Quando si parla di concorrenza, si parla anche di interessi stratificati e, spesso, di rendite di posizione. Per questo le liberalizzazioni hanno da sempre alimentato i contrasti più forti fra fazioni opposte, quella pro mercato e quella schierata per la conservazione dello status quo. Nel caso delle concessioni demaniali per le spiagge il problema si trascina da anni, dall’approvazione della direttiva Bolkenstein del 2006. E da anni si stratificano diritti acquisiti che diventano inevitabilmente privilegio.
Sono storie diverse, sono le piccole imprese familiari tramandate di generazione in generazione ma sono anche gli stabilimenti in mano alla malavita. L’apertura alla concorrenza vuol dire sanare un’anomalia che non chiede solo la perfida Bruxelles ma anche la parte di Paese che crede nelle regole, nella necessità di uscire dall’area grigia delle deroghe infinite.
La decisione del governo Draghi di prendere tempo è un compromesso che inevitabilmente rallenta la velocità di marcia, con la formula del monitoraggio per sei mesi (escamotage fotocopia della sofferta riforma del catasto) che è sicuramente un passo falso.
La concorrenza non può essere a intermittenza e non può coesistere con le zone franche. È un fattore essenziale per il funzionamento del mercato e deve sostenere liberalizzazioni vere, a vantaggio dei consumatori e dell’attività di impresa. Anche sulle spiagge.