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Turismo spaziale, a che punto siamo

Quando le riprese di “2001: Odissea nello Spazio” vengono ultimate nessun umano ha ancora messo piede sulla luna – mancano infatti due anni alla missione Apollo 11 che nel luglio del 1969 porta lì i primi tre (Armstrong e Aldrin a spasso sul Mare della Tranquillità, Collins dentro al modulo Eagle) – ma Stanley Kubrick non aspetta: si dedica al montaggio del film che esce nelle sale nella primavera del 1968, cinquantacinque anni fa.

Di intuizioni visionarie e pre-visioni il regista del Bronx (all’epoca appena quarantenne) nella sceneggiatura ne ha introdotte parecchie, una su tutte: il dialogo uomo-macchina, ancora attuale in tempi di bot, AI generativa, Llm & co. Partiamo allora da questi allineamenti di traiettorie e calendario – ché il turismo spaziale è di nuovo, cronicamente ‘in agenda’ – e dalla notizia più dirompente: mercoledì 4 aprile Virgin Orbit ha dichiarato fallimento.

Fondata cinque anni prima come divisione della Virgin Galactic holdings di Richard Branson, s’era avventurata in soluzioni non convenzionali per il lancio di satelliti. Forse però troppo sperimentali – a giudicare dai tentativi non andati a buon fine, come quello di gennaio (il primo e ultimo in Europa) – col risultato che dopo un’ondata di licenziamenti ha fatto ricorso al chapter 11.

Il settore è comunque in fermento, vede i tre grandi playerBlue Origin e SpaceX oltre alla stessa Virgin Galactic – impegnati a ridefinire programmi, partnership e investimenti con una scadenza cruciale all’orizzonte: fra sei mesi termina la moratoria del Commercial space launch competitiveness act (Cslca).

Concepita per ridurre vincoli e alleggerire oneri diretti e indiretti di un segmento promettente ma intrinsecamente incerto (legato tuttavia all’elite tech dei comparti militari e di comunicazione), avrebbe bisogno di un tagliando (eufemismo) poiché la deregulation confligge con l’idea stessa di normalizzazione dei voli oltre la linea di Karman – 62 miglia (circa 100 km) dalla Terra – e della relativa proposizione marketing e vendite.

In attesa di vedere se e come ci si muoverà su quel fronte una ricognizione sullo stato dell’arte ad oggi. Nella sezione ‘Human spaceflight – Making life multiplanetary’ di Space Exploration Technologies Corporation (SpaceX) l’azienda fondata vent’anni fa da Elon Musk propone diverse esperienze: breve tour dell’orbita terrestre per 4-6 passeggeri, viaggio di 10 giorni alla ISS (International Space Station) per 4 passeggeri, Luna andata e ritorno in una settimana (fino a 12 passeggeri).

I veicoli si chiamano Dragon e Starship: il primo è lungo appena 8 metri, ha già compiuto una quarantina di missioni e raggiunto diverse volte la Stazione Spaziale Internazionale. Il secondo è stato progettato per poter arrivare fino a Marte ed è in fase di sviluppo e test presso lo spaceport sulla sponda texana del Golfo del Messico, la struttura in cui il 20 aprile ha compiuto il primo vero volo – anche se brevissimo e concluso non nel migliore dei modi (con l’esplosione in quota) – tre giorni dopo il primo tentativo di lancio interrotto a una manciata di secondi dal conto alla rovescia.

Anche Blue Origin di Jeff Bezos vanta un paio di decenni di attività ma solo negli ultimi tempi ha iniziato a dedicarsi con più risorse alla linea dei viaggi commerciali col New Shepard: nell’estate di due anni fa il fondatore di Amazon è salito a bordo per inaugurarlo compiendo un primo volo di dieci minuti in compagnia del fratello Mark, di un diciottenne e di Wally Funk (ottuagenario veterano del mondo avio). Bezos è impegnato anche in negoziati con l’India, altro attore in attesa di un copione da protagonista, per trovare sinergie con l’Indian Space Research Organisation e dare un nuovo input al segmento che sembrerebbe il più proficuo, quello dei razzi riutilizzabili.

E poi Virgin Galactic, agli esordi forse la più dinamica: cinque anni dopo l’incidente della VSS Enterprise nel 2019 è entrata nel listino NYSE col codice SPCE, qualificandosi così come prima compagnia di turismo spaziale quotata in borsa. Propone esperienze di zero e micro-gravity, annuncia progetti di collaborazione con ricercatori e privati.

Chi altro affolla lo spazio (virtuale e non)? Halo, una nuova compagnia che punta ad esperienze di sei ore ‘edge-of-space’ per poter apprezzare la curvatura della terra dalla giusta distanza nella fascia di altitudine 25-40 chilometri, a partire dal 2025. Ci sono poi Boeing col progetto CST-100 Starliner – pensato per il programma Commercial Crew Program (CCP) della NASA – e il Dream Chaser di Sierra Nevada Corporation Space Systems per voli a bassa (si fa per dire) quota: la versione cargo è pronta e dovrebbe compiere il primo decollo ufficiale entro la fine dell’anno, per quella adatta al trasporto persone bisogna attendere.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, appendice e avamposto di nuovi confini di un cielo sempre più popolato, si girano scene di film, documentari e dintorni. Tornano così alla mente le parole di HAL 9000 in conversazione con Dave nel lungometraggio di Kubrick: “I am putting myself to the fullest possible use, which is all I think that any conscious entity can ever hope to do”.

 

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