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Venezuela-Guyana, la disfida dell’Essequibo e il referendum farsa di Maduro

Nel contesto del nuovo “disordine” mondiale, in cui le regole tradizionali sembrano essere in frantumi e la dinamica geopolitica è in costante evoluzione, sta emergendo qualcosa di significativo nel cuore dell’America Centrale.
Il 5 dicembre, il governo del Venezuela ha indetto un referendum per annettersi i 2/3 del vicino Stato della Guyana. Un tempo colonia britannica e unico Stato anglofono dell’America Latina, la Guyana è il quarto paese per crescita economica al mondo.

Il petrolio, l’oro, i diamanti e i minerali preziosi lo rendono attrattivo non solo agli occhi degli interessi occidentali (statunitensi, in primis) e asiatici, ma hanno riacceso le mire di un paese che da tempo rivendica un preteso diritto storico di annettersi la regione interna dell’Essequibo, il Venezuela. 

L’Essequibo è un territorio della Guyana ricoperto da una fitta giungla lussureggiante sotto la quale si celano ricchissime riserve di oro e minerali preziosi, fors’anche di petrolio. Il Presidente del “regime” venezuelano, il socialista Nicolas Maduro, ha così paventato il suo progetto di annetterla unilateralmente al territorio della Repubblica, modificando in questo modo i confini del paese definiti durante il lodo arbitrale del 1899.

Una terra di frontiera questa, in cui convivono venezuelani, colombiani, brasiliani, guyanesi, nativi amerindi. Sogno proibito di chi passa la vita alla ricerca dell’oro tra la fanghiglia dei suoi campi, la regione è alla mercè di pericolosissime scorribande di gang venezuelane, i Syndicato, che controllano diverse aree dell’Essequibo.

Tuttavia, è importante fare una premessa. Dal 2015, l’antica British Guyana, attualmente inclusa nell’Essequibo, è stata oggetto di un significativo interesse da parte dell’azienda petrolifera statunitense Exxon Mobil. Al largo delle sue coste, è stata scoperta una straordinaria riserva petrolifera stimata in circa 11 miliardi di barili.

Essequibo. Antico luogo di estrazione mineraria in Guyana, Sud America

Un ampio giacimento offshore che prende il nome di Stabroek Block. Tutto sarebbe facile se solo non fosse che lo Stabroek Block si trovi all’interno, sì della zona economica esclusiva della Guyana ma – ed ecco il perché della controversia – anche delle acque territoriali venezuelane. E così, il 5 dicembre, con un voto favorevole del 95% dei votanti a delle domande – va detto – già poste surrettiziamente, Maduro ha incoraggiato alcune aziende di Stato a incominciare attività di scavo ed esplorazione in territorio guyanese.

Eppure, quali sono i veri motivi che hanno spinto Maduro a rivendicare la sovranità venezuelana sull’Essequibo ora? C’è chi pensa che, vista la grave situazione economica in cui versa ormai il Venezuela da molti anni (con un’inflazione oscillante tra il 150% e il 350% e milioni di persone forzate a lasciare un paese distrutto, pericoloso e in balia del potere delle gang criminali), il Presidente abbia cercato di distrarre l’opinione pubblica con una mossa identitaria.

Un film visto e rivisto. Utilizzare la leva del nazionalismo (riappropriarsi dell’Essequibo “sottratto” al Venezuela nel lontano 1899), così per accreditarsi all’opinione pubblica come il difensore della patria. Un Maduro ormai indebolito da anni di malgoverno e messo alle strette da una sua sfidante politica sempre più influente (appoggiata com’è anche dalla potenza statunitense), la conservatrice Marìa Corina Machado.

L’amministrazione Biden già a ottobre aveva alleggerito le sanzioni precedentemente imposte al governo Maduro in cambio del rilascio di alcuni prigionieri americani, oltre all’impegno di indire nuove elezioni libere e democratiche nel prossimo futuro. Così, Washington si è immediatamente schierata dalla parte di Georgetown, la capitale della Guyana, ribadendo che niente potrà cambiare unilateralmente i confini disegnati nel 1899.

Gli Stati Uniti tutelano i loro fiorenti affari nel petrolio della Guyana, supportati – non lo direste mai – dalla potenza cinese. Il pragmatismo geopolitico sino-americano è perfettamente enucleato in questa storia. Exxon Mobile non è l’unica a far affari con il petrolio di questa terra, la Cina stessa partecipa al sostanzioso banchetto. Pechino è anche presente nella regione contesa dell’Essequibo, in particolare nel fiorente business dei minerali preziosi che, come il manganese, le sono utili al fine di una supremazia nella produzione delle tecnologie verdi.

Ecco perché molti pensano che Caracas, privata com’è di un suo alleato naturale, la comunista Cina, non faccia sul serio. C’è chi grida al bluff, c’è chi invece ha già messo in guardia Maduro dall’avventato gesto. Il neo Presidente del Brasile,  Ignacio Lula da Silva, ad esempio, ha prontamente schierato al confine con la Guyana più soldati. Attenzione, il segnale è chiaro per Maduro. Non sarà consentito a nessun esercito straniere di calpestare il suolo brasiliano.

Nonostante il superiore effettivo numerico dell’esercito venezuelano rispetto a quello della piccola Guyana – un apparato bellico, quello di Caracas, rifornito da armamenti russi, con i Sukhoi, i MiG d’attacco, i carrarmati e da armi navali iraniane – le potenze regionali latino-americane non permetterebbero mai al Presidente socialista di creare una situazione di tensione nel cuore del Centro-America. Men che meno lo permetterebbero gli americani, la cui risposta sarebbe estremamente rapida, e finanche i cinesi, coinvolti come sono nel fiorente business petrolifero della Guyana e in quello dei minerali dell’Essequibo. 

Nel concreto poi, non è successo molto. Sì, è vero, diversi movimenti si sono osservati al confine, tuttavia, Maduro e il governo della Guyana hanno inaugurato un dialogo sulla regione contesa dell’Essequibo. Hanno infatti congiuntamente deciso di non utilizzare la forza per risolvere tale controversia e si sono dati appuntamento tra due mesi in Brasile, ad un incontro promosso dal Presidente Lula, interessato a stemperare le tensioni al confine. Meno male, verrebbe da dire!

A volte un barlume di raziocinio ancora vige nelle relazioni internazionali e forse, chissà, in fondo era solo questo l’obiettivo del Presidente venezuelano: porre una nuova luce sull’antica controversia e cominciare a discutere circa la possibilità che tale ricchissima regione possa un giorno “ricongiungersi” al Venezuela. Sottolineo il “ricongiungersi” per una pura ragione storica. Durante il ‘700, infatti, l’Essequibo era il nome del fiume che segnava il confine naturale tra la Guyana, sotto dominazione olandese e il Venezuela spagnolo. La regione omonima, oggi contesa, si trovava dunque all’interno della colonia venezuelana. 

In seguito, la Gran Bretagna prese sotto di sé gli antichi possedimenti olandesi e sfruttando un momento di debolezza del neo-istituito governo venezuelano indipendente, inglobò la regione nella Guyana britannica, sancendo il tutto con l’arbitrato del 1899. Durante il corso del’900 poi, diversi furono i tentativi dei governi venezuelani di riaprire il caso ma con scarso successo. 

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