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“C’era una volta il ponte” di Stefano Lucchini e Giovanna Pimpinella. E “Il ponte sospeso” di Andrea Carlo Cappi

Se dovessimo descrivere sapidamente questo libro potremmo servirci di due vocaboli. L’aggettivo sofisticato e il sostantivo futuro. Sofisticata infatti è la narrazione iniziale racchiusa nel “C’era una volta il ponte” di Stefano Lucchini e Giovanna Pimpinella. Il saggio propone la ricostruzione di una reale storia inerente un ponte ormai scomparso e delle raffigurazioni che ne ripercorrono la gloriosa storia. Futuro invece afferisce al romanzo di Andrea Carlo Cappi, dal titolo Il ponte sospeso, che ripercorre per questa via un secolo di storia romana proiettando ai giorni nostri quanto vissuto nel passato.

Il punto di partenza è un quadro di Annibale Angelini del 1869, che raffigura il Ponte del Soldino visto dalla sponda di via della Longara, con la chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini sullo sfondo. L’opera è edita da Palombi Editori. Tuttavia ciò che colpisce l’attenzione del lettore si annida nella storia del ponte con il pedaggio, il concetto di pagamento introdotto da Pio IX, che aveva in sé l’obiettivo di guardare al futuro con un tratto di arguta innovazione. Come è noto la riscossione elettronica del pedaggio dei ponti, denominata Toll Bridge, è diventata sempre più diffusa nelle aree metropolitane nel 20° secolo. Il ponte di ferro in questione fu realizzato nel 1863 tra la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e la sponda di Trastevere di fronte a Palazzo Salvati a Roma. Successivamente fu distrutto e sostituito, negli anni a venire, da uno stabile ponte in pietra di epoca moderna. Il ponte, che veniva chiamato del Soldino, era sempre stato un luogo incerto, caduco, nostalgico vista la sua posizione, ed osservato spesso con scetticismo riguardo alla sicurezza dell’infrastruttura.

Come si legge nelle prime parte: «La caratteristica del pedaggio poi contribuì a renderlo ancora più unico, perché questo non-luogo aveva un guardiano, colui che richiedeva il soldino per l’attraversamento, e che rappresentava una sorta di Caronte che diventava sempre più povero man mano che la modernità avanzava, che il denaro valeva meno e che altri ponti venivano costruiti intorno a lui». La caducità della vita come riflessione primaria da riferire al guardiano. La gelosia da parte dei traghettatori che cercavano di ostacolare il successo di quest’opera a loro scapito. L’ira proveniente da parte dei romani (sparuto gruppo in questione) costretti a pagare per attraversare le sponde del Tevere. Infine il privilegio, segno dei nostri tempi, appartenente a chi, per un motivo particolare, era esentato dalla tariffa. Tutto ciò rappresenta un turbinio di emozioni e riflessioni proposto lodevolmente dagli autori ed intersecato nella narrazione in modo naturale.

Il libro dunque è strutturato in due parti. Nella seconda parte emerge, con dovizia di particolari, il romanzo di Andrea Carlo Cappi, noto per i suoi noir. L’autore ripercorre un secolo di vita nella Capitale, all’ombra di qualcosa che è svanito per colpa del tempo e di enigmatici indizi sopravvissuti a numerosi decenni. I due generi, il saggio scientifico iniziale e il giallo storico successivo, dialogano tra loro e si presentano uno come approfondimento dell’altro. Pare questo, insieme ad altri, il grande merito degli autori; aver consegnato un affascinante ritratto della città eterna in chiave sapiente attraverso giornali d’epoca, quadri, fotografie, cartoline e altre fonti.

Storia sofisticata e malinconica di un tempo svanito che caratterizzò la Città Eterna. Ricordi che occorre però recuperare per comprendere meglio le intersezioni temporali future. Un libro certamente di pregevole fattura.

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