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Lavoro, in Italia 7 donne su 10 incappano in annunci discriminatori

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Gilead

Confusione, solitudine e rassegnazione. Se la corsa verso l’abbattimento del gender gap è partita, i dati emersi dall’Osservatorio Jobiri – consulente digitale di carriera basato sull’intelligenza artificiale – sugli ostacoli e le discriminazioni che subiscono le donne durante la ricerca del lavoro restano ancora piuttosto allarmanti.

Il mercato del lavoro italiano restituisce un quadro desolante dell’occupazione femminile: secondo l’Oecd, il tasso di partecipazione alla forza lavoro delle donne è del 48%, contro il 66% maschile. Ma oltre il danno la beffa, perché la quota di donne lavoratrici subisce marcati divari retributivi di genere, così come minori prospettive di carriera soprattutto in relazione a ruoli dirigenziali e di responsabilità. E soprattutto: le discriminazioni cominciano prima di ottenerlo, un lavoro.

I sentimenti più comuni provati da una donna durante un colloquio di lavoro sono quelli di chi si sente smarrito. Non si tratta semplicemente della fatidica (e illegale, lo dice il codice della pari opportunità) domanda: “Ha intenzione di avere figli?”, ricevuta comunque da oltre la metà delle candidate.

Secondo l’indagine, il 69% delle donne ha difficoltà ad interagire con i recruiter perché dall’altra parte della scrivania, troppo spesso, c’è chi pensa di potersi permettere la tracotanza di chi sta un gradino più in alto in una società in cui a comandare è stato storicamente e culturalmente l’uomo.

Lo studio è stato condotto tra gennaio e ottobre 2022, su un campione di 1.053 donne tra i 18 e i 65 anni. Oltre ai blocchi emotivi (il 71% delle candidate avverte appunto una forte confusione, il 69% prova solitudine, il 45% delle donne si sente rassegnata), sono evidenti altre difficoltà: quelle relative alla costruzione di un curriculum vitae efficace (l’86% non inserisce parole chiave), allo Skill Gap (il 39% non possiede le soft skills richieste nell’annuncio) e alle capacità di presentarsi a un recruiter.

Fonte: Jobiri

In parte la ‘colpa’ è proprio delle candidate, che non raccolgono, ad esempio, informazioni sul datore di lavoro (83%). Durante un colloquio poi, il 55% non dimostra entusiasmo per l’azienda o la posizione. E nel post-colloquio, il 92% delle intervistate non invia mail di ringraziamento ai selezionatori.

Tuttavia, va detto, ciò accade perché capita di sentirsi sminuite in partenza. In fase di candidatura ben il 71%, ossia sette donne su dieci, è incappata in annunci discriminatori (come quelli in cui senza mezzi termini vengono escluse le donne con carichi familiari). In fase di colloquio, il 56% delle intervistate ha ricevuto domande sullo stato matrimoniale. E in fase contrattuale, il 68% ha ricevuto un’offerta di stipendio più bassa rispetto ai colleghi.

Il (mancato) supporto istituzionale

Infine, a condizionare la vita professionale delle donne è anche la mancanza di un supporto adeguato da parte di servizi al lavoro offerti da scuole, enti di formazione, università, centri per l’impiego e sportelli lavoro: il 98% delle candidate segnala l’inadeguatezza dei software, il 97% delle intervistate lamenta l’insufficienza di banche date con offerte.

“Questo Osservatorio nasce con l’obiettivo di identificare gli ostacoli e le barriere che le donne devono, purtroppo, ancora oggi affrontare nella ricerca del lavoro e nel progresso della carriera”, è stato il commento di Claudio Sponchioni, Ceo e Co-founder di Jobiri.

Per superare i limiti fisici ed operativi degli attuali servizi al lavoro e rendere il supporto di carriera finalmente universale, moderno e a misura di persona, devono cambiare le modalità, gli strumenti e le tecnologie con cui le donne cercano lavoro ed al contempo come le Istituzioni gestiscono i servizi al lavoro e le politiche attive.

Non è più possibile rispondere efficacemente a problemi nuovi e più complessi con ricette del passato, perché se prima davano la speranza di pochi ma probabili risultati, oggi questa evidenza è pura disillusione che sta compromettendo le possibilità di crescita del Paese. E il futuro di milioni di donne e delle loro famiglie”, è scritto all’interno dello studio.

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