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Genish, un destino già scritto

amos genish tim

Non sono arrivati i risultati previsti. E la conseguenza, piuttosto logica, è la scelta di cambiare la guida operativa che quei risultati aveva indicato. Per questo, è saltata la poltrona dell’amministratore delegato di Tim, Amos Genish. Una spiegazione lineare e anche credibile, dati alla mano: le svalutazioni che hanno pesato sugli ultimi conti trimestrali e l’andamento del titolo sono evidenze oggettive.

E’ quindi dai risultati, negativi, che bisogna partire. Ma il destino del manager sembrava comunque segnato da tempo. Uomo scelto da Vivendi e confermato da Elliott, Genish si è trovato a gestire un esperimento di public company fondato su un equilibrio piuttosto precario. Due i fattori che più degli altri hanno contribuito a rendere difficile il suo lavoro: l’anomalia di avere un primo azionista in minoranza, pronto a pianificare un ribaltone, e la conseguente netta spaccatura in un cda di personalità ‘ingombranti’. La fotografia più accurata è quella scattata dal voto nella riunione che ha sancito la sfiducia al manager israeliano: 10 consiglieri del fondo Elliott hanno votato contro l’ad, mentre i 5 di Vivendi a suo favore. Un nuovo cda deciderà domenica il suo successore e uno dei consiglieri, Luigi Gubitosi, è il più accreditato. Potrà migliorare la performance ma si troverà comunque a dover gestire una situazione complessa.

Diverse volte negli ultimi mesi, il socio francese ha parlato di “gestione disastrosa con Elliott”, mentre alle continue voci sul destino del manager la società ha risposto sempre sostenendo che il cda fosse “allineato” con Genish e con gli obiettivi del piano. Ma le diverse sensibilità strategiche fra lo stesso Genish e il fondo americano sono emerse più volte.

Ora, nello scambio di valutazioni arrivate prima da Vivendi e poi dalla stessa Tim dopo la decisione del cda c’è il nodo principale che andrà sciolto. “Denunciamo la destabilizzazione di questa decisione e il metodo vergognoso” ha attaccato un portavoce di Vivendi. La società ha replicato con una “diffida dal diffondere notizie false e fuorvianti, che hanno l’unico effetto di danneggiare società e azionisti”. La domanda che ci si pone oggi è quindi la stessa che si ripete da mesi. Può reggere l’attuale assetto con il livello di conflittualità interna che si è raggiunto? E, ancora, il modello che richiama quello di una public company è sostenibile in Italia e in una società contendibile come Tim?

Ce ne siamo occupati già alla fine dell’estate, in un’analisi pubblicata sul numero 2 di Fortune Italia. E oggi il tema resta sul tavolo.

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