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Il coaching, come ‘insegnare’ la fiducia ai manager

“Raccontare un evento personale che li aveva colpiti ed emozionati, in positivo o in negativo”. Intorno al tavolo ci sono colleghi di lavoro, componenti di un team aziendale che, guidati dal coach, si lasciano andare e si mettono in gioco. “Uno di loro, ad esempio, Matteo, estremamente introverso e dall’atteggiamento un po’ burbero, facendo uno sforzo enorme, racconta di avere perso la mamma all’età di due anni e di avere sofferto di questo”. Per costruire un clima di fiducia, serve prima di tutto condivisione, racconta Dania Buzzacchi, executive coach da più di 10 anni. “In quell’occasione, con questo esercizio, l’obiettivo era far sì che tra le persone del team si creasse una conoscenza più profonda, che portasse a fidarsi di più. Tutti dicevano, a parole, di fidarsi l’uno dell’altro ma in realtà non era proprio così. E questa mancanza di fiducia interferiva sui processi organizzativi”, spiega. “Da quel giorno le cose sono cambiate – racconta la Buzzacchi – Si è instaurato un clima positivo e più collaborativo”.

Costruire una cultura manageriale capace di valorizzare le persone e il loro potenziale, affinché si sentano realizzate e diano il meglio nel ruolo ricoperto. E’ questo l’obiettivo del coaching – termine per raccontare uno strumento che è sempre più diffuso nel mondo delle aziende ma anche nel privato. Il coaching nasce negli Stati Uniti: prima viene applicato in ambito sportivo dove, non a caso, la parola coach identifica chi allena una squadra. A partire dagli anni Ottanta viene pian piano applicato anche alle aziende e, a partire dagli anni Novanta, sbarca anche nel nostro Paese.

Nell’ultimo decennio, il coaching è molto presente anche nel settore pubblico“, spiega la Buzzacchi che porta l’esempio di una Provincia e di un Dipartimento di 800 persone guidate da diversi dirigenti. “Si sono affidati al team coaching per migliorare le proprie perfomances organizzative”, spiega. “Perché ciò che conta per avere successo in carriera – puntualizza – non sono soltanto le competenze tecniche ma anche e soprattutto quelle manageriali”. In altre parole, è fondamentale essere consapevoli del proprio ruolo, della propria responsabilità e avere obiettivi condivisi in una squadra, avere una chiara definizione dei valori del team e soprattutto creare un clima di fiducia. Questa è la parola d’ordine: fiducia.

“Per farlo ci sono diversi strumenti. “Il Team Leader deve essere umile, coerente e quindi deve fare quello che dice ma soprattutto deve avere in mente un concetto ben chiaro: il manager deve valorizzare i propri collaboratori. Perché solo così potrà ottenere risultati positivi e per farlo il Team Leader deve motivare, delegare responsabilità, dare dei feedback a chi collabora con lui, eventualmente riorientarlo”. E’ fondamentale responsabilizzare. Guai a pensare di controllare tutto“.
“Oggi, in Italia, la cultura del coaching si sta diffondendo sempre di più”, afferma Buzzacchi. “E’ molto apprezzata dai più giovani che ricercano in azienda una cultura di coaching che sappia valorizzare le persone e farle crescere. D’altronde quando si fa team coaching si lavora anche sulle dinamiche relazionali all’interno del gruppo”. La generazione dei Millennials è più aperta a questo tipo di approccio.

Il pensiero di Dania Buzzacchi va a Giacomo, manager di 28 anni che lavora in una nota azienda automobilistica giapponese. L’Executive Coaching lo ha aiutato, motivandolo, a raggiungere i suoi obiettivi, “prima di tutto capendo che è fondamentale non essere troppo severi con se stessi e, ancor di più, che è importante delegare e fidarsi dell’altro”. E’ la cultura del lavoro in team che si fa sempre più spazio e prende il posto di quella strettamente gerarchica. La cultura del coaching va condivisa, prima di tutto, con i vertici dell’azienda. “Il coach non può fare a meno di definire insieme a loro, a partire dal Direttore generale, gli obiettivi da raggiungere”, sottolinea Buzzacchi. Solo così questo percorso diventa un fattore di crescita non solo a livello personale ma soprattutto dell’intera struttura. Per andare verso il successo, ottenere il meglio da se stessi, aiutare i team a essere più produttivi e anche “creativi”. E costruire le basi per una vittoria. Rigorosamente di squadra.

 

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