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Future of Work Week, il modello Cisco: migliorare benessere e produttività dei lavoratori

Siamo lontani anni luce dalla grande azienda e dal ‘Megadirettore Galattico’ intento a verificare continuativamente che i propri impiegati siano costantemente seduti alla propria scrivania chini sul proprio lavoro. Oggi parlare di lavoro e di ufficio significa contestualizzare e mettere a terra concetti come lavoro agile, interconnessione, bilanciamento tra tempo lavorativo e spazio per il sé. 

Tanta carne al fuoco che è stata al centro dell’apertura odierna della prima edizione milanese della Future of Work Week organizzata da Cisco Italia. Una quattro-giorni per fare il punto su come aziende e professionisti intendono il modo di lavorare odierno. Immaginando soprattutto ciò che significherà “lavoro” nel prossimo futuro.

Oggi tutto il mondo del lavoro è cambiato. Non solo rispetto a quello della Milano da Bere degli anni Ottanta, dove frenesia e carriera a tutti i costi prestare attenzione al rapido scorrere del tempo era la forza che guidava gli Yuppies con l’orologio sul polsino e le Melanie Griffith intente a fare carriera tra i grattacieli newyorkesi. 

È tutto un altro mondo anche solo se ci voltiamo indietro a guardare all’era pre-Covid. “Già prima i modelli organizzativi del lavoro erano rimasti schiavi di un modo di lavorare non più attuale. Poi è arrivato il Covid che ha imposto lo smart working come strumento di resilienza. E ha trasformato velocemente anche il contesto normativo che aveva iniziato a regolare il lavoro agile qualche anno prima”, ha illustrato Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Che ha anche aggiunto come l’instabilità innescata nel mondo del lavoro dalla pandemia sia tuttora presente: qualcosa di simile alla definizione di ‘Permacrisis” stilata dal vocabolario inglese Collins. Una instabilità che poggia su gambe piuttosto robuste che si chiamano ‘work-life balance’, movimento ‘Yolo’ (You only live once) e ‘quite quitting’.

Gli esperti hanno spiegato come giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro o di un nuovo collocamento professionale, prima della Ral (retribuzione annua lorda), oggi domandano: com’è l’ufficio? quale flessibilità di lavoro c’è per questo ruolo? quali sono le politiche Esg (Environmental, social, corporate governance) aziendali? 

Gianmatteo Manghi. Il Ceo di Cisco Italia alla giornata introduttiva del Future of Work Week promossa per approfondire i temi relativi al Futuro del Lavoro . ANSA / MATTEO BAZZI

Quesiti che impongono alle aziende che devono assumere e ai consulenti che devono aiutarle a tratteggiare il futuro del mondo del lavoro di riflettere su diversi aspetti. Dal fatto che i collaboratori vanno sempre più considerati persone piuttosto che dipendenti, al ruolo di una tecnologia sempre più centrale per massimizzare la resa sul lavoro, il quale è funzione diretta del benessere sociale del collaboratore. Tutto si traduce nella necessità di immaginare e realizzare spazi di lavoro innovativi capaci di rispondere a tutte queste esigenze.

Di fatto le caratteristiche dello spazio del lavoro, che non sempre coincide con il posto di lavoro, possono fare davvero la differenza rispetto alla performance e alla soddisfazione del collaboratore. 

Come dimostrano i primi risultati di un progetto che Cisco Italia sta promuovendo in Europa e presto anche in Africa e Usa.  Ha dettagliato Gianpaolo Barozzi, Cisco People Experience Innovation Lead: “Il progetto ‘Venywhere: The Future of Work Living Lab’ ha permesso a 12 dipendenti, su base volontaria, di andare a lavorare a Venezia tra appartamenti studiati per avere uno spazio dedicato al lavoro e aree di coworking identificate insieme ai partner Università Ca’ Foscari e l’incubatore Venisia.

Ebbene, dopo tre mesi di sperimentazione abbiamo misurato performance notevolmente migliori rispetto a quando le stesse 12 persone lavoravano in sede. Questo perché attraverso questa forma di lavoro ibrido abbiamo permesso un migliore bilanciamento tra vita privata e professionale, benessere e sostenibilità. Una casa attrezzata per essere anche luogo di lavoro rende più gestibile l’intera vita del dipendente. Che però non è costretto a starvi chiuso dentro come tutti abbiamo sperimentato durante il lockdown. Ma può scegliere di andare anche a lavorare in spazi condivisi dove ri-trovare le occasioni di socializzazione tipiche dell’azienda. Insomma le quattro chiacchiere che si fanno durante la pausa caffè”.

Il concetto espresso dagli esperti di organizzazione aziendale intervenuti è quello che porterà le nostre città a diventare delle “smart working cities”, le “città dei 15 minuti”, dove casa, lavoro e socialità siano vicini ed equidistanti, dove il pendolarismo si trasformi in mobilità.

Per raggiungere un tal ambizioso obiettivo è la tecnologia a farla da padrona. “Non solo come elemento abilitatore, ma come elemento fondamentale per consentire una mobilità lavorativa di  alta qualità. Cosa possibile solo se la tecnologia è di alta qualità”, ha aggiunto Barozzi.

Una domanda però sorge spontanea: posto che i dipendenti siano entusiasti di questo ‘lavoro ibrido’ – come lo ha chiamato l’esperto dell’ateneo milanese preferendo questa definizione a quella di smart working (che di smart ha insegnato di avere poco) – sarà pronta la classe manageriale a gestire una tale rivoluzione? E come si concilia un cambiamento di tale portata rispetto agli avanzamenti di carriera? Abituati come siamo, specie da noi in Italia, a voler vedere i propri sottoposti seduti alla scrivania per essere sicuri che lavorino e a premiare spesso e volentieri chi fa meglio bella mostra di se stesso piuttosto che coloro che lavorano a capo chino, lontano dal capo. Un quesito a cui ha voluto rispondere a Fortune Italia proprio l’amministratore delegato di Cisco Italia, Gianmatteo Manghi: “La vera sfida della rivoluzione del mondo del lavoro è creare una nuova cultura della leadership. Bisogna insegnare ai manager di tutti i livelli di porsi e porre obiettivi misurabili, più che misurare il tempo trascorso davanti al computer. È un processo che richiede tempo, perché si tratta di cambiare un modo di pensare. Ma quando è un sentire condiviso trasversalmente in azienda, si può fare. La tecnologia permeerà tutti i lavori. Ciò che posso dire con certezza è che più si va avanti più sarà difficile trovare lavoro per coloro che non avranno competenze digitali”.

Abbiamo colto l’occasione di poter parlare con il numero uno di Cisco Italia per condividere anche un’altra riflessione di sistema. Il nostro Paese è contraddistinto da un forte digital divide. Tra zone con infrastrutture digitali che possono consentire di arrivare a un mondo lavorativo come quello illustrato dagli esperti, e aree in cui ancora oggi non è facile avere una linea internet che permetta di fare una videochiamata senza rimanere ‘frizzati’. Con questa situazione non si rischia di avere sempre più un’Italia a due velocità e con due diverse opportunità di crescita lavorativa? In pochi penserebbero ad approcciarsi a una carriera digital-based in aree del Paese, remote ma non solo, dove l’Adsl è ancora una chimera…Ha chiosato Manghi dando una connotazione molto positiva all’incontro odierno: “Sono fiducioso che presto si arriverà a un grande miglioramento della infrastruttura digitale del Paese (anche in virtù delle misure ad hoc per il digitale previste dal Pnrr, ndg). Associando questa trasformazione alla ben nota attrattività che il nostro Paese ha per ragioni culturali, naturalistiche e climatiche, sono convinto che l’Italia possa giocare un ruolo davvero competitivo nell’evoluzione del lavoro”.

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