire una sostenibilità economica.

Come modello di business come siete riusciti a farlo funzionare? So che negli ultimi due anni avete raggiunto il break-even ed anche qualche utile.

Break-even al terzo anno e adesso siamo all’attivo e questo si è conseguito innanzitutto credendo nella pubblicità, cioè credere che sostanzialmente se un prodotto è fatto a regola d’arte, e suscita l’interesse di chi deve leggere le notizie, soprattutto sullo smartphone o attraverso gli altri device, c’è la possibilità di ottenere una raccolta pubblicitaria adeguata a far quadrare i conti. Ma i contenuti privilegiati del web a questo punto sono anche monetizzabili in altro modo. Se fai il fact checking, se le tue notizie sono considerate così interessanti da entrare nel bouquet dei motori di ricerca, è ancora meglio. Poi c’è stato anche un altro fatto. E cioè di avere, con l’intrapresa di Open, creato anche un’altra cosa che è venuta quasi per caso e cioè Domino.

Infatti dopo tre anni di vita online quasi un anno fa, nel marzo del 2022, c’è stato un ritorno al cartaceo con la nascita di Domino, mensile di geopolitica, edito da Open, che si è rivelato a livello di vendite un successo giornalistico ma anche economico. Non è che Open è in attivo anche grazie agli utili del cartaceo?

È stato sicuramente un altro elemento che ha contribuito a migliorare i conti economici di Open. Un’iniziativa nata quasi per caso quando è scoppiata la guerra russo-ucraina. L’idea mi è venuta quando ho conosciuto Dario Fabbri ospite delle nostre maratone tv, che ora è il direttore di Domino, ed ho capito che lui aveva delle potenzialità. Giustamente tu fai notare quella che sembra la contraddizione fra il giornale online, innovativo e il ritorno al cartaceo con Domino. Io credo assolutamente, l’ho sempre creduto e continuo a credere che i giornali cartacei sono in crisi, ma non i libri. Noi chiamiamo i giornali ‘quotidiani’ perché in realtà sono il frutto di un patto che viene fatto col lettore ogni giorno, ogni mattina. Io ti dico cosa è successo il giorno prima. Questo oggi è diventato anacronistico. Soprattutto per i giovani. Non è un caso che nessun giovane acquisti un giornale. Loro pensano: arriva la notizia, io la devo sapere subito. Ormai è la logica che chiamiamo Netflix. Ognuno si prende le cose dove vuole, quando vuole, attraverso lo strumento che vuole e questo vale anche per l’informazione. Ma non per il libro. La funzione del libro è rimasta intatta. Ed è quella di una lettura meditata e soprattutto di un prodotto che può essere conservato. E lo scaffale dei libri continua a essere quella cosa che rende insuperabile il libro cartaceo dalla sua riproduzione elettronica o digitale. Quindi ci sta benissimo che esista il prodotto delle news cartaceo, come Domino, fatto in maniera tradizionale anche perché va conservato e diventa un oggetto prezioso come sempre lo è un libro.

Come spieghi una grande concentrazione di potere nelle mani di pochi gruppi editoriali che fanno capo ai vari Zuckerberg, Elon Musk ed altri?Secondo te potrebbero rappresentare un rischio un pericolo per la democrazia a livello mondiale? A livello economico a volte superano il bilancio di alcuni stati.

Intanto non sono sopra le leggi, non possono essere sopra le leggi e non devono. A livello economico poi non c’è dubbio, ma questo è sempre valso per le grandi imprese. Per esempio quando l’Africa era ancora più povera di adesso chi gestiva le grandi multinazionali che agivano con le materie prime e prima ancora con gli esseri umani, era sicuramente più forte di interi Stati. La questione è un’altra. Non devono essere al di sopra delle leggi. Il sistema mondo deve essere in grado di essere superiore a queste grandissime realtà e saper imporre delle leggi che devono valere per tutti oltre che quelle del mercato che, come Musk ha sperimentato recentemente a sua volta, possono essere insidiose.

Parlando di televisione tu mi hai detto spesso che l’epoca d’oro della tv, quella degli anni ‘80 e ‘90 è finita. Perché?

La televisione era il mezzo vincente di quell’epoca, come lo è oggi il web. La televisione negli anni 80 e 90 era quella che faceva il gioco dal punto di vista della politica e degli interessi commerciali. Se avevi un’impresa da lanciare passavi attraverso la pubblicità in televisione, se eri un politico e volevi affermarti passavi attraverso la televisione. La grande battaglia politica di quegli anni si è combattuta tra le forze che appoggiavano la RAI o Berlusconi fino a quando Berlusconi non ha detto: “mi appoggio da solo”. È evidente che quella era l’età in cui il mezzo centrale era la televisione, quella a colori, nel pieno del suo dispiegamento con la legge Mammì che impose a tutti di fare informazione. Grandi entrate pubblicitarie consentivano di avere sempre maggiore possibilità di investimento nelle produzioni e tutto quello che abbiamo visto è erede di questo. Poi la televisione a sua volta è stata in buona parte superata. Ora è il televisore ad essere più forte della televisione, nel senso che il televisore è diventato il terminale di tante altre cose. Una televisione intesa come: tu fai quello che vuoi, io ti dico solo cosa ti offro. È l’on demand, che a sua volta sarà superato da qualcos’altro, in futuro.

La squadra di Open. Al centro Enrico Mentana e dietro di lui il direttore Franco Bechis

Tuo padre era giornalista, uno dei tuoi figli è giornalista. Qual è il consiglio più prezioso che gli hai dato o che gli vorresti dare?

Il consiglio che gli dò è di ragionare con la sua testa, di non dare per scontato niente e di tenere la schiena dritta anche nei confronti di se stesso, non solo nei confronti dei potenti. Bisogna avere una propria coerenza anche rispetto alle lusinghe dal basso, che sono quelle dei tempi che corrono. Oggi la nuova tirannia non è la tiratura, come era per i giornali, o l’ascolto, com’era per la televisione. Adesso la vera tirannia è quella che si chiama il clickbait e cioè fare le cose che hanno un grande successo di traffico, perché è questo che dà i numeri, la forza alle imprese del web.

Ma questo non è un po’ abdicare al proprio ruolo di giornalista? È vero che anche a Open si dà molta importanza alle pagine viste, al cosiddetto ascolto per scegliere poi su quali notizie puntare?

Sino a quando non esisterà un modo di fare informazione che è pagato dallo Stato o da qualche fondazione – e non è una cosa che io auspico – è il mercato a decidere. Il traffico è misuratore dell’ingresso della quantità di entrate pubblicitarie. Non se ne può fare a meno, l’importante è non abdicare al ruolo di giornalista.

Open resterà sempre gratuito per i suoi lettori o seguirà le orme di altre testate e diventerà a pagamento? Nella prospettiva ci sono gli abbonamenti?

Assolutamente no. Open nasce come iniziativa senza scopo di lucro. Tutti gli utili che sono stati ottenuti nell’ultimo anno sono reinvestiti nelle nuove assunzioni, nuove apparecchiature. Open non sarà mai una cosa per abbonati perché questo creerebbe una barriera. Io non credo che il futuro sia quello dell’informazione a pagamento. Vedo invece un ruolo importante di finanziamento svolto dalla pubblicità mirata che è già una caratteristica del web.

Con l’arrivo di Franco Bechis come direttore non c’è il rischio di avere anche a Open due Papi, uno in carica, Bechis, ed uno emerito, Mentana?

No. Innanzitutto Open è nato con me come editore e propulsore, che sono un rompiscatole, e un direttore c’è stato fin dall’inizio, Massimo Corcione, che veniva dal Tg5. E poi Open è un giornale online che vive nelle 24 ore: magari ci fossero tre Papi, cinque Papi! (ride, ndr). Non si fa mai abbastanza per controllare, vedere, consigliare, suggerire, anticipare. Chi conosce Bechis sa che sicuramente tra le tante caratteristiche che può avere non c’è quella di essere un lavoratore part time.

Parlando di giornali, secondo te è ancora valida la previsione che i giornali di carta stampata non esisteranno più fra qualche anno?

Mi pare abbastanza evidente e lo sanno gli editori dei giornali che stanno facendo una progressiva migrazione, forse tardiva, sul web. Oggi soltanto sei tra tutti i giornali superano le 40.000 copie vendute in edicola. Sarebbe stato impensabile vent’anni fa. Inoltre soltanto uno supera le 100.000 vendite in edicola ed è il Corriere della Sera. Questo vuol dire che la maggior parte delle persone ormai legge i giornali sul tablet, o sul computer, nella versione digitale. Questo fenomeno riguarderà probabilmente più la stampa nazionale e meno la stampa locale dove permane l’abitudine di andare a leggere sul giornale cosa è successo nella zona.

I social network sono diventati fonte e strumento di informazione. Com’è il tuo rapporto personale coi social?

Io penso che un operatore dell’informazione non possa restare sulla torre d’avorio. Certo, è vero che su alcuni social network rischi di venire stritolato, perché esistono gli haters. Lo abbiamo sperimentato con la pandemia e durante la guerra in Ucraina. Esistono comunque delle persone che agiscono sul web, soprattutto su Twitter, che una volta avremmo chiamato bastian contrari. Non ascoltano le ragioni degli altri e mirano a infangare, a colpire, ad avvelenare i pozzi. Tu però, operatore dell’informazione, ci devi essere, proprio per misurarti e anche far vedere che non hai paura.

Gli adolescenti di oggi non leggono i giornali e guardano pochissimo i telegiornali. In che modo potremmo coinvolgerli nel mondo dell’informazione? O tra qualche anno non avremo più né lettori né telespettatori di tg?

Tutto questo vale anche per la lirica, per i teatri e anche i cinema. Il cambiamento tecnologico col digitale evidentemente fa delle vittime. Perché un giovane non legge il giornale? Perché dovrebbe aspettare la mattina dopo per leggere le notizie del giorno prima, scritte in modalità e su argomenti che non lo riguardano? Ormai i giornali sanno che i loro lettori hanno 50/60 anni e quindi per temi e per linguaggio si rivolgono a loro. E quindi ancor di più il prodotto diventa lontano, distante e poco potabile per le nuove generazioni.

Come vedi il futuro di Enrico Mentana? Sempre in tv o totalmente dedicato alla nuova creatura Open? Più direttore o più editore?

Ho appena compiuto 68 anni. Bisognerà anche decidere cosa fare da grande. Più editore, spero. Cioè finché posso faccio il giornalista. Io però ho presente alcuni vecchi giornalisti che li vedevi in onda e dicevi: ma questo quand’è che se ne va in pensione? Quand’è che lascia lo spazio ad altri? Perché è bello dire che ho la coscienza a posto per ho creato venti posti di lavoro per i giovani, però il posto più interessante è quello che sto tenendo ancora occupato io. Detto questo finché ce la faccio, finché ho il feedback di un editore che investe su di me, almeno da questo punto di vista sono garantito.  Il mercato decide per me e quando quando sarò diventato qualcosa di antiquato verrò tolto, giustamente, dalla logica degli ascolti dell’editore che mi dirà: “adesso ho preso uno meglio di te”. Come editore invece spero di poter continuare molto a lungo, fino a quando avrò il senno per farlo. Poi ci sono sempre quelli che dicono che i settant’anni di oggi sono come i cinquant’anni di venti anni fa. Sono i settantenni a dirlo però, e non sono credibili.

Una versione di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2023. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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