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Economia della felicità, perché gli italiani sono al 33esimo posto del ‘World Happiness Report’ dell’Onu

C’è chi la cerca, chi prova a raccontarla nei libri o nei film. Chi sostiene che sia dietro l’angolo, nelle piccole cose. La verità è che la felicità non ha una forma, ma occupa uno spazio. E nel mondo, questo spazio ha una geografia precisa: quella dei Paesi più produttivi.

Sembrerebbe un sentimento difficile da misurare. Eppure ogni anno, in occasione della Giornata Internazionale della Felicità, l’Onu stila il ‘World Happiness Report’, che attraverso particolari criteri mette in fila i Paesi di tutto il mondo in base a quanto sono felici i cittadini che li abitano.

Non è un dato nuovo: il benessere delle persone influisce su quello del Paese, anche economicamente. E per questo si parla di ‘economia della felicità’: un sistema circolare in cui cittadini più felici portano più produttività (e viceversa) e l’economia nazionale ne giova.

Quest’anno, al primo posto in classifica – su un’analisi condotta su 137 Paesi – si riconfermano gli scandinavi. Per il sesto anno consecutivo dal 2016 stravince la Finlandia, a cui seguono la Danimarca e l’Islanda. Mentre l’Italia si colloca in 33esima posizione. Lontana dalla Germania (in 16esima) e pure dalla cugina Francia (in 21esima).

L’Italia in 33a posizione secondo il ‘World Happiness Report’ 2022.

I cinque criteri di cui tiene conto il report sono il supporto sociale, il reddito, la libertà nelle scelte di vita, la generosità e l’assenza di corruzione. Valori però non sempre facilmente misurabili. Sulla lista pubblicata dall’Onu infatti, non sono tutti d’accordo. E il perché lo ha spiegato a Fortune Italia il sociologo Domenico De Masi.

No: la produttività non rende necessariamente più felici

“A quanto pare per essere felici bisogna avere almeno sei mesi di giorno e sei mesi di notte. Insomma, vivere soprattutto al buio. Come in Islanda. O bisogna essere in guerra permanente e subire almeno un attentato al giorno. Come in Israele, che secondo il report è al quarto posto. O peggio ancora, essere iper-produttivi in un mondo che grida di voler riposare. In questo indice c’è qualcosa che non funziona”, ha subito puntualizzato, con una nota di ironia, De Masi.

Domenico De Masi, sociologo

Si darebbe per scontato che i Paesi nei quali si vive meglio siano quelli senza conflitti, povertà estrema e malattie epidemiche. E in effetti Paesi come l’Afghanistan, il Niger e anche l’Ucraina sono sul fondo della classifica.

“L’Afghanistan è ultimo. Ma l’Ucraina è 92esima. Mi chiedo cosa si intenda, allora, per felicità”, ha commentato De Masi.

Il primo indicatore cruciale per il World Happiness Report è il rapporto dei cittadini con le istituzioni. I finlandesi hanno un alto livello di fiducia sull’onestà e integrità del proprio governo. Vi è un forte legame con lo Stato e questo fa sì che si generi una solidarietà civica che si concretizza in una fiducia reciproca tra le persone.

In Danimarca, allo stesso modo, i sondaggi rivelano che i cittadini nutrono fiducia nelle istituzioni ed anche se pagano tasse elevate non si lamentano a fronte dei servizi che hanno in cambio, con un forte senso di responsabilità sociale condivisa.

“Certo, nel nostro Paese la situazione è diversa. C’è scetticismo, ci sono una diffusa percezione di inefficienza e corruzione. Ma avere fiducia equivale ad avere soprattutto tranquillità. Ed è un concetto un po’ diverso da quello di felicità”, ha detto De Masi. “Io posso essere tranquillo perché il mio Paese paga le pensioni, ma non è detto che sia felice per questo. Felicità, non è banale dirlo, è gioia. E sono sicuro che l’Italia, come tanti altri, sia un Paese abbastanza felice. Solo non è facile monitorare certi parametri, per cui anche i dati di queste classifiche vanno presi con le pinze”.

Nello specifico, De Masi ha sottolineato come il reddito ad esempio sia solo uno dei metri da considerare nell’analisi della prosperità di una nazione. Ed anche il più “facile”.

“Si prende il reddito complessivo, si divide per il numero degli abitanti, e si sa qual è il nostro reddito pro capite. La salute è molto più difficile da valutare, perché uno si sente sano e magari non lo è”, ha fatto notare il sociologo. “Poi sì, il sistema sanitario è praticamente in crisi in mezza Europa, con la cronica carenza di medici e infermieri. Ed è chiaro che un welfare sociale efficiente generi nel cittadino un sentimento di supporto sociale, fondamentale”.

A De Masi alcuni conti non tornano. Il Giappone, dove alcuni aspetti relativi alla sicurezza sociale sono molto garantiti, è al 47° posto. Il Portogallo, in cui il costo della vita è molto basso – tanto da far emigrare gli italiani pensionati alla ricerca di serenità – addirittura al 56° posto. La Cina, dove la povertà negli ultimi anni è stata sconfitta con il ‘miracolo di Xi Jinping’, al 74° posto. 

“In sociologia si parla di alienazione. L’uomo diventa un semplice esecutore, un ingranaggio del sistema produttivo. Chi si trova in uno stato negativo finisce col pensare di trovarsi in uno stato positivo. Mi comporto come se fossi più ricco di quanto sono. Questo significa che spesso il concetto di felicità è connaturato anche a fatti educazionali”.

Come ha scritto Giacomo Leopardi, l’immaginazione è la prima fonte della felicità umana. In ogni caso, ritiene il sociologo, l’equazione maggior produttività uguale a maggior felicità, non è esattamente veritiera. Anzi. L’ansia sociale consuma, la foga di voler fare sempre più e sempre meglio anche.

Mandare messaggi di questo tipo, attraverso report come quello della Giornata Internazionale della Felicità che sembra quasi dettare per inciso delle linee guida per essere felici, in realtà, paradossalmente diventa anti-produttivo. 

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