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Venezuela, per ora è una ‘finta’ rivoluzione

E’ chiaro che l’essenziale di quello che sta succedendo in Venezuela oggi è, per citare de Saint-Exupéry, invisibile agli occhi. Il 23 febbraio, abbiamo assistito a una delle più grandi debacle dell’intelligence americana. Hanno messo su un grande show, hanno chiamato a rapporto un manipolo di capi di Stato e il loro Vice Presidente, per assistere a un buco nell’acqua. Probabilmente il responsabile ‘sta pulendo i cessi’ a Langley in questo momento. Posto questo fallimento, ci si aspettava che Guaidó non sarebbe mai tornato in Venezuela, o se ci avesse provato, lo avrebbero arrestato subito. Uno dei primi provvedimenti della Corte Suprema di Giustizia nel momento in cui ha giurato come Presidente ad interim, é stato infatti quello di intimargli di non lasciare il Paese nelle more delle investigazioni sulle sue attività illecite.

Il ‘ragazzo’, invece, il 23 febbraio è uscito dal Paese e dal 23 febbraio al 4 marzo ha fatto un grand tour per incontrare i capi di Stato degli Stati amici. In alcuni Paesi ha ricevuto gli onori militari, da vero presidente in carica (in Argentina e Colombia, un po’ meno in Brasile). In altri (Ecuador) è andato zitto zitto. Nella tappa in Paraguay iniziava ad avere l’acne e la pelle grigia. Al suo fianco sempre la moglie, diafana, coi capelli lunghi e lisci, il naso tagliente e il sorrisone (ma ad Asuncion non sorrideva più). Ha annunciato il ritorno per il 4 marzo. Il lunedì di Carnevale. Si perché in Venezuela il Carnevale è soprattutto un’occasione per chiudere tutto e andare al mare. Non ci sono sfilate, donnine in costume, piume e cose così. Non si sa bene perché in tutto il Sudamerica fanno un casino pazzesco e qui no. Comunque sia, Maduro ha chiuso gli uffici pubblici a partire da giovedì, quindi il Paese é chiuso per ferie fino a mercoledì. Non c’è quasi nessuno in giro. Tipo paesaggio post catastrofe apocalittica. Nel lunedì di vacanza, gli Ambasciatori di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Perù, Ecuador, Eeuu, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Portogallo e Romania vanno in aeroporto ad aspettarlo, tipo scudi umani (è una parte del lavoro, ormai si è capito). E il ragazzo torna, col trolley e cinque amici. Non lo ferma nessuno. La folla fuori dall’aeroporto è impressionante. Prende una macchina e va a Caracas dove ha indetto un raduno. Arriva, ci sono 40.000 persone (pochissime per i suoi standard da mega rock star). Esce dalla macchina e la gente va in delirio (sai gli urli quelli acuti delle adolescenti quando vedono il loro idolo e secernono ormoni a manetta? Quelli lí). Lui sale sul tetto della macchina per salutare. Gli passano una bandiera del Venezuela. La sventola e poi mette una mano sul cuore e attacca a cantare l’inno nazionale e tutti e 40.000 seguono in coro.

Insomma stiamo da capo. Guaidò ora ha un milione e seicentomila follower su twitter e ha detto alla gente di scendere in piazza sabato. Maduro ha dichiarato che non lo hanno arrestato perché vogliono vedere come si comporta. Cartellino giallo insomma, ma niente espulsione. I venezuelani sono contenti che hanno ancora la loro rockstar. E il dato di fatto è che nessuno vuole essere credibile. Contano soprattutto le emozioni che si sanno suscitare.

Niente a che vedere con le rivoluzioni negli anni Novanta. Nella prima la gente abbatteva a picconate un muro. Nelle altre la gente stava in pizza giorni, mica tornava a casa per il whiskino della sera. Stava in piazza, sparava, si faceva sparare. Arrivavano i carri armati, il capopopolo ubriaco parlava coi carristi e stanavano il presidente in carica, tipo cacciatori coi cani. Le rivoluzioni sono state cosí. Ma magari tra un mese si rimpiangeranno questi momenti fake, dove uno fa finta di fare la rivoluzione e l’altro fa finta di impedirglielo. Perché quando si metteranno a fare sul serio sarà terribile.

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