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Public Affairs: l’Italia può essere un Paese per giovani, parola di Gabriele Schiavello Bertucci

In un un momento storico in cui vi è una disaffezione da parte della popolazione soprattutto giovanile alla politica, come dimostrano anche i dati sull’astensionismo alle ultime tornate elettorali (43% dei  giovani tra 18 e 34 anni), ci siamo chiesti qual è la situazione nel settore che più ha a che fare con il mondo delle istituzioni.

Quello del Public Affairs, infatti, sebbene continui ad assumere contorni poco definiti per i non addetti ai lavori (nel migliore dei casi) o sia oggetto di pregiudizi ideologici (nel peggiore), resta un settore in costante crescita, che impiega un alto tasso di giovani professionisti e, soprattutto, registra una grande mobilità interna al mercato proprio grazie ad una elevata e costante richiesta di profili competenti da parte di società di consulenza e aziende.

Cosa vuol dire, quindi, essere giovani lobbisti e qual è la loro visione del futuro in questo settore? Lo abbiamo chiesto a Gabriele Schiavello Bertucci, classe 1991, Head of public and government affairs di Saint-Gobain Italia, parte di un Gruppo multinazionale tra i primi 100 al mondo.

L’intervista

A 32 anni già Head of public and government affairs di una società da oltre un miliardo di euro di fatturato in Italia. Davvero un bel traguardo per un under 40, ma cosa vuol dire?

È una bella sfida! Si tratta sicuramente di una grande responsabilità, ma anche un forte motivo di orgoglio. Sempre di più i gruppi multinazionali stanno cercando di svecchiare il proprio management, perché ciò che può portare un under 40 all’interno di aziende molto complesse, rispetto a un sistema di management più classico, è sicuramente una visione dinamica e più innovativa. Qui, ho trovato un contesto che mi permette di sfruttare appieno il principale vantaggio che deriva dall’essere un giovane manager: la capacità di riuscire a coniugare le competenze tecniche e quelle cosiddette soft adattando le azioni e le strategie a un contesto in continua evoluzione come quello in cui viviamo.

Oggi più che mai, all’interno delle aziende stesse, sta crescendo la consapevolezza che è necessario imparare a districarsi nella complessità e la responsabilità del mio ruolo è quella di dare risposte concrete ed efficaci a questa complessità, mettendo insieme competenze trasversali come la capacità di lettura degli scenari, di adattamento e di risposta rispetto a tutto ciò che si muove a livello istituzionale, economico e geopolitico.

Un risultato del genere sarebbe stato difficile 10 anni fa. Almeno in questo settore, l’Italia può essere un Paese per giovani?

Diciamo che il percorso è ancora lungo e c’è molta strada da fare, ma negli ultimi anni abbiamo avuto sicuramente un’evoluzione importante nel panorama professionale italiano, con una crescente apertura verso l’ascesa di giovani talenti, specialmente nel campo delle relazioni istituzionali.

Questa tendenza nasce dalla somma di alcuni fattori, ad esempio: la valorizzazione che oggi viene data all’innovazione e alle competenze che i professionisti under 40 portano ogni giorno all’interno dei contesti lavorativi più diversi; l’introduzione di corsi di formazione specifici sul mondo delle relazioni istituzionali nati in questi dieci anni e che hanno cambiato la stessa percezione dei giovani in questo settore. Rispetto a quanto accadeva in passato, oggi, è tutto più veloce e il nostro lavoro si fonda sempre più sul giusto mix di apprendimento concreto sul campo e competenze tecniche (ad esempio, conoscenza legislativa, analisi politica e comunicazione efficace) che, ormai, molto spesso si riescono a maturare già durante la formazione universitaria e postuniversitaria.

È per questo motivo che ci sono moltissimi giovani che vogliono essere protagonisti del proprio presente e che si spendono – non solo nei propri contesti personali, ma anche professionalmente – su temi sociali importanti, per contribuire alla costruzione di un futuro migliore. Il mio auspicio, quindi, è che l’Italia possa diventare sempre di più un Paese per giovani.

Come si sostanzia tutto ciò nel rapporto con i decisori pubblici?

I decisori pubblici hanno, ormai, ben compreso l’importanza di avere un’interlocuzione con un rappresentante di interessi, specialmente se si occupa di un settore molto particolare e che potrebbe essere difficile conoscere nel dettaglio. Per questo motivo credo fortemente che l’aspetto più importante nel rapporto con i policy maker sia la dimostrazione della propria qualità e competenza, ciò permette di superare ogni preconcetto, anche meramente anagrafico.

È, infatti, fondamentale per un lobbista avere un buon rapporto con la classe politica e ciò significa essere aperti al dialogo e impegnarsi a costruire relazioni durature basate sulla fiducia e rispetto reciproco. Ciò implica rispettare almeno tre elementi basilari. Il primo è la trasparenza, riguardo ai propri interessi e alle ragioni che motivano l’attività di rappresentanza. Questo significa essere chiari riguardo agli obiettivi, evitando ambiguità o conflitti di interesse. In secondo luogo, potrebbe sembrare superfluo ma ritengo sia sempre utile specificarlo, è importante agire in conformità con gli standard etici e legali che regolano le attività di lobbying. Questo implica rispettare i codici di condotta, evitare pratiche discutibili o influenze indebite e operare nel rispetto delle normative vigenti. Un altro aspetto cruciale, infine, è la capacità di comunicare in modo efficace e persuasivo. Ciò significa essere in grado di presentare argomenti solidi e basati su evidenze, comprendere i punti di vista e le preoccupazioni dei decisori pubblici e adattare il proprio messaggio di conseguenza. Inoltre, è importante riuscire a trovare punti di caduta condivisi quando necessario, mantenendo sempre un approccio costruttivo e collaborativo.

Però se poi sentiamo affiancare la parola lobbista a quella di faccendiere, vuol dire che qualcosa ha fatto corto circuito…

La distinzione tra l’attività di rappresentanza di interessi e l’attività che svolge un faccendiere è fondamentale e riflette due approcci completamente diversi nel contesto delle relazioni istituzionali. È importante sottolineare che il lobbying, quando condotto in modo trasparente e conforme alle normative, rappresenta un’attività fondamentale nel processo democratico. La Democrazia rappresentativa si basa sulla capacità di un numero limitato di persone di poter legiferare su settori e tematiche variegate. In questo contesto, è vitale l’esistenza di un confronto tra i decisori pubblici e la società civile. L’attività di rappresentanza di interesse permette di fornire informazioni e punti di vista su questioni di interesse pubblico, contribuendo così alla definizione di Policy più informate e rappresentative.

Al contrario, il faccendiere opera in modo non etico e spesso illegale. È cruciale contrastare e combattere queste attività attraverso un’applicazione rigorosa delle leggi e delle normative anticorruzione, garantendo che l’operato delle istituzioni e delle imprese sia sempre guidato da principi di trasparenza, integrità ed etica.

In questo contesto, la mia professionalità si esprime nell’aderire ai più elevati standard di trasparenza, etica e conformità normativa. Il mio ruolo è quello di facilitare un dialogo costruttivo tra l’azienda e le istituzioni, promuovendo la comprensione e il rispetto reciproco mentre si lavora per fornire al decisore pubblico il proprio punto di vista, nell’ottica di contribuire all’elaborazione di policy che siano più efficaci e che rispondano all’interesse della società nel suo complesso.

A proposito della necessità di “trovare punti di caduta condivisi”. Lavorare per un’azienda “hard to abate”, che produce materiale edile in un periodo in cui, da un lato le policy di sostenibilità e dall’altro il rinnovo del superbonus hanno riempito e riempiono le agende politiche e le pagine di giornali, non deve essere stato facile. Come si coniugano contemporaneamente l’aspetto sociale e quello economico remunerativo?

Serve un forte approccio multifocale. Il mio ruolo si esprime anche attraverso un impegno costante nell’innovazione e nello sviluppo di soluzioni sostenibili. Questo significa non solo rimanere aggiornato sulle ultime tecnologie e pratiche aziendali, ma anche mantenere un dialogo costruttivo e costante con le istituzioni per promuovere politiche che siano al contempo favorevoli al settore e rispondenti al miglior interesse pubblico.

Una parte essenziale del mio ruolo è garantire una comunicazione trasparente ed efficace con gli stakeholder, evidenziando sia l’impatto positivo delle iniziative aziendali e sia l’impatto positivo e/o negativo che le politiche pubbliche hanno sul settore in generale. Questa attività si basa non solo sulla gestione delle relazioni istituzionali, ma anche su un costante monitoraggio delle dinamiche del mercato e degli sviluppi normativi, così da potersi adattare rapidamente ai cambiamenti.

Dal punto di vista di un’azienda che fa parte di un settore così importante e delicato che più di altri può influenzare il futuro del pianeta poiché vi è una forte dicotomia tra il settore delle costruzioni e il consumo globale di energia, va evidenziato come investire in tecnologie e processi che favoriscano la sostenibilità e la conformità normativa sia una priorità costante. Questo richiede una visione strategica e una grande abilità nell’identificare e implementare soluzioni innovative.

Il settore dell’edilizia ha un’importanza sempre più primaria nella transizione ecologica. L’industria dei materiali per la costruzione deve focalizzare l’attenzione non solo sul produrre in maniera più sostenibile, ma anche sul produrre materiali che permettano di costruire con impatto minore e garantiscano sicurezza e benessere per chi vive gli edifici, grazie a soluzioni performanti, flessibili e durature, nel rispetto delle materie prime e della circolarità.

Nella precedente risposta emerge come la comunicazione rivesta un ruolo importante all’interno della sua attività. Poiché sul rapporto tra lobbying e comunicazione vi sono diverse scuole di pensiero, vorrei sapere qual è la sua visione a riguardo. 

La nostra professione negli ultimi anni è cambiata in maniera esponenziale, si è compreso che mettere in piedi una mera attività di lobbying che non si integri con l’attività di comunicazione o di advocacy che risponda alle varie necessità, significherebbe portare avanti un’attività non del tutto completa, che potrebbe anche essere efficace ma non efficiente.

Pertanto, siamo difronte ad un sistema ibrido e fortemente interconnesso, che si baserà sempre di più sull’individuazione del giusto mix tra l’attività di rappresentanza di interesse nella sua accezione classica, l’attività di comunicazione e quella di advocacy. Credo fortemente, infatti, che in futuro senza la componente della comunicazione, fondamentale nel processo di creazione del consenso o del bisogno a livello politico, difficilmente si potrà fare lobbying.

Ha parlato della necessità di “promuovere politiche che siano al contempo favorevoli al settore e rispondenti al miglior interesse pubblico” e questo mi fa pensare al grande dilemma del settore della rappresentanza di interessi degli ultimi anni: regolamentazione sì o regolamentazione no e perché?

La competitività di un’impresa e la sua capacità di restare sul mercato nel lungo periodo, sono sempre più influenzate dalle normative che regolano il proprio settore di riferimento. In questo senso, saper dialogare con il decisore pubblico risulta oggi imprescindibile non solo per la definizione delle principali scelte strategiche aziendali, ma anche per garantire che le attività aziendali si conformino perfettamente al contesto normativo.

Per questo motivo, la rappresentanza di interessi è entrata nel novero delle attività strategiche per ogni azienda, ma all’interno di questo insieme è probabilmente l’unica a non essere regolamentata. Infatti, nonostante le innumerevoli proposte di legge presentate in Parlamento nel corso degli ultimi anni e sistematicamente cadute nel vuoto, l’Italia è ancora uno dei pochi Paesi a non essere dotato di una Legge sulla rappresentanza di interessi.

La mancanza di una regolamentazione chiara permette l’esistenza di attività poco trasparenti che danneggiano tutto il settore. Proprio per questa ragione, da anni tutti noi professionisti del settore chiediamo a gran voce che vi sia una regolamentazione chiara e univoca dell’attività, in una logica non punitiva, ma di valorizzazione della qualità della legislazione e dei processi decisionali.

Serve però che il processo sia basato su un sano e proficuo confronto fra tutti gli attori in gioco. Solo ascoltando i player del settore il legislatore potrà essere in grado di cogliere alcuni aspetti salienti di questa attività che si muove in mercati sempre più interconnessi, complessi e in rapido cambiamento.

 

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