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Inflazione, le preoccupazioni di Monacelli (Bocconi): centrare obiettivi del PNRR per far ripartire l’Italia

Nonostante il prezzo delle materie prime stia calando e quello dell’energia non sia più ai livelli registrati negli scorsi mesi, l’inflazione fatica a rallentare. Il costo della vita, secondo alcuni economisti, sembra infatti essere spinto soprattutto dalla crescita dei margini di profitto delle aziende, cioè dal fatto che queste hanno alzato i loro prezzi più di quanto servisse per coprire i maggiori costi di produzione. Una teoria avvalorata anche dalla Banca Centrale Europea ma che non tutti gli esperti sembrano confermare. 

“Dal punto di vista logico non è scorretto immaginare che, sia negli Stati Uniti sia in Europa, i profitti delle aziende stiano dando un contributo sproporzionato nel determinare l’inflazione”, ci spiega il professor Tommaso Monacelli, docente di Economia all’Università Bocconi di Milano.

“Però non me la sentirei di confermare che quello che sta avvenendo sia un episodio inflazionistico in cui questi risultino particolarmente rilevanti e, soprattutto, prenderei le conclusioni della Bce con grande prudenza. Il problema, infatti, è che non lo sappiamo con certezza. Le analisi proposte hanno ridotto l’inflazione a una formula composta unicamente dalla componente profitti e dalla componente salari. Insomma, come se fosse una semplice decomposizione meccanica che si può calcolare come una somma e ciò non è possibile asserirlo né dal punto di vista statistico né dal punto di vista teorico-economico. La decomposizione dell’inflazione, messa in questo modo, implica infatti una relazione unidirezionale di causalità che parte dai profitti e va verso l’inflazione – la stessa che ha fatto emergere come, tra il 2022 e la prima parte del 2023, il contributo della prima sia stato particolarmente alto – ma in realtà la relazione si muove anche nella direzione opposta. Più alta è l’inflazione, più un’impresa vedrà erosi i propri prezzi rispetto ai propri competitor e cercherà di alzare i prezzi. Il rapporto tra inflazione e profitti è dunque molto più complicato da misurare e deve essere impostato almeno in maniera bidirezionale. 

L’impennata dei profitti potrebbe essere temporanea? 

Questo non è detto perché più l’inflazione è persistente, più sarà incentivo delle imprese voler incrementare i propri margini per non perdere quote di mercato e la propria posizione rispetto ai competitor. Inoltre, in questo scenario bisogna tenere a mente anche la presenza di una forza che limita, almeno in parte, l’incremento dei loro margini, ovvero le cosiddette considerazioni customer. Ogni società risulta infatti riluttante nel mostrare continui aumenti dei prezzi perché vuole salvaguardare la propria base di clienti. 

Quanto ha inciso l’aumento dei risparmi dei consumatori durante la pandemia sul persistere dell’inflazione?

Certamente la fase del Covid ha comportato un’accumulazione di risparmi particolarmente consistente e questa, quando si è liberata subito dopo e ha imposto una pressione automatica della domanda sui prezzi, è diventata un elemento scatenante dell’inflazione sia negli Stati Uniti sia in Europa. A consolidare poi un ulteriore impulso della domanda ci sono stati anche i successivi trasferimenti fiscali, gli assegni che l’amministrazione Trump prima e quella di Biden dopo hanno inviato ai consumatori americani. In Europa invece, ad indirizzare verso i consumi una grande quantità di risparmio sono stati soprattutto i costi dell’energia, del gas e del petrolio. Ma questi effetti ad oggi sono oramai marginali… 

Se il prezzo delle materie prime sta scendendo e il costo dell’energia non è più ai livelli degli scorsi mesi, perché l’inflazione continua a rimanere alta?

Questo è un punto centrale ed ha molto a che fare con la dinamica dell’inflazione. Soprattutto per l’Europa, si è tentato di dire che siccome i prezzi dell’energia si stanno manifestando in forte assorbimento dovremmo aspettarci un calo del costo della vita. Eppure, stando ai dati, questo non sta accadendo o sta accadendo solo in parte. La componente sottostante dell’inflazione al netto dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia, la cosiddetta componente core, non si sta infatti contraendo a causa del meccanismo delle aspettative.

Chiaramente quanto più le imprese tendono ad aumentare i prezzi per compensare il rialzo dei costi, tanto più il potere d’acquisto dei lavoratori verrà eroso e questi avanzeranno maggiori rivendicazioni salariali. L’avvio di tale dinamica porterà a catena ad ingrassare i costi del lavoro per le imprese che a loro volta li scaricheranno nuovamente sui prezzi.  Per cui, anche un’inflazione che parte dal lato dell’offerta si può trasformare, attraverso il meccanismo dei salari, in un’inflazione della domanda e questo può rendere la sua persistenza sostenuta nel tempo anche quando i prezzi dell’energia tengono a calare.

Perché l’inflazione italiana sembra essere più resiliente rispetto a quelle degli altri Stati?

Che l’inflazione sarebbe stata più testarda in un Paese come l’Italia, in realtà non era così difficile da prevedere. Ciò avviene perché questa ha un tessuto imprenditoriale diverso rispetto ai grandi Stati industriali europei come Francia e Germania. Il nostro, infatti, è un Paese caratterizzato dalla presenza molecolare di piccole e piccolissime imprese. Al contrario delle grandi aziende che hanno una capacità di assorbire quell’incremento dei costi in altro modo, queste sono molto più rapide nel trasferire gli incrementi dei loro costi sui prezzi. 

Quale pensa sarà il giudizio che emetterà Moody’s sulla sostenibilità del debito italiano?

Guardando ad oggi è probabile, e non così sorprendente, che ci sia una declassificazione del rating del debito italiano. L’Italia sta in parte fallendo sul PNRR e, da questo punto di vista, ci sono grandi preoccupazioni. 

Sostanzialmente nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, infatti, un progetto viene elaborato ed iniziato attraverso i soldi che anticipano le amministrazioni pubbliche italiane. Il rimborso da parte dell’Unione Europea si ottiene solo in un secondo momento e se determinati obiettivi vengono raggiunti. In caso contrario i soldi anticipati si trasformano in maggior debito pubblico. Il che non può che comportare apprensione perché si perde fiducia sulla capacità del PNRR di incidere sulle potenzialità di crescita del Paese. Non vengono fatte le riforme. 

E per quanto riguarda le possibilità di recessione? 

Sulla recessione dipende tutto dai fattori mondiali. Per adesso vediamo che la Germania, così esposta allo shock dell’energia, è riuscita a evitarla. Questo è un ottimo segnale per noi perché ci dice che probabilmente avremo un rallentamento della crescita nel 2023 ma è possibile che una vera e propria recessione non ci sia. 

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