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Il 30 giugno e la grande partita del lavoro

C’é una data segnata in rosso sul calendario. Al 30 giugno, quando è fissato lo stop al blocco dei licenziamenti, guardano tutte le componenti del mondo del lavoro: le imprese, i lavoratori, i sindacati e, soprattutto, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Si tratta di una scadenza che si avvicina pericolosamente e il tempo per arrivarci preparati stringe. Se è comprensibile che il blocco non possa essere una misura prorogabile all’infinito, è anche evidente che servono misure strutturali in grado di attutire le conseguenze che arriveranno, quando il tappo sarà saltato.

Da una parte la riforma degli ammortizzatori sociali e, dall’altra, quella delle politiche attive. Vanno individuati strumenti efficaci per sostenere chi perde il lavoro o rischia di perderlo e va costruita una strategia coerente per aiutare chi è senza lavoro a trovarne un altro.

Si tratta di un passaggio che è cruciale per la tenuta del sistema economico e che ha rilevanti ricadute sul piano politico. Non a caso, è stata fatta dal premier Mario Draghi, d’accordo con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, la scelta di affidare i due ministeri direttamente coinvolti, Lavoro e Mise, a due esponenti politici di peso, lo stesso Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti, al quale spetta la gestione delle crisi industriali.

Sulla frontiera del lavoro si gioca la prospettiva di una reale ripresa post Covid. Se si arriva al 30 giugno con un’idea coerente di protezione e ricollocazione della forza lavoro, è possibile pensare a come utilizzare le risorse del Recovery fund per creare nuovo sviluppo. Senza, le tensioni sociali rischiano di travolgere qualsiasi piano di rilancio.

Per riuscire a raggiungere l’obiettivo, serve proprio la politica. Vanno riviste le scelte sbagliate del passato, anche quelle scomode. La gestione del reddito di cittadinanza e l’organizzazione che ruota intorno ai navigator ha mostrato tutte le sue incongruenze. I risultati sono pessimi, anche prescindendo dalle difficoltà supplementari imposte dalla pandemia. Questo non vuol dire necessariamente smontare una misura che, oltre a essere una misura di bandiera del Movimento Cinquestelle, resta anche una risposta coerente all’obiettivo di contrastare la povertà. Ma vuol dire sicuramente correggerla, recuperando risorse che vanno sprecate e riallocandole proprio in favore di politiche attive efficaci.

Intervenire per correggere l’impostazione del reddito di cittadinanza, e soprattutto le distorsioni del sistema dei navigator, non vuol dire fare un atto ostile al M5s ma utilizzare le risorse pubbliche, tutt’altro che infinite, per contribuire a creare nuovo lavoro.

L’altro tassello fondamentale, in questa fase, è la collaborazione dei sindacati e delle imprese. Le posizioni idelogiche non aiutano in un passaggio come quello che stiamo attraversando. Interpretare la fine del blocco dei licenziamenti come l’autorizzazione a licenziare il più possibile sarebbe imperdonabile da parte delle imprese e di chi le rappresenta, Confindustria in testa. Puntare sulla proroga all’infinito del blocco dei licenziamenti per non affrontare le riforme che servono sarebbe un errore macroscopico da parte delle organizzazioni sindacali.

È il momento della politica, di un governo lungimirante e di relazioni industriali responsabili.

 

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