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Dedalo mette le ali ai siti web

Se Internet fosse un Paese, sarebbe il quarto più grande inquinatore al mondo, dietro soltanto ai giganti Cina, Stati Uniti e India. “Quello del digitale è un inquinamento invisibile, che sfugge alla percezione delle persone: con lo smartphone non vedi la bobina che si surriscalda a causa dell’energia che hai utilizzato per ricaricarlo”, spiega Seif Chourbagi, co-founder e Ceo di Dedalo AI, la startup che punta a rendere sempre più green i siti web delle aziende.

Internet ha rivoluzionato la società, annullando le distanze geografiche e garantendo a tutti l’accesso istantaneo a una mole pressoché infinita di informazioni. Il digitale, d’altro canto, richiede enormi quantità di energia per poter funzionare adeguatamente. Da una parte c’è il consumo di energia per la ricarica quotidiana di smartphone e computer; dall’altra, quello per alimentare i server e i data center, la struttura portante di Internet.

Fondata a Torino a ottobre del 2022, Dedalo AI è una startup che si occupa di ridurre l’impatto ambientale dei sistemi web delle aziende, rimuovendo gli sprechi energetici nel software, dopo averli individuati con un algoritmo di intelligenza artificiale.

“Abbiamo iniziato a guardare il mondo del digitale con un occhio sostenibile – racconta Chourbagi – Con Dedalo forniamo alle aziende uno strumento per quantificare le emissioni generate dalle loro operazioni digitali e quindi per ridurle a parità di contenuto e layout. Infine le aiutiamo a comunicare in modo efficace gli obiettivi raggiunti”. Dedalo agisce sui rifiuti digitali, tutti quei dati superflui che rallentano le prestazioni e affaticano le risorse dei server: immagini e file multimediali non compressi, codici inutilizzati, script ingombranti e trasferimenti di dati ridondanti.

“Molto spesso gli sviluppatori danno la priorità alla cybersicurezza e alla performance del sito, sottovalutando l’impatto ambientale. L’intelligenza artificiale è allenata per identificare tutti i colli di bottiglia presenti nell’interfaccia del sito, tutte le anomalie. In questo modo siamo in grado di quantificare in modo oggettivo lo spreco energetico nel software. Forniamo al cliente uno score di efficienza e una lista di azioni da mettere in campo per abbattere gli sprechi”.

Sono molti gli accorgimenti che aziende e singoli utenti possono apportare per rendere più green le loro attività sul web. “Evitare di includere il logo dell’azienda nella firma della mail, per esempio. Se si mandano migliaia di mail all’anno, può fare la differenza. Oppure comprimere le immagini all’interno delle presentazioni, o ancora, non tenere più di otto tab aperte contemporaneamente”.

Una volta che l’azienda ha messo in campo tutti gli accorgimenti necessari per ridurre al minimo l’impatto ambientale, può ottenere la Net Zero Certification, compensando tutte quelle emissioni che non è possibile abbattere. “Funziona così – spiega Chourbagi – Noi calcoliamo le emissioni dell’azienda in un determinato periodo, magari l’ultimo semestre o l’ultimo anno solare. Se individuiamo, ad esempio, 100 tonnellate di CO2, andiamo poi ad acquistare 100 tonnellate di carbon credit da provider verificati. La compensazione però deve essere l’ultimo strumento a cui ricorrere, dopo aver eliminato tutti gli sprechi, altrimenti si rischia di fare greenwashing”.

L’altra faccia della medaglia della digitalizzazione massiccia che si è prodotta negli ultimi anni è un aumento sensibile delle emissioni. Ogni anno l’industria del digitale produce 1,6 miliardi di tonnellate di CO2, circa il 5% del totale. “Circa il 70% dei dati che ad oggi sono presenti in rete è stato caricato negli ultimi cinque anni”, spiega il Ceo. “Inoltre, l’uso che facciamo dei device è sempre più intenso e i file che utilizziamo sempre più pesanti”.

In questi ultimi dodici mesi si è fatto un gran parlare di ChatGpt e dell’AI, con tutte le ripercussioni che questa tecnologia dirompente può avere sulle nostre vite. Quasi nessuno però si è interrogato sull’impatto ambientale del chatbot sviluppato da OpenAI. “Col dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, abbiamo scoperto che il training del modello di ChatGpt consuma la stessa quantità di energia della città di San Francisco. Il problema – conclude Chourbagi – è che la nostra capacità di produrre energia cresce ogni anno in misura minore del fabbisogno energetico dell’industria digitale. Ad oggi il numero di device connessi si aggira attorno ai 17 miliardi. Può sembrare già un numero enorme, ma è destinato a raddoppiare nell’arco dei prossimi due anni e mezzo”.

 

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