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Brando Benifei, verso un’Europa politica e competitiva

Ligure, trentotto anni, capodelegazione del Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, oggi co-relatore dell’AI Act. Brando Benifei, enfant prodige della politica italiana, viene eletto in Europa a soli 28 anni nel 2014 per poi essere riconfermato alle ultime elezioni del 2019. La sua intensa attività parlamentare lo ha spinto a lavorare per un’Europa più politica, democratica, vicina ai suoi cittadini. Da sempre nutre la convinzione che soltanto in un’Unione più forte possiamo sperare di essere incisivi nel mondo. I tempi odierni ce lo rammentano ogni giorno. E dunque, in vista delle elezioni europee 2024, quale futuro per l’Ue in questa nuova fase di “instabilità” mondiale? Ne abbiamo parlato con l’onorevole Benifei.

L’intervista

Lei è stato relatore di uno degli atti più rilevanti che l’Ue ha approvato, l’AI Act.  Parliamo dell’AI, in particolar modo di quella generativa. Può spiegarci l’essenza del testo normativo? In particolare, sul riconoscimento biometrico e sull’obbligo per i creatori dei modelli di rivelare su quali dati questi ultimi sono stati addestrati e come ne hanno valutato i rischi, siete riusciti a trovare un compromesso con il Consiglio dell’Ue che vi soddisfi?

L’AI Act è il primo regolamento al mondo che istituisce norme chiare e vincolanti in questo campo.

Per quanto riguarda il riconoscimento biometrico in tempo reale, sarà permesso solo dietro autorizzazione del giudice, nelle indagini per reati gravi (terrorismo, omicidio, traffico di esseri umani etc). Sulla valutazione del rischio per i modelli più potenti abbiamo individuato degli obiettivi legati alla gestione dei dati e alla cybersicurezza e per l’AI generativa abbiamo inserito l’obbligo del watermarking, una forma di etichettatura digitale, per i contenuti generati da AI che li renda riconoscibili come tali direttamente da un qualunque device, oltre che norme per la tutela del diritto d’autore.

Seguendo un approccio regolamentare (diverso dall’autoregolamentazione statunitense) non vi è il rischio di ostacolare l’innovazione e lo sviluppo del settore e di rendere il mercato europeo meno competitivo rispetto a quello americano o cinese? O ritiene invece che si verificherà anche per l’AI, come per il Gdpr, un cosiddetto “Brussels Effect” e che il testo saprà accogliere l’innovazione e non incatenarla in un intrico di regole?

Sono convinto che l’AI Act non ostacolerà l’innovazione ma solo se l’Unione farà altri passi per lo sviluppo di un nostro modello che non sia solo regolatorio. Oltre allo sforzo legislativo si sono avviate iniziative come quelle legate ai supercomputer e per le competenze digitali ma dobbiamo essere chiari: senza una maggiore integrazione politica europea essere competitivi con Usa e Cina non sarà possibile, perché servono risorse disponibili e decisioni che possiamo prendere solo insieme.

Oltre alle sfide legate all’AI, l’Ue è alle prese con la doppia rivoluzione digitale e energetica. Quali misure dovranno essere implementate per proteggere l’industria europea e renderla competitiva, schiacciata com’è da Stati Uniti, Cina e le nuove economie emergenti del Sud Globale, trovando un giusto compromesso tra tutela ambientale e industrializzazione? Penso ai chip, alle fonti energetiche alternative.

L’Unione deve continuare a portare avanti la transizione ecologica ed energetica ma dobbiamo essere sicuri che queste misure non siano pagate soltanto dai lavoratori, e che le nostre aziende possano rimanere competitive e siano aiutate in questa rivoluzione produttiva, il che richiede accompagnamento e risorse adeguate. La transizione digitale è strettamente legata e l’esempio del Chips Act è pertinente: i semiconduttori sono cruciali per la trasformazione digitale europea, data la carenza di chip nel mondo e con questa legge si garantisce la sicurezza dell’approvvigionamento.

Stiamo vivendo tempi incerti. Citando le parole di Papa Francesco è ormai in atto la “terza guerra mondiale a pezzi”. Ecco, l’Europa, soprattutto in vista di un ritorno di Trump alla Casa Bianca e un ridimensionamento del ruolo della Nato, come intende sostenere e finanziare la sua sicurezza collettiva ed essere più incisiva in politica estera parlando ad una sola voce?

Credo che alla politica estera, nei prossimi anni, l’Europa debba dare priorità a prescindere da chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, nonostante le grandi differenze tra Biden e Trump, che solo qualche settimana fa ha fatto dichiarazioni gravissime, dicendo che non difenderebbe i Paesi europei dalla Russia.

Occorre una maggiore cooperazione tra gli Stati membri in materia di sicurezza e passi avanti sulla difesa comune, aumentando l’approvvigionamento collettivo e riducendo le inefficienze, affinché ci siano le condizioni per dei primi nuclei operativi comuni. Tuttavia, bisogna essere chiari: senza un’Europa più unita politicamente, sarebbero progressi dalle basi fragilissime.

Stati Uniti d’Europa, un modello a cui tendere? E quali sarebbero le prime mosse per realizzare un’Unione ancor più politica? 

Sì. A novembre è stata approvata dal Parlamento europeo una proposta di riforma dei trattati che ora va sul tavolo del Consiglio. Tra le altre cose prevede l’abolizione del diritto di veto in Consiglio, l’istituzione di referendum europei, oltre ad ampliare le competenze dell’Ue in materie chiave quali le politiche ambientali, la salute, la tutela dello stato di diritto e le politiche sociali. Partiamo dal discuterne seriamente durante la campagna delle elezioni europee.

Lei sarebbe favorevole a un’Europa a geometria variabile, e dunque a un’Unione con un nucleo centrale politico più ristretto di Paesi che condividono la stessa moneta e la stessa cultura politica e un corollario esterno di Stati satelliti che però rimangono solo nel mercato interno? 

È fondamentale procedere in questo modo unendo maggiormente chi ci sta, non c’è alternativa. Senza riforme radicali della governance europea come queste non potremmo mai realizzare un bilancio rafforzato con debito e politica fiscale comune, una vera politica industriale e una voce unica in politica estera.

Con un nucleo più integrato diventerà più semplice anche completare l’allargamento, che è molto difficile con l’Unione come è oggi.

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