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Dopo Ucraina e Israele, quello di Taiwan sarà il prossimo conflitto?

Al giorno d’oggi, ci sono pochi punti più caldi al mondo di Taiwan. Quando a novembre scorso, esperti politici si sono riuniti per discutere sulla sicurezza di Taipei, l’urgenza dichiarata è stata una sola: come prevenire un attacco cinese al territorio.

“L’Ucraina continua a combattere contro l’invasione russa, mentre i conflitti continuano a scoppiare in Medio Oriente”, ha detto ai delegati la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen. “È chiaro che non possiamo dare la pace per scontata”.

Taiwan vacilla da decenni in una posizione geopolitica precaria. È una democrazia autonoma – eleggerà il suo prossimo presidente a gennaio – ma il Partito comunista cinese considera Taiwan come propria e cerca di unificare l’isola con la Repubblica popolare, e il partito afferma che lo farà con la forza, se necessario.

Un possibile conflitto sarebbe una crisi sia geopolitica che economica. Taiwan rappresenta il 30% dell’industria globale dei semiconduttori da 574 mld di dollari, la spina dorsale della tecnologia moderna. Al centro di questo settore c’è Taiwan Semiconductor Manufacturing Co., l’azienda di maggior valore in Asia, la cui capitalizzazione di mercato di 500 mld di dollari la pone allo stesso livello di Walmart. I controlli statunitensi sulle esportazioni di apparecchiature per la produzione di chip stanno escludendo alcuni acquirenti di TSMC, in particolare la Cina, ma l’azienda taiwanese produce ancora circa il 92% dei chip più avanzati del mondo. I componenti TSMC alimentano gli iPhone di Apple, i server AI di Nvidia e gli aerei da combattimento F-35. Gli esperti si chiedono cosa accadrebbe alla produzione tecnologica se le fonderie di TSMC cadessero nelle mani di Pechino. Secondo una stima del Rhodium Group, il solo blocco dell’isola costerebbe all’economia globale circa 2mila mld di dollari.

Tali paure covano da anni, ma una Pechino più incoraggiata e gli Stati Uniti più distratti stanno facendo avanzare la prospettiva che, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’attacco di Hamas a Israele, il conflitto attraverso lo Stretto di Taiwan sarà il prossimo. Questa domanda pesa molto su TSMC, che deve considerare come proteggere le risorse vitali, la proprietà intellettuale e i dipendenti nello scenario peggiore.

Pechino sonda spesso le difese di Taiwan con aerei militari, droni e navi da guerra, ma le esercitazioni a fuoco vivo che hanno circondato l’isola nell’agosto 2022 e ancora lo scorso aprile hanno segnato una sorta di prova generale di come Pechino potrebbe interrompere le esportazioni in un conflitto. Questo segnale di aggressività, abbinato all’ordine del presidente cinese Xi Jinping di modernizzare l’Esercito popolare di liberazione entro il 2027, ha reso più credibili le minacce di intervento militare di Pechino, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

TSMC ha detto poco sui suoi piani in caso di guerra. Ha rifiutato di commentare a causa della delicatezza dell’argomento. Tra i cinque principali fornitori di TSMC, solo ASML, un produttore olandese di dispositivi litografici, menziona la “pianificazione degli scenari” per i rischi geopolitici nei suoi rendiconti finanziari. Ma comunque ASML si è rifiutata di approfondire.

In una (rara) intervista dello scorso anno, il presidente di TSMC Mark Liu ha detto alla CNN: “Nessuno può controllare TSMC con la forza”. TSMC dipende da una connessione in tempo reale con i fornitori in Europa, Giappone e Stati Uniti per tutto: dai materiali e prodotti chimici ai pezzi di ricambio e al software di ingegneria. Quindi qualsiasi atto di aggressione “renderà la fabbrica di TSMC non operativa”, ha affermato.

“Tutte le fabbriche di Taiwan necessitano di regolari di pezzi di ricambio, gas e prodotti chimici dall’estero”, concorda Chris Miller, autore di ‘Chip War: The Fight for the World’s Most Critical Technology’. “Sarebbe straordinariamente difficile mantenere operative le strutture di produzione di chip di Taiwan senza questi beni, materiali e servizi di manutenzione importati”.

Mentre TSMC rimane silenzioso sulla minaccia di invasione, i commentatori hanno redatto i propri piani d’azione. Una delle più stravaganti è la strategia della “terra bruciata”, proposta in una pubblicazione trimestrale dell’U.S. Army War College del 2021, che distruggerebbe le strutture di TSMC a Taiwan. Il documento, il più scaricato dal War College negli ultimi due anni, suggerisce che se gli Stati Uniti facessero esplodere le fabbriche, il costo della guerra sarebbe così alto che Pechino deciderebbe di non farlo.

Un articolo pubblicato nell’edizione successiva della stessa rivista si è opposto all’idea, sostenendo che essa mina la strategia di deterrenza degli Stati Uniti “dicendo ai nostri partner che siamo pronti ad aiutarli a far saltare in aria l’unico settore che li rende economicamente rilevanti sulla scena internazionale”.

Secondo Brian Hioe, editore di una rivista a Taipei, le minacce provenienti dalla Cina sono principalmente “rumore di fondo”. 

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com 

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