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Royal Mansour Marrakech, alta cucina (anche) made in Italy

Non ci sono camere o suite ma 53 residenze private di tre piani, pensate nel dettaglio dal re del Marocco Mohammed IV in persona. A Marrakech, nella città dove si possono trovare riad di ogni categoria, a sfidare i codici dell’eccellenza alberghiera dal 2010 è il Royal Mansour, luxury hotel da mille e una notte a pochi passi dalla moschea della Koutoubia.
Amato dai capi di stato e dal jet set internazionale per il suo lusso silenzioso, la tranquillità dei suoi cortili e il massimo della privacy possibile (non noterete neanche il personale di servizio mentre si muove discreto nei tunnel sotterranei che conducono a ciascun riad), questo resort della famiglia reale avvolge nei suoi patios, rivelando la quintessenza dell’artigianato marocchino.
Non c’è bisogno neanche di uscire per rivivere il fascino dell’antica medina. Se la Royal Mansour Spa è il tempio del benessere e si rivela un gioiello di architettura nei suoi 2.500 mq, offrendo una gamma infinita di trattamenti specifici – tra gli altri provate la “takhlita”, rituale di bellezza per i capelli inscritto nella cultura ancestrale locale –, ciò che rende unico il soggiorno qui è l’esperienza gastronomica.
L’ultima novità è l’arrivo di Hélène Darroze, allieva di Alain Ducasse, chef da 6 stelle Michelin tra Londra, Parigi e la Provenza, che da quest’anno sovrintende il corso culinario di stampo francese dell’hotel dopo l’uscita di scena di Yannick Alléno. Mentre La Table – dal prossimo autunno diventerà La Grande Brasserie – e La Grande Table Marocaine continuano a rafforzare lo status di destinazione food di alto livello di Marrakech, il fermento gastronomico da fine 2019 è garantito dalla presenza degli Alajmo Bros che per la prima volta hanno scelto di associare il proprio brand a un hotel.
Quella degli Alajmo è una galassia composta da più di dieci locali, di cui nove solo in Veneto, dove Massimiliano è stato il più giovane chef italiano a conquistare le tre stelle. Un impero del cibo che, dopo il Caffè Stern nello storico Passage des Panoramas a Parigi, da quattro anni conta, appunto, l’altra (e al momento unica) insegna all’estero dentro il Royal Mansour: Sesamo. La scintilla? “Il lusso nella sobrietà e semplicità”, come lo ha definito Raffaele, fratello maggiore e maître des lieux di Alajmo che aggiunge: “Quello che ci ha attratto del Marocco e in particolare del Royal Mansour è l’artigianalità, la bellezza delle sue imperfezioni, l’autenticità, il bello senza sofisticazioni”, stessi valori che caratterizzano tutti i ristoranti di famiglia.
Basato sull’utilizzo sia di prodotti locali che di coltivazioni nostrane, come cavolo toscano e broccoli romaneschi, gestite da un agronomo italiano nei terreni agricoli del posto, ma anche ingredienti importati dall’Italia – e qualora fosse impossibile il trasporto hanno persino trovato un maestro casaro su Casablanca che li rifornisce di mozzarella e ricotta – il menu di Sesamo celebra il Made in Italy.
“La cucina italiana – riflette Max – è facilmente esportabile perché storicamente è stata contaminata e ogni Paese ritrova qualcosa di sé, e questo ha un effetto rassicurante; nel contempo, c’è il gusto dell’esotico e il tema del viaggio culinario e culturale. Chi entra da Sesamo ritrova molti riferimenti veneziani”.
Dalla rivisitazione di grandi classici, come il Risotto alla zafferano con gremolata di anguilla e ghiacciolo di barbabietola (ingrediente usato con parsimonia perché il suo rosso ricorda il colore dell’alcol), agli inediti Spaghettoni aglio, olio e peperoncino, senza rinunciare a uno dei signature dello chef, ovvero il Cappuccino, che qui, come nelle altre località dove è presente la firma degli Alajmo, viene declinato in base alle coordinate del luogo. Così, a Marrakech diventa Majorelle con purè di patate e nero di seppia, accendendosi di un blu elettrico dell’alga spirulina che ricorda il complesso di giardini botanici della città.
Il nome stesso del locale è fortemente simbolico per il Gruppo: oltre a essere una dedica per il suo sbarco in terra marocchina, giocando con il nome ‘Amo’ (uno dei format ristorativi a Venezia), è un ingrediente topico che si ritrova in tutto il Mediterraneo e, naturalmente, in alcuni dei loro piatti. Un esempio? L’Apriti Sesamo, una sfera di mandorlato e sesamo riempita con zafferano, spuma di mandorla e essenza di neroli, una salsa di agrumi e frutto della passione. L’ultima soddisfazione è il contemporaneo ingresso nella guida Les Grandes Table Du Monde e nella classifica dei 50 Best Restaurants del Medio Oriente e del Nord Africa al 39esimo posto.
*ha collaborato Andrea Martina Di Lena, foto courtesy Royal Mansour
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