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Vaia Cube, il legno che visse due volte

La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via”. Si chiude così l’ultimo episodio di ‘Strappare lungo i bordi’, la serie animata di Zerocalcare. Sono le cicatrici che ci portiamo addosso, le ferite inferte dalla vita che ci rendono unici e con una storia da raccontare. Nell’autunno del 2018 la tempesta Vaia si accanì con inusitata ferocia sul Nord-Est italiano, danneggiando 42.500 ettari di bosco e sradicando decine di milioni di alberi delle Dolomiti.

Il legno di quegli alberi divelti, piegati dalla forza soverchiante della natura, torna a vivere col progetto Vaia Cube: un amplificatore passivo per smartphone che funziona senza consumo di energia elettrica. Una cassa in abete e larice, dal design elegante e raffinato, che non amplifica soltanto i suoni dello smartphone, ma anche una storia, fragile e bellissima, di distruzione e rinascita.

Su ogni Cube un colpo d’ascia dato dall’artigiano incide un taglio che segue le naturali venature del legno, rievocando così la ferita della foresta e rendendo ogni pezzo diverso dagli altri (foto sotto). “Volevamo che il prodotto raccontasse la sua storia, quella di un legno spezzato che si ricompone grazie al lavoro di una comunità”, racconta Federico Stefani, founder di Vaia, la startup trentina nata nel 2019 all’indomani di uno dei più grandi disastri ambientali avvenuti in Italia negli ultimi cinquant’anni.

 

 

“Dopo la tempesta ho capito che avrei voluto dare il mio contributo, partendo da un’idea di business sostenibile, che mettesse al centro i rapporti umani e il rispetto del pianeta”, racconta il founder. “L’idea della cassa me l’ha data mio nonno, che nell’aprile del 2018, pochi mesi prima della tempesta, aveva realizzato per me un amplificatore naturale per smartphone intagliato nel legno. È stato l’ultimo lavoro della sua vita. Così ho pensato di creare un oggetto simbolico, metafora del desiderio di amplificare la fragilità come occasione per raccontare se stessi”.

L’idea è ambiziosa, ma la strada per Vaia è tutta in salita. “Ho provato a contattare dei designer all’università, ma nessuno era disposto a mettersi in gioco senza avere garanzie economiche sulla riuscita del progetto. In tanti hanno provato a scoraggiarmi: ‘È solo un pezzo di legno. Ci sono le casse bluetooth, chi te lo compra?’. Però dentro quel pezzo di legno c’era una visione e dopo lo scetticismo iniziale in molti hanno compreso e veicolato il nostro messaggio. Quando sono andato in Vaticano a regalare al Papa il Vaia Cube, lui ha colto il valore della nostra iniziativa”.

Alla fine sono Giuseppe Addamo e Paolo Milan, due amici dell’università – oggi soci della startup – a sposare il progetto. La startup nasce nel 2019 nel comune di Borgo Valsugana, in provincia di Trento.

“In due ore sono caduti gli alberi che di solito vengono tagliati in dieci anni”, dice Stefani per farci comprendere le proporzioni del disastro. “Gli effetti però si vedranno nel medio e lungo termine. Non c’è soltanto la montagna privata della sua bellezza – chiarisce – ma un intero ecosistema compromesso. Oggi ad esempio ci troviamo a fronteggiare il bostrico, un parassita del legno che sta infestando tutti gli alberi che sono stati indeboliti dalla tempesta”.

“Vaia si fonda su tre pilastri”, spiega Stefani, che per dare forma e sostanza al suo progetto ha lasciato Bruxelles e un lavoro a tempo pieno nel dipartimento risorse umane della Nato. “Il primo riguarda l’utilizzo sano e consapevole delle materie prime: agiamo dove si può fare upcycling, contribuendo a risolvere un problema ambientale. Il secondo è il coinvolgimento della comunità locale: non possiamo immaginare la sostenibilità senza costruire relazioni, senza coinvolgere le persone. Questo vuol dire essere sostenibili anche dal punto di vista sociale”. Vaia ha unito boscaioli, falegnami, artigiani e designer, assecondando la visione di una produzione locale ed esclusivamente artigianale.

“Infine c’è l’idea di immaginare che ogni azienda, ovunque si trovi, per ogni prodotto che vende dia qualcosa indietro alla comunità e all’ambiente”. Per dare seguito a questo proposito, la startup ha deciso di piantare un albero per ogni Vaia Cube venduto, con l’obiettivo di contribuire a ripristinare l’equilibrio naturale compromesso. “Ci apprestiamo a superare quota 100mila Cube venduti per altrettanti alberi messi a dimora”, dice Stefani. Vaia lavora con enti pubblici forestali, con cui individua le aree più idonee per i progetti di riforestazione.

“Nel futuro di Vaia – conclude il founder – non c’è solo il legno delle Dolomiti, ma tutte le materie prime a cui potremo di volta in volta restituire dignità. E poi c’è il consolidamento del nostro modello di business: fare upcycling, dando vita a prodotti che siano utili alle persone e in grado di produrre un impatto positivo per l’ambiente e le comunità locali, secondo un modello di economia circolare”.

 

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