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Simone Dattoli: Professionalità primo driver di innovazione

Ne è convinto Simone Dattoli, amministratore delegato e fondatore di inrete. la sua strategia per la crescita

Innovare vuol dire portare un cambiamento positivo nel settore in cui si opera, ma prima di ogni cosa significa saper affrontare la vulnerabilità e l’incertezza che ne derivano.  Per raggiungere simili traguardi non basta la capacità di intuire i cambiamenti, servono competenze che permettano di sfruttare le opportunità e un team di professionisti in grado di sostenere il processo di crescita. Ne abbiamo parlato con Simone Dattoli Ad e Fondatore di Inrete.

Nella ‘Lista Fortune Italia 2022 – Campioni del Public affairs’ si posiziona al 2° posto tra i lobbisti con maggiore reputazione e la sua Inrete ha fatto registrare una crescita del fatturato 2021 del 39%. Quali i vostri punti di forza?

Il secondo posto in questa classifica è stato sicuramente un piacevole riconoscimento per quello che è stata una crescita personale a livello professionale. Tuttavia, è anche il risultato del lavoro di tante altre persone perché, in fondo, io sono solo il portavoce di una realtà costituita da persone preparate e appassionate che hanno permesso a Inrete di crescere sempre e in maniera costante nel corso degli anni. In particolare il nostro gruppo manageriale nell’area Public affairs composto da Natalia Lulli, Simona Corcos, Fabio Gnoffo e Davide Minchella, oltre al mio socio Luca Simonato, è un grande esempio di affiatamento e capacità di contaminazione delle competenze.

Quando siamo nati, nel 2011, la nostra idea era quella di creare una realtà che potesse porsi come punto di congiunzione tra il mondo istituzionale e quello imprenditoriale con un approccio nuovo, diverso da quello “più giuridico” e basato su vecchi meccanismi utilizzato dalle agenzie già presenti sul mercato. Una scelta vincente che ha determinato una crescita costante, come evidenziano i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti nel corso del tempo, proseguita nonostante l’aumento della competitività interna al settore del Public affairs, come si rileva anche dalla vostra classifica e dai risultati del 2022 che ci hanno consentito di registrare un fatturato superiore ai 10mln di euro.

Raggiungere questi obiettivi e mantenere standard così alti, però, ha richiesto un costante aggiornamento dei servizi e l’individuazione di soluzioni innovative, che ci permettessero di essere degli anticipatori dei trend di mercato. È da qui che nasce il nostro “approccio circolare”, in cui tutti le nostre attività sono poste al servizio del cliente in maniera integrata, così da garantire la risposta più efficace determinata sulla valutazione strategica elaborata dalle nostre diverse divisioni specializzate: Lobbying e Advocacy, Eventi, Digital PR e Media Relations.

Tra le vostre attività di Public affairs, quella in cui vi siete distinti è l’advocacy. Qual è il vostro approccio e quanto peso ha avuto nella vostra crescita?

Credo di poter affermare che la nostra società sia stata la prima in Italia a sviluppare l’attività di advocacy, ormai talmente diffusa che alcune agenzie la inseriscono addirittura nel loro payoff. Nel tempo, noi abbiamo dimostrato più volte di avere quella capacità di intuire la curva che prenderà il contesto in cui ci muoviamo, riuscendo ad individuare quelle attività che possono essere più utili e funzionali a raggiungere gli obiettivi dei nostri clienti e, contestualmente, cercare di apportarvi delle innovazioni. L’advocacy può essere identificata come caso studio. Iniziando in un in un contesto in cui le società di lobbying facevano solo la classica rappresentanza d’interessi, cioè il monitoraggio e la parte di accreditamento con modalità cristallizzate su un iter standardizzato, noi abbiamo cercato di essere disruptive, creando nuove forme di accreditamento, legate non solo alla creazione di contenuti ma anche ad attività di stakeholder engagement costruita sugli eventi e sulle connessioni, sull’apporto di valore e, ove possibile, di empatia con i nostri clienti. Nel corso degli anni, poi, con il boom dei social media abbiamo aggiunto altre attività che oggi riempiono questo “bouquet di servizi”, che compongono l’advocacy, con Media Relations e Digital PR, che ormai rivestono un ruolo importantissimo perché, ormai, tutto si svolge alla velocità di un click. Oggi un post di uno stakeholder su una determinata tematica può generare più effetti di 1000 appuntamenti con i rappresentanti istituzionali.

Ormai molta dell’attività di advocacy si svolge a Milano e il lobbying a Roma. È questa la nuova geometria del Public affairs?

In realtà non analizzerei la questione sotto il profilo della direttrice geografica quanto sotto quello della rilevanza delle competenze, perché se Roma è la patria delle istituzioni, Milano è la capitale della comunicazione. Oggi è sempre più importante creare un’integrazione di competenze e di attività ciò vale per le aziende così come per le istituzioni, perché l’obiettivo finale deve essere sempre quello di attivare il maggior numero di sinergie tra interessi, punti di vista e peculiarità geografiche differenti.

È sulla base di questo approccio che, dopo lunghe riflessioni, abbiamo deciso di aprire una sede a Bruxelles posizionandoci anche su questo terzo asse, al fine di offrire ai nostri clienti un servizio ancora più completo che comprendesse il Parlamento e le istituzioni europee con le loro specialità.

Ha parlato di divisioni specializzate, ma a differenza di vostri competitor, queste non sono unità presenti al vostro interno ma le avete sviluppate come veri e propri spin-off. Perché?

Questo fa un po’ parte del nostro spirito e del mio modo di guidare la società con uno spirito inclusivo e non esclusivo. Come detto anche prima, il nostro obiettivo è quello di offrire al cliente dei servizi migliori puntando sullo sviluppo di competenze sempre maggiori. Public affairs, Eventi (con il team guidato da Nagaia Burbi) e Media Relations (con il Paola Blasi e Chiara Signorotto) sono attività core che gestiamo internamente. Per raggiungere lo scopo di essere più competitivi e presenti sul mercato ho ritenuto che fosse più produttivo sviluppare delle nuove realtà specializzate con professionisti che avevano già dimostrato di essere dei campioni in quel campo. Da questa visione sono nate Inrete Digital, Inpagina e Inrete Green che offrono supporto alle aziende e alla stessa Inrete nella realizzazione di tool e progetti legati ai settori media, digital e sostenibilità economica e ambientale.

Il settore del Public affairs sta cambiando velocemente, quali sono gli obiettivi futuri di Inrete?

In maniera scherzosa – ma non troppo – rispondo che non posso svelare i nostri obiettivi futuri, perché perderemmo quel vantaggio competitivo e quell’innovazione a cui facevo riferimento prima. In merito al mercato posso dire che, se è evidente che il processo di contaminazione e ibridazione tra il mondo del public affairs e quello della comunicazione è una cosa assodata, resta invece da capire come questo processo influirà sulla crescita delle varie agenzie. Parliamo di due mercati contigui, ma caratterizzati da un diverso grado di “frammentazione”: quello della comunicazione ha meno attori con un monte capitale molto più ampio, quello del Public affairs ha invece molte agenzie e un monte investimenti sicuramente inferiore.

Partendo da questi presupposti, sarà interessante vedere cosa deriverà dall’unione di questi due mondi.

 

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