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Siccità e qualità delle acque, la questione dei dati

acqua siccità

L’Italia è sempre più a secco, ovunque. Dal Sud, dove in pieno inverno è scattata l’emergenza per le riserve idriche, al Nord: nonostante qui i livelli lascino presagire una situazione più tranquilla, il Piemonte (prima delle nevicate tra febbraio e marzo) ha  chiesto lo stato di calamità naturale per la siccità che ha colpito soprattutto l’agricoltura.

Lo scorso anno Ispra certificava che nel 2022 la disponibilità d’acqua in Italia si era ridotta del 50% rispetto alla media del periodo 1951-2022 (ma anche a quella 1991- 2020), per un totale di 67 km cubi in meno. Il minimo storico.

La crisi idrica oggi

E adesso? Gli Osservatori distrettuali permanenti sugli utilizzi idrici messi insieme dal periodico bollettino di Ispra sulla siccità dicono che a metà febbraio in Sicilia, dove al momento in cui scriviamo non piove da otto mesi, c’è già uno stato di severità idrica alta. Livello che scende a ‘medio’ per la Sardegna (con situazione già grave in alcune aree) e a ‘basso’ per Alpi orientali, Appennino centrale e meridionale. Gli unici distretti idrografici che rientrano nella normalità sono il Po e l’Appennino settentrionale. L’ineluttabilità dei cambiamenti climatici già in atto pone le autorità di fronte alla necessità di prevenire una situazione che si verifica con sempre maggiore regolarità.

Ma siccità e perdite della rete idrica non sono l’unica cosa da tenere sotto controllo: “Abbiamo sempre più scarsità di acque di qualità”, dice Luca Lucentini, direttore del Censia, il Centro nazionale sicurezza delle acque istituito lo scorso anno presso l’Istituto superiore di sanità, che avrà il compito di gestire i Piani di sicurezza dell’acqua sull’intera filiera idropotabile italiana.

Secondo i dati Ispra, il 13% dei fiumi e l’11% dei laghi sono in stato chimico ‘non buono’, mentre il 27% delle acque sotterranee sono in stato ‘scarso’. Al di là di siccità e perdite della rete idrica, insomma, l’acqua che rimane va difesa. Per farlo servono dati. E la possibilità di usarli.

Il ruolo di Antea

Per anni in Italia le linee guida sul controllo della qualità delle acque sono state fornite da una direttiva europea del 1998, che chiedeva una rendicontazione eseguita ogni tre anni per il triennio precedente. Da allora le cose sono cambiate, spiega Lucentini. Una direttiva di Arera ha obbligato i gestori a mettere online alcune caratteristiche di qualità dell’acqua. Un cambiamento importante, ma che non ha assicurato un accesso facile ai dati. “In genere le informazioni si trovano ma non in tutti i Comuni, perché quest’obbligo in qualche caso non è stato ottemperato. Comunque non abbiamo un dato sulla qualità dell’acqua italiana nel suo complesso, se non attraverso rendicontazioni aggregate e retrospettive che a livello centrale il ministero e l’Iss raccolgono triennalmente dalle regioni, restituendo alcuni dati della CE”.

Per questo si è pensato a un’anagrafica centralizzata. Istituita presso il Censia, si chiama Antea (Anagrafe territoriale dinamica delle acque potabili), una piattaforma ancorata al cloud del Polo strategico nazionale e finanziata con 2 mln e mezzo dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr, più 400mila euro di costi annuali dal 2024. La sua nascita è stata sancita con il decreto 18 del 23 febbraio 2023, che ha recepito la direttiva Ue 2020/2184. Una direttiva che ha cambiato radicalmente la filosofia sulla sicurezza dell’acqua destinata al consumo umano: si passa infatti a un approccio basato sul rischio di ogni sito della filiera, la cui valutazione passerà prima dalle Regioni per poi convogliare in Antea.

Il debutto

Quando arriverà la piattaforma? La scadenza, da decreto (lo stesso che ha istituito il Censia lo scorso anno) è il 21 marzo 2024. Verrà rispettata? “Sì”, dice Lucentini, che spiega come si tratti di un’operazione “epocale e un po’ complessa, che richiederà il tempo necessario: secondo le scadenze nel decreto nell’arco di qualche anno il cittadino potrà vedere online tutti i dati sulla sicurezza dell’acqua, in tutta Italia. Una piattaforma nazionale alimentata a livello territoriale”. Dopo una prima fase per la raccolta di dati (durante la quale i cittadini non potranno ancora usufruire della piattaforma) “dal 2025 come da decreto le prime informazioni saranno messe a disposizione degli utenti”, spiega Lucentini.

Il flusso di dati dell’acqua

Il percorso dei dati ha tanti passaggi intermedi. Ad alimentare la piattaforma con i dati sulle risorse idriche naturali sarà l’Snpa, che raccoglie le informazioni di tutte le Arpa regionali attraverso il Sintai, il sistema per la divulgazione e consultazione dei dati nazionali in materia di acque (anche questo sotto il cappello di Ispra).

Questa interoperabilità a cosa serve? “È fondamentale per conoscere l’origine delle acque che arrivano nel rubinetto, ci dice da dove viene alimentata una certa falda ma soprattutto le Arpa ci dicono quali elementi (sia di origine naturale che da pressioni antropiche come discariche e depuratori) possono potenzialmente contaminare quella sorgente”, spiega il direttore del Censia. Per questo la roadmap definita dal decreto prevede la data del 2027: entro il 12 luglio di quell’anno la piattaforma dovrà mettere a disposizione i dati sulle valutazioni e le gestioni del rischio delle aree di alimentazione per i punti di prelievo di acque da destinare al consumo umano.

Ovvero, anche i risultati del monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee provenienti da Ispra. Entro gennaio 2029, il sistema dovrà fornire resoconti annuali anche sugli incidenti attinenti all’acqua destinata al consumo umano (protrattisi per più di dieci giorni consecutivi e che abbiano interessato almeno mille persone). In pratica, si fornisce uno strumento che permetta alle “Asl di intervenire preventivamente per controllare certe minacce per la qualità dell’acqua, come gli stabilimenti industriali, ma anche gli incendi, i cui residui potrebbero arrivare in falda”, dice Lucentini.

In questo momento i dati sulla qualità dell’acqua esistono: sono ad esempio messi a disposizione dai gestori, come le multiutility, ma non c’è una centralizzazione e un’integrazione con le Asl. Quindi “a livello nazionale, salvo alcune aree, non abbiamo i dati in tempo reale del controllo esterno come livello ulteriore di informazione al cittadino”. L’analisi da parte delle aziende sanitarie “viene fatta, perché è un obbligo di legge, ma non sempre il dato viene trasferito da cartaceo a informatico”.

Insomma, il pezzo di carta nell’epoca del digitale resiste ancora. Per questo serve una piattaforma dove unificare tutto, dove i dati siano liberamente consultabili. Antea, secondo Lucentini, “sarà fondamentale, perché sulla linea della filosofia One Health, arriveremo a un approccio ‘One Water’. Abbiamo frammentato lo studio e il monitoraggio dell’acqua in tante competenze. Ora possiamo ricominciare a concepirla come un unicum, e richiudere il cerchio”.

Piove sul bagnato

Il report Ispra sullo stato chimico ed ecologico delle acque italiane mostra che i dati peggiori sono proprio quelli
delle aree ora più colpite dalla siccità. Qual è attualmente lo stato delle acque in Italia? Il report più recente è stato fornito da Snpa, il Sistema nazionale protezione ambiente di Ispra, che analizza lo stato chimico (la presenza di sostenze chimiche prodotte dall’uomo) ed ecologico (la qualità degli ecosistemi) di laghi e fiumi, delle falde acquifere e delle coste italiane. I dati evidenziano come la situazione peggiore sia proprio nelle aree che soffrono di più per la mancanza di acqua e di precipitazioni, come la Sicilia.

Laghi e fiumi

Secondo il report degli esperti dell’Ispra i dati aggiornati al 2021 dicono che a livello nazionale il 78% dei fiumi è in stato chimico buono, il 13% non buono e il 9% non è stato classificato. Per i laghi, il 69% è in stato buono, l’11% non buono e il 20% non è stato classificato. Aumentano rispetto al secondo piano di gestione delle acque (i dati sono riferiti al terzo, che va appunto dal 2016 al 2021) i corpi idrici superficiali delle acque interne classificati in stato chimico buono. Ma la situazione è particolarmente grave nei distretti Appennino meridionale e Sicilia, dove le percentuali di fiumi in stato buono restano inferiori alla media nazionale (23% e 51%). Cattive notizie anche per i laghi, che non superano la soglia del 40-45%. Non ci sono buone notizie per gli ecosistemi acquatici: a livello nazionale lo stato ecologico di fiumi e laghi raggiunge l’obiettivo buono e superiore solo per il 43% dei corpi idrici. Aumenta però la percentuale di laghi in stato buono, dal 17% al 35%.

Le acque sotterranee

Significativi anche i dati sulle acque sotterranee. Secondo l’indicatore di Stato chimico delle acque sotterranee (Scas) i corpi idrici in stato scarso sono il 27%, anche se aumentano al 70% quelli in stato buono. La percentuale di corpi idrici sotterranei in stato chimico scarso varia tra il 15% e il 33% del totale, a eccezione del Distretto Sicilia: qui è pari al 44%.

Le acque marine costiere

Qual è invece la situazione del mare italiano? A livello nazionale i corpi idrici in stato ecologico buono ed elevato sono più del 60% del totale (291 corpi idrici su 394 totali), con un aumento dal 55% precedente. La situazione peggiore è alla foce del Po e nell’Appennino meridionale: hanno rispettivamente il 67% (2 corpi idrici su 3 totali) e il 69% (100 corpi idrici su 145 totali) in stato ecologico sufficiente.

 

 

 

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