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Elettra, la Lambretta alla spina

Che bello sarebbe avere una macchina del tempo su cui selezionare anno e luogo, e ritrovarsi catapultati da qualche parte nella storia. Ve lo immaginate? Antica Roma o antico Egitto, Dante Alighieri o Leonardo da Vinci o Colombo, la gamma è ampia.

A noi però serve per andare molto più vicino, a Milano nel primissimo dopoguerra, e precisamente sulle sponde del fiume Lambro per vedere cosa combinava un signore di nome Ferdinando Innocenti. Tipico toscanaccio di poche parole, pragmatico, dotato di quella intraprendenza suggerita da inizi difficili, Innocenti nasce a Pescia nel 1891 ereditando da suo padre il mestiere di fabbro. Grazie al ferro diventa ricco, perché si inventa quei tubi che ancora oggi si utilizzano nell’edilizia e che infatti portano il suo cognome.

Ricco ma non famoso, nonostante la realizzazione nel 1932 di un impianto di irrigazione per i Giardini Vaticani e appena due anni più tardi di una centrale termoelettrica per la Cappella Sistina.

La fama arriva dopo, quando si trasferisce definitivamente da Roma a Milano intuendo che l’Italia sta cambiando sull’onda di una motorizzazione che è di massa ma chiede di essere individuale. E così nel 1947, dallo stabilimento che ha fondato a Lambrate, esce la Lambretta (per questo si chiama così), lo scooter destinato a diventare il principale antagonista della Vespa.

Ora però fermiamoci un attimo e torniamo ai giorni nostri. Da quel fatidico 1947 sono passati 76 anni, il suo fondatore è morto (1966) e nel frattempo la Innocenti è diventata una società con sede a Lugano che si chiama Innocenti S.A. e produce ciclomotori con il logo Lambretta, avvalendosi della collaborazione dell’industria austriaca KSR Group.

Dunque la Lambretta è ancora viva e vegeta, anzi piuttosto ringalluzzita. Siamo andati a trovarla a EICMA, il più importante evento fieristico dedicato alle due ruote che ogni anno si svolge a Rho, per vedere da vicino l’ultima delle sue evoluzioni battezzata con mirabile semplicità Elettra, un nome di donna, da eroina della Marvel con cui l’azienda ha deciso di approdare sul pianeta della mobilità full electric.

La prima domanda è: quanto costa? Perché è bellissima e tutti la vorremmo subito in garage. Peccato che non sia ancora in produzione, anche se la casa madre assicura che diventerà di serie prima di quanto immaginiamo. Non ci resta quindi che goderci lo spettacolo di uno scooter in grado di coniugare passato e futuro senza lasciarsi prendere troppo la mano in nessuna delle due direzioni. Né troppo vintage né troppo prototipo.

Il design team guidato direttamente dal presidente Walter Scheffrahn (che da grande fan della Lambretta ne ha curato in prima persona ogni singolo aspetto) è riuscito nell’impresa di raccordare le linee tese del frontale a quelle più morbide della parte posteriore, il tutto con una sella minimal che si ispira ai modelli degli anni ’50. Più futuristico il manubrio, che nasconde invece al suo interno le leve dei freni a “scomparsa”, mentre la strumentazione digitale integrata sovrasta il faro anteriore dalla particolare forma a uncino. Poi la magia: basta sfiorare un telecomando per far sollevare tutta la scocca posteriore sotto alla quale ci sono due vani, uno per il casco e uno per la batteria.

A proposito: grazie al suo motore a magneti permanenti e ad una potenza di picco di 11 kW, Elettra arriva a toccare i 110 orari. Tre le possibilità di marcia – Eco, Ride e Sport – con cui si può stare abbastanza tranquilli, secondo i dati forniti dalla casa, sul fronte dell’autonomia: dai 60 km a velocità costante di 80 km/h fino a 127 km viaggiando a 40 all’ora.

Il tempo di ricarica della batteria (al litio, da 4,6 kWh) è infine di circa 5 ore e mezza con una presa domestica da 220V, che si riduce a 36 minuti con una “fast charge” presso una colonna di ricarica pubblica.

Insomma un piccolo capolavoro che con ogni probabilità non costerà poco visto il listino dei modelli a benzina (minimo 5.700, massimo 7.200 euro), ma di cui lo stesso Ferdinando Innocenti – magari masticando qualche mugugno in dialetto per il solo fatto di non esserne stato il diretto artefice – sarebbe senz’altro andato fiero.

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