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Cinema: oltre i big data roba da campioni

arte

Una porzione crescente delle nostre esperienze (anche legate all’intrattenimento) avvengono in contesti digitali, o si associano facilmente a processi di raccolta ed elaborazione di dati. Sui social ed attraverso altri canali di interazione, lasciamo frequentemente traccia di quello che apprezziamo o che ci fa storcere il naso o che desideriamo, e questi dati entrano puntualmente in processi che (in modo non esattamente disinteressato) puntano ad impattare sulle nostre esperienze successive. È la click economy bellezza. Le dinamiche in questione hanno indubbiamente una loro efficacia (a seconda dei punti di vista e degli obiettivi), ma non sempre aiutano ad avere una visione d’insieme sui fenomeni, e raramente si traducono in informazione condivisa.

La fruizione di contenuti audiovisivi sulle piattaforme rientra pienamente fra i comportamenti tracciati in ambiente digitale, ma le informazioni generate sono tutt’altro che complete, a partire dalla possibilità di ricostruire il “chi guarda cosa”. È infatti noto che nelle famiglie si fa un uso asistematico dei profili individuali, ed in ogni caso è impossibile tracciare in automatico le visioni condivise. Risulta parziale anche il quadro inerente la qualificazione dell’esperienza, anche se molte piattaforme sollecitano dei giudizi sui contenuti visti (pur con scale semplici come “non fa per me”, “mi piace”, “adoro”).

Anche in questo caso gli utenti che decidono di valutare i contenuti sono relativamente pochi, ed i sistemi di raccomandazione devono dunque basarsi principalmente su indicatori indiretti come la correlazione con altri contenuti visti all’interno della piattaforma. In questo modo una porzione importante della soddisfazione e dell’insoddisfazione dell’utenza rimane “sott’acqua”, ed anche la logica del “per te che hai visto…” sconta il limite della vista intra-piattaforma.

Il migliore dei motori di raccomandazione ragiona per analogia in base alle scelte fatte nel perimetro di una determinata offerta, ma ciascun utente suddivide i propri consumi su più piattaforme, e solo una visione d’insieme potrebbe fornire un quadro completo e preciso dei paradigmi di gusto. Ed eccoci al nodo della questione: il digitale consente di descrivere alcuni fenomeni con grande precisione e profondità, ma sconta una certa parzialità e le implicazioni di un eccesso di verticalizzazione.

Il fatto è che una somma di verticalizzazioni monadiche non aiuta a comprendere la complessità delle scelte degli individui, che si qualificano per il loro essere interrelate. Come ovviare a questi limiti? Facendo domande anziché limitarsi a tracciare. È questo il rinnovato spazio della statistica descrittiva e delle metodologie della ricerca sociale e di mercato in uno scenario come quello odierno, e, pur con le sfide poste alle tecniche di campionamento per poter garantire la piena rappresentatività, si può ancora fare grande affidamento sulla collaborazione degli intervistati e sul valore aggiunto dell’intelligenza collettiva.

In Ergo research siamo talmente convinti di questo e del valore della contestualizzazione, che dal 2014 abbiamo trasformato “Sala e salotto” in uno spin off della ricerca multi-client (e multi-subject) da 7.000 interviste/anno: DigitalTRENDS. Questa scelta allarga ulteriormente lo sguardo verso altre forme di intrattenimento, partendo sempre da una diagnostica sulle tecnologie disponibili e sui contesti di fruizione, a cavallo fra intra ed extra domestico.

Quella del giugno del 2024 sarà l’undicesima edizione, supportata da un mix eterogeneo di committenti che vanno dai broadcaster, alle piattaforme, alle telco, agli utenti di comunicazione, alle realtà distributive, ai soggetti associativi ed istituzionali. Cambiano di volta in volta i punti di osservazione e le chiavi interpretative, ma vale per tutti il valore insito nel mettere in relazione target e fenomeni in una prospettiva sistemico-olistica.

Si parte con le ricostruzioni soggettive del time budget mediale (che, anche quando non sono precisissime, restituiscono la valorizzazione delle attività), per poi analizzare il trend della de-linearizzazione dei consumi video; quello, per intenderci, che ha portato l’area allargata dell’ON Demand ad essere considerata largamente maggioritaria (nel tempo “rilevante”, ad attenzionalità alta, mentre la TV lineare torna protagonista con l’aggiunta dell’easy watching, del “sottofondo” e della mul- tiattività).

Si procede qualificando i vettori della de-linearizzazione, passando in rassegna il ruolo delle offerte di tipo SVOD (Subscription Video On De- mand, “alla Netflix”), l’area dei servizi BVOD (le piattaforme come Rai Play, riconducibili ai broadcaster), il vasto perimetro dei “video web nativi” (da quelli user generated, a quelli espressione di creator più professionalizzati fino agli short content con standard produttivi elevati). Gli intervistati si muovono fra ricostruzioni comportamentali, giudizi sull’offerta e intenzioni future, consentendo di alimentare una visione d’insieme che integra quello che i singoli player già sanno e surroga quello che scelgono di non comunicare all’esterno. Non esistono dati ufficiali o comunicati sistematicamente sugli utenti attivi della piattaforma X o sulla loro soddisfazione?

Allora chiediamolo in modo adeguato ad un campione rappresentativo. In che misura le opzioni dell’intrattenimento domestico sono in concorrenza fra loro? Quali sono le tecnologie abilitanti? Quanti aperitivi vengono consumati dai moviegoer fra un biglietto del cinema e l’altro? Selezione o bulimia? Programmazione, palinsesti o “quello che voglio quando voglio”? Autonomia o condivisione? Ristorante o food delivery? Lo chiedo a Google o ad Alexa? Quante “storie rilevanti” entrano ogni anno nell’esperienza degli italiani fra cinema, serialità, libri, teatro, podcast ed altre narrazioni?

Sono solo alcuni degli interrogativi cui si prova a rispondere interrogando i dati di una ricerca single source come DigitalTRENDS, con l’ambizione di mappare comportamenti, atteggiamenti e stili di consumo, sposando la logica “your target in the scenario”. Ciascuno degli argomenti affrontati in DigitalTRENDS sarebbe esplorabile attraverso dati di prima parte molto più precisi e profondi, ma ciascuna di queste verticalizzazioni sconterebbe la propria parzialità e monadicità.

L’intelligenza artificiale potrebbe illuderci della possibilità di metterli in relazione, ma proverebbe a delineare delle personas senza passare dalle persone: l’esatto contrario di quello che si ripropone la statistica descrittiva attraverso l’approccio campionario.

*L’articolo è un contributo di Michele Casula, partner di Ergo research, società fondata nel 2012 da tre soci, supportati da un team multidisciplinare interno e da una rete di professionisti e società partner che ne condividono l’approccio integrato, declinato su metodologie quantitative e qualitative con prodotti di ricerca originali, sia multiclient, sia ad hoc.

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