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In Islanda donne scioperano per il gender gap, la console: in Italia va ripensato il welfare familiare

L’Islanda è il Paese classificato al primo posto – per quattordici anni di fila – nel Global gender gap del World Economic Forum. L’Italia è al 79mo, dopo aver perso 13 posizioni in un solo anno.
Sembra un paradosso, quindi, che proprio le donne islandesi siano scese in piazza, in 100mila a Reykjavik e molte in altri venti città in tutto il Paese, per manifestare a favore della parità salariale.
Tu questa la chiami parità‘ è stato lo slogan che le islandesi, con la premier Katrín Jakobsdóttir a guidare la manifestazione, hanno scandito durante la protesta.
Uno sciopero singolare perché per tutto il giorno le donne si sono astenute dal lavoro ma anche dalla cura dei figli e della casa.

Top Ten del Global Gender Gap Index 2023

Per analizzare meglio le dinamiche di questa protesta, abbiamo raggiunto telefonicamente Rosa Bjorg Jonsdottir, Console generale onorario dell’Italia in Islanda, che ci regala subito un aneddoto per inquadrare la società in cui vive: “In Islanda non esistono i cognomi, noi usiamo un patronimico o matronimico. E quindi nel mio caso Jonsdottir vuole dire ‘figlia di Jón’, e poi Rósa Björg sono i miei due nomi propri”.

Le donne islandesi sono scese in piazza per protestare contro il gender pay gap al 21%, in un’Islanda che è però la prima al Mondo per parità di diritti. Non le sembra un controsenso?
Di solito ogni anno, in occasione del 24 ottobre, le donne fanno uno ‘sciopero parziale simbolico’: smettono di lavorare alle 14:08 perché quello è l’orario che coincide con la parità salariale rispetto agli uomini. La protesta di quest’anno però non è stata organizzata solo per il divario retributivo, ma anche conto la violenza nei confronti delle donne.
Nel 2023, per la prima volta, hanno manifestato anche ‘i non binari’, che spesso vengono discriminati al lavoro.
Noi puntiamo al 100% di parità e questo vuol dire anche avere più donne nei posti di leadership. Manifestare serve per ricordare, e per continuare a migliorare.
Non è infatti la prima volta che le donne islandesi scioperano per i loro diritti, la data storica è quella del 24 ottobre 1975, che ha segnato una serie di cambiamenti radicali nel riconoscimento dei diritti delle donne nel Paese.

Cosa sta facendo l’Islanda per colmare il gap salariale fra uomo e donna?
Da alcuni anni è stato concesso alle aziende di scegliere il programma di parità: chi fa lo stesso lavoro prende lo stesso stipendio, tipo un cassiere e una cassiera del supermercato guadagnano gli stessi soldi. Il problema è calcolare lo stipendio a fronte di mansioni più articolate. Penso alle categorie  come gli e le infermiere, gli insegnanti, ma anche i manager d’impresa, ad esempio.

Lo sciopero generale delle donne ha di fatto fermato il Paese
Nelle biblioteche, ad esempio, il 75% degli operatori è donna, quindi due terzi del personale era in sciopero e le biblioteche ha offerto un servizio ridotto. Così anche nelle scuole: gli insegnanti maschi hanno svolto il loro lavoro, e poi le scuole hanno chiuso.
Si è fatta eccezione per gli ospedali, e qui le donne che hanno lavorato hanno utilizzato un hashtag sui social per comunicare il motivo della mancata astensione dal lavoro: #IoSonoIndispensabile.

Rosa Bjorg Jonsdottir, Console Generale onorario dell’Italia in Islanda

Gli uomini non sono scesi in piazza
Anche gli uomini hanno partecipato, certo, prendendosi cura dei figli ad esempio. Molte aziende hanno consentito ai padri di portare i figli al lavoro, vista la situazione particolare.

Quante sono le donne italiane che vivono in Islanda?
Degli italiani residenti in Islanda, un terzo sono donne. I primi italiani erano venuti nel nostro Paese perché avevano sposato delle donne del posto, ora invece vediamo coppie e famiglie di italiani che scelgono di trasferirsi qui per vivere.

Qual è il suo consiglio per le donne italiane?
I miei figli sono italo-islandesi e sono un maschio e una femmina. Il loro papà è italiano e la nonna paterna ha sempre trattato il maschio in modo diverso rispetto alla femmina. Ecco, credo che in Italia ci sia bisogno di cambiare la mentalità, lavorare sui diritti della famiglia. Faccio un esempio concreto: qui in Islanda il congedo di genitorialità è di un anno, ma è diviso fra padre e madre: il papà è obbligato a prendere almeno 5 mesi di astensione dal lavoro, può scegliere infatti se destinare un mese alla mamma. E soprattutto non c’è obbligo di astensione dal lavoro prima del parto, tranne ovviamente se le condizioni di salute non lo richiedano. In Islanda abbiamo anche 11 giorni all’anno di malattia per ciascun figlio, fino al raggiungimento dei 13 anni d’età, e vale sia per il padre che per la madre. Per cominciare a lavorare sulla parità, anche in Italia è importante ripensare il welfare familiare.

Katrin Jakobsdottir Premier Islanda – EPA/ANTON BRINK HANSEN

L’Islanda vuole migliorare ancora il livello di parità, come?
Ad esempio non abbiamo il diritto di astensione dal lavoro per curare i genitori anziani, e poi c’è la questione del divario retributivo di cui abbiamo parlato.
Mio figlio è italiano di mentalità, ieri è venuto con me a protestare e si è stupito di vedere così tante donne in piazza, “non lo so se qualche altro Paese riesce a farlo”, è stato il suo commento. C’erano centomila donne a Rekijavic – che conta una popolazione totale di 396mila persone – e ci sono state manifestazioni in altre 20 città: un quarto del Paese è sceso in piazza. Le palestre erano chiuse, anche le piscine, ma tantissime donne sono venute in città con gruppi di amiche e hanno passato del tempo insieme.
Il nostro Paese è stato il primo al Mondo a eleggere una premier donna, nel 1980.
E anche ora c’è una donna alla guida dell’Islanda, Katrin Jakobsdottir, che ieri è scesa in piazza con tutte le altre. Ha fatto un discorso molto semplice: chiediamo la parità, siamo uniti anche nel manifestare.
E’ importante ricordare che non si cambia il Mondo in un giorno, l’Islanda per arrivare al primo posto del Global Index ci ha messo anni, ma il percorso continua, non siamo ancora  soddisfatte.

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