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Giovani e lavoro, manca la voce della generazione dimenticata

“La settimana scorsa ero a un convegno di amministratori delegati”. Riccarda Zezza è imprenditrice sociale, innovatrice e – tiene a sottolinearlo – mamma. Nel 2015 ha fondato ‘Lifeed’, una società di education technology che trasforma le transizioni di vita e le relazioni di cura in momenti di apprendimento e di sviluppo delle competenze soft. Ma da sempre si batte per donne, giovani e lavoro. Quando le chiediamo se il video (diventato virale) dell’ingegnera di 27 anni che ha rifiutato uno stipendio da 750 euro lo ha visto anche lei, risponde: “Certo”. E poi comincia a raccontare di un convegno. Secondo Zezza, dell’intera vicenda di Ornela Casassa – questo il nome della protagonista del video – è sfuggito a molti un punto cruciale.

Riccarda Zezza, Ceo di Lifeed

“L’argomento del convegno era, neanche a dirlo” ride, “giovani e lavoro”. “In sala c’erano cinquanta uomini bianchi tra i 50 e i 60 anni. E a un certo punto mi hanno chiesto di parlare perché avevano bisogno di ascoltare qualcuno che fosse diverso da loro: una persona bianca di 50 anni ma donna“.

“Mi sono sentita una rappresentante della ‘categoria giovani’ in quanto femmina. Ma la cosa che mi ha davvero stupito è che chi era lì dentro, fino a quel momento, si era arrovellato attorno a un discorso retorico che non avrebbe portato a nulla. Che senso hanno incontri del genere se poi i giovani neanche ci sono? Gli spunti di riflessione dovrebbero partire da chi lo desidera, il cambiamento. O no?”, cerca di provocare. E ci riesce benissimo.

La verità è che la domanda di Zezza spiazza. E ci mette davanti a due facce della stessa medaglia che per definizione non possono incontrarsi, e allora dialogare. I giovani non erano presenti perché non invitati o perché se ne fregano fin quando hanno le spalle coperte dai genitori? Viene da domandarsi.

Il video di Ornela, la giovanissima che si è lanciata in uno sfogo sulla situazione sua e di tanti altri costretti ad accettare “stipendi da fame”, ha fatto scalpore e ha scaturito reazioni contrastanti per una serie di ragioni. Tra chi l’ha accusata di essere viziata (“Con 750 euro puoi viverci benissimo”) a chi le critiche le ha mosse a un sistema che agisce dall’alto: costruito su basi paternaliste preconcette.

Ma l’aspetto più importante, sostiene Zezza, è proprio questo. “Emerge tutto il gap. Il buco che c’è dall’una e dall’altra parte. Sono i capi che occupano i piani alti a non essere disposti a scardinare un sistema ingiusto, oppure c’è poca mobilitazione da parte dei diretti interessati? La risposta è: entrambe le cose”.

Quella dei ‘giovani di oggi’ è una generazione precaria. Contraddistinta dalla condivisione di uno svantaggio, in termini socio-economici, rispetto alle generazioni precedenti: dalla disoccupazione, alla differenza tra i redditi, alle condizioni contrattuali e alle tutele con cui si relazionano all’esperienza lavorativa, fino alle pensioni. Una generazione che tuttavia, ritiene Zezza, “pare non mobilitarsi abbastanza per i propri diritti”. Casassa ha fatto parlare di sè perché il suo messaggio è stato forte, ma anche perché è stata una delle poche ad esporsi. “È una voce sola. Sotto i trent’anni, e a volte anche dopo, ci hanno abituati a tenere il capo chino e ad accettare. Tutto”.

Il leitmotiv sembra essere: “L’Italia è il Paese dei mammoni”. Consapevoli. La stessa ragazza ha ammesso di aver rifiutato l’offerta solo poiché poteva permetterselo, in quanto i genitori le avrebbero rimesso un tetto sulla testa se avesse perso l’affitto. “Che con 750 euro in una città come Milano di certo non puoi coprire. Oppure sì, ma morendo di fame”, sbotta l’imprenditrice.

Altri ragazzi avrebbero dovuto accettare. Perché ci hanno insegnato che le occasioni sfuggono e di fatto è così. “Non voglio dire che succede solo nel nostro Paese, ma quasi. A 27 anni sei adulto. Se però hai davanti una nazione paternalista come la nostra ti continueranno a trattare da figlio che ha una vita non autonoma finché potranno. E non fa bene a nessuno, Stato compreso. Al lavoro ti danno il contentino. Sembra che pagando, anche poco, ti facciano un favore. Ma tu stai svolgendo il tuo lavoro! Quei pochi che si ribellano se non ce la fanno vanno via. E poi c’è chi piange e grida alla fuga dei talenti”.

In Italia ci formiamo tanto. Lauree, specializzazioni, master. “La formazione è importante ed è un investimento, non tempo perso“, precisa Zezza. Ma bisogna che sia accompagnata da una cultura che veda i giovani adulti come giovani adulti che contribuiscono. E che ci credono.

Se la voce si alza anche da chi sta in basso il cambiamento diventa più rapido. Il problema è che spesso i giovani vengono tenuti in silenzio perché ritenuti poco capaci o peggio, sono proprio i giovani a non protestare e ad abituarsi all’accettazione passiva. “Gli si dice: ‘Prendete ciò che viene’. E loro lo prendono, anche quando non è ciò che vogliono e sanno di subìre un’ingiustizia”, dice ancora Zezza. “Così crescono, non sono più giovani e viene detto loro che non sono più in tempo per parlare. Non è mai il momento opportuno“. Ma se non c’è né confronto né collaborazione tra le parti, come destrutturare il sistema?

“Innanzitutto, il sistema non riuscirai mai a individuarlo nella singola persona perché presi uno ad uno tutti si appellano al buon senso. Sicuramente non è un problema solo italiano. Nel mondo ci sono dati che riportano il divario salariale tra i capi d’azienda e i dipendenti, per cui si arriva a moltiplicatori di dieci e venti volte di differenza tra il salario di chi inizia a lavorare e quello di un direttore”, spiega Zezza.

Non si sta distribuendo la ricchezza in modo sano. La povertà aumenta. E come sempre: a pagarne le spese sono i giovani e le donne. Secondo uno studio dell’Osservatorio JobPricing in collaborazione con Lhh Recruitment Solution (Gruppo Adecco) citato da Zezza, in Italia è come se le lavoratrici iniziassero addirittura a percepire lo stipendio l’11 febbraio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio.

Nel 2021 il pay gap calcolato sulla Ral annuale in Full Time Equivalent (Fte) nel settore privato (ad esclusione di sanità e istruzione private) è stato dell’11,2% (3.500 €) e del 12,2% (3.800 €) considerando la Rga (Retribuzione Globale Annua, comprensiva cioè della parte variabile).

Le aziende e le organizzazioni come le imprese sociali si danno nel loro codice etico un massimo moltiplicatore che ci può essere tra il livello più basso e quello più alto. “Va messo un tetto sopra per alzare il pavimento sotto. E siccome il tetto devono metterlo quelli che stanno sopra…”, Zezza non prosegue e lascia intendere.

Il dramma è che il “fantomatico sistema”, come lo definisce la founder di Lifeed, regge perché non c’è abbastanza pressione all’interno di nessuno strato sociale. Le donne forse si fanno sentire un po’ di più, ma i giovani molto poco. E per questi ultimi poi, le famiglie fungono da ammortizzatore.

“Se si creasse almeno un cordone, com’è che si dice? L’unione fa la forza”, commenta Zezza, che poi aggiunge: “Le maggiori sfide”, ça va sans dire, “adesso spetteranno al Governo”.

Nel contesto attuale, a livello economico è come se fosse stato stabilito che ad interessarci sia di più il breve termine, che ripaga più velocemente. “In teoria le istituzioni dovrebbero mettere delle strutture, o così era quando studiavo io. In alternativa succederà che presto ci si accorgerà che con proposte come quelle fatte ad Ornela, si tratterranno solo quelle persone che non possono permettersi di scegliere. Perdendo ragazzi e ragazze validi”.

“Questa non è una questione di genere. È una questione generazionale“, chiosa Zezza. Ai tavoli tematici organizzati dai ‘grandi’ per discutere di lavoro, andrebbero invitati i ‘giovani’. E i giovani dovrebbero pretendere di essere invitati. È banale: ma saranno i grandi di domani.

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