L’Europa ha una proposta per gli Usa: 50 miliardi di euro per evitare i dazi. L’idea è quella di incrementare gli acquisti di beni statunitensi per equilibrare la bilancia commerciale. Maroš Šefčovič, vicepresidente e commissario al commercio dell’Ue che sta negoziando a nome dei 27 Paesi membri, lo ha spiegato al Financial Times e ha detto che adesso c’è “una maggiore comprensione reciproca sui numeri”. Per il futuro del negoziato, in effetti, sarà fondamentale capire quali cifre prendere in considerazione.
L’offerta dell’Ue
Non parleremmo ancora di un’offerta formale ma solo di una discussione, ha spiegato il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill. Ma l’offerta da 50 mld di euro secondo il vicepresidente significherebbe mettere una toppa al disavanzo commerciale con gli Stati Uniti – la differenza tra importazioni ed esportazioni tra gli Usa e i partner commerciali – alla base della decisione di Trump di imporre dazi al resto del mondo.
Il conto alla rovescia scade a luglio, e i dazi per l’Europa sarebbero catastrofici. Solo considerando l’Italia, proprio a marzo l’export verso i Paesi extra Ue è tornato a crescere su base annua solo grazie alle “vendite ad elevato impatto di mezzi di navigazione marittima verso gli Stati Uniti”. Senza le vendite più consistenti negli Usa l’export italiano nei Paesi extra-Ue sarebbe sceso del -1,6%, secondo Istat.
Perché un’offerta da 50 miliardi
Secfovic però ha detto al Financial Times che sarà “molto difficile” raggiungere un accordo che sia “chiaramente buono e accettabile per gli Stati membri e per il Parlamento europeo”.
Ma perché l’offerta europea è di 50 mld di euro? La risposta sta in uno dei punti più caldi della discussione tra Stati Uniti e Unione europea: l’inclusione nei conteggi dei servizi, oltre che dei beni scambiati tra i due blocchi.
Usa vs Ue, beni vs servizi
Per questo Maroš Šefčovič ha chiesto a Washington di tenere conto anche delle esportazioni di servizi Usa verso l’Ue. Considerando i servizi, il disavanzo complessivo si ridurrebbe a circa 50 miliardi di euro, da corrispondere attraverso l’acquisto di gas naturale liquefatto e “prodotti agricoli come la soia, o in altri ambiti”.
Nel preparare la sua offensiva commerciale, la Casa Bianca ha accuratamente evitato di includere i servizi nei suoi conteggi, che secondo un’analisi di Reuters rappresentano oltre il 70% dell’economia statunitense e generano per Washington un surplus commerciale enorme.
Servizi, per gli Usa 200 mld di surplus
Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno esportato servizi per 1.100 mld di dollari, acquistandone poco più di 800: da dieci anni il surplus a favore degli Usa supera stabilmente i 200 mld. Se ai numeri si aggiungono le attività delle filiali estere delle multinazionali Usa, il surplus raggiunge quasi i tre quarti del deficit commerciale considerato da Donald Trump come giustificazione della sua politica sui dazi.
Sempre secondo i numeri dell’Us Bureau of statistics citati da Reuters, l’Europa è il target principale del surplus americano sui servizi, superando i 100 mld di dollari l’anno.
Non è un caso se tra le armi sventolate da Ursula von der Leyen nelle scorse settimane ci fosse proprio la ritorsione sui servizi – con la minaccia di colpire i ricavi pubblicitari delle Big Tech nel continente.
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Perché l’Europa ha fretta
Šefčovič sta negoziando con il rappresentante commerciale statunitense Jamieson Greer e con il segretario al Commercio Howard Lutnick. Definisce i potenziali dazi combinati minacciati da Trump nei confronti dell’Ue come “cifre astronomiche”.
Niente dazi al 10%
Anche per questo per l’Ue la base negoziale non sono i dazi al 10% voluti da Trump per praticamente tutti i partner commerciali. Šefčovič considera di buon auspicio gli “aggiustamenti” delle scorse settimane e l’ammorbidimento di alcune misure, come quelle relative ai dazi sulle automobili, avvenuto anche dopo la reazione dei mercati.
Le stime Bce
Intanto l’Europa deve tenere d’occhio i numeri: con la ripresa attesa per il secondo trimestre caratterizzata da una crescente incertezza. Lo scrive la Banca Centrale Europea nel suo terzo bollettino dell’anno.
Secondo l’Eurotower, nei primi mesi del 2025 l’andamento del Pil dell’area euro è stato positivo, ma le prospettive per il secondo trimestre hanno risentito dei recenti shock avversi a livello mondiale come ad esempio i nuovi dazi statunitensi, le possibili misure ritorsive, l’aumento dell’incertezza a livello internazionale, una maggiore volatilità nei mercati finanziari, nonché di shock interni più favorevoli, come le nuove politiche nazionali e a livello di Ue relative alla spesa per le infrastrutture e la difesa.
A marzo, indica quindi la Bce, gli indicatori prospettici già mostravano un quadro eterogeneo, molto probabilmente riflettendo le difficoltà derivanti dagli annunci attesi sui dazi statunitensi. Inoltre, la battaglia principale di Francoforte, quella contro l’inflazione, non va bene quanto previsto: l’aumento dei prezzi è rimasto a un +2,2% ad aprile, mettendo in discussione la politica di tagli intrapresa dall’Eurotower negli ultimi mesi.
L’Ue tra due fuochi
I leader dell’Ue hanno anche il problema di gestire le conseguenze dei dazi commerciali statunitensi sui prodotti cinesi, che così verranno probabilmente dirottati verso Paesi terzi, come le nazioni dell’area dell’euro. Il che per le industrie europee sarebbe un brutto colpo.
Šefčovič ha detto di essere in costante contatto con negoziatori di altri Paesi impegnati a trovare un accordo con Trump, aggiungendo che l’Ue è pronta a collaborare con gli Usa per affrontare l’impatto dell’aumento delle esportazioni cinesi come possibile elemento di scambio nell’accordo. “Crediamo di poter ottenere molto insieme, in particolare sulla sovraccapacità di acciaio e alluminio, lavorando insieme sui semiconduttori e superando la dipendenza da materie prime critiche”, ha concluso.