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Cultura digitale e nuove competenze, l’importanza dell’innovazione e della formazione

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Marcello Presicci*

Marcello Presicci*

“Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato, con intelligenza e passione. Per farlo dobbiamo cambiare lo sguardo con cui interpretiamo la realtà. Pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione”.

Sono le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a indicare come in Italia si registri alcune volte un ritardo nella programmazione dei piani di sviluppo, degli aggiornamenti professionali e in generale del consolidamento della propria formazione.

Il nostro Paese ricopre le ultime posizioni in Europa per ciò che riguarda le tematiche legate alla trasformazione digitale. Secondo l’ultimo report di Ambrosetti l’Italia infatti è al 18esimo posto su 27 Paesi Ue nell’Indice Desi (Digital Economy and Society Index). È al 24esimo posto per le competenze digitali di base. È al 25esimo per la sua capacità di dialogare in modo digitale con la Pa (solo il 40% dei cittadini italiani contro il 65% degli europei). È al 21esimo posto nella classifica delle aziende dotate di un sito web con funzionalità avanzate.

Come ha affermato giustamente Maximo Ibarra, amministratore delegato di Engineering, nell’ultimo Meeting di Rimini, “in un Paese in cui il numero di laureati Stem è ancora lontano dalle medie europee, bisogna garantire a tutti il diritto allo studio, superare definitivamente il Digital divide e diffondere la cultura del digitale, offrendo alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi percorsi di formazione in grado di colmare lo skill mismatch tra quanto richiesto dal mondo del lavoro e l’offerta di professionisti qualificati e aggiornati”.

Ciò risulta ancora più urgente dal momento che l’Italia ha competenze digitali piuttosto carenti: non solo quelle di base diffuse tra i cittadini, ma anche sul fronte delle imprese, dove l’incidenza degli esperti in Ict sul totale degli occupati è pari al 3,8% (rispetto a una media europea del 4,5%). Le aziende inoltre sono molto restie a condividere i dati e a formare ecosistemi digitali, problematica certamente dovuta ad una visione miope dell’attuale classe dirigente.

È opportuno tuttavia distinguere fra competenze e cultura digitale: le competenze sono insiemi di saperi che permettono di procedere spesso a corto raggio, fondamentalmente con un approccio tattico, mentre la cultura digitale rappresenta la capacità di adottare una visione a lungo raggio, con un approccio strategico che viene sorretto dall’aggiornamento delle competenze stesse. È quindi necessario un modello formativo fondato sul ‘Continuous learning’, vale a dire un processo di apprendimento di nuove abilità e conoscenze su base continuativa. Infine bisogna investire nell’innovazione e nelle persone, soprattutto nei giovani con competenze diversificate, in continuo aggiornamento e tra loro complementari.

* Marcello Presicci è presidente Advisory board Fondazione educazione finanziaria

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