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Investire nella reputazione

Marcello Presicci

Marcello Presicci

Mantenere una reputazione personale, o aziendale, positiva è un obiettivo sempre più complesso da raggiungere a causa di molteplici criticità tra cui: la crescente frammentazione dei gruppi di interesse e dei media, le articolate aspettative del pubblico e l’insidioso sviluppo della disinformazione.

La reputazione rappresenta qualcosa di diverso dalla notorietà, poiché riguarda l’identità e i valori. Non può essere acquistata o introdotta da terzi, e ha un preciso valore intrinseco all’individuo. La reputazione può precedere la conoscenza diretta, orientando così la percezione personale. Come si evince, quindi, la reputazione è uno degli asset intangibili fondamentali poiché impatta in maniera significativa sulle performance professionali, economiche e relazionali. Essa è sinonimo di credibilità, autorevolezza, rispetto degli impegni assunti, prestigio, fiducia, affidabilità, stima e capacità di garantire determinati standard comportamentali e professionali.

È importante considerare che, essendo diversa dal gradimento, la reputazione è fondata certamente sulle relazioni mediate dai canali digitali (e non solo) ma anche dalla proiezione che il nostro operato riflette sul prossimo all’interno della comunità. Diversi studi indicano come per una prima impressione di una persona sconosciuta siano sufficienti, nel momento in cui la vediamo, pochi secondi.

Così come bastano pochi minuti per rovinare una reputazione positiva costruita solidamente nel tempo.

Investire nella propria reputazione significa dar vita a un novero di pratiche quali la cura del nostro sistema relazionale, l’ampliamento dello stesso, l’innalzamento della qualità del pensiero critico e la continua formazione professionale.

Quest’ultima è strategica non solo per il proprio bagaglio culturale e professionale, ma soprattutto per veicolare all’esterno la volontà di essere preparati e aggiornati in maniera trasversale, non solo quindi nella nostra area di riferimento lavorativo. Spesso si pensa che investire nella propria reputazione o nel personal branding voglia dire concentrarsi solo su di sé in modo narcisistico.

Un’altra opinione diffusa è che per farlo sia necessario trasmettere un’immagine artificiale di sé. O ancora che sia utile lavorare sul proprio brand solo quando si è in cerca di una nuova occupazione lavorativa. Nulla di più errato.

Ad esempio chi opera nel campo delle risorse umane utilizza sempre più il social recruiting, studiando i profili social dei possibili candidati alla ricerca del match migliore in termini di competenze ed esperienze, ed analizzando soprattutto la reputazione. Reid Hoffman (tra i fondatori di LinkedIn) nel suo ‘The Startup of You’, ritiene che viviamo costantemente secondo una versione beta di noi, mai quella definitiva ma sempre in costante cambiamento. Questo implica sapersi reinventare come persone e come professionisti, comunicare il proprio brand e non smettere mai di crescere investendo proprio nella reputazione personale.

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