A fine 2018, l’Italia avrà speso 40,2 miliardi di euro per approvigionarsi di energia dall’estero. Un dato, quello della fattura energetica, in crescita del 15,8%, percentuale che aumenta ancora se si considera solo il petrolio, che con un balzo del 20% arriva a costare, da solo, 21 miliardi di euro – un dato comunque inferiore di 13 miliardi al conto 2012. I numeri italiani forniti dall’Unione petrolifera nel suo preconsuntivo vengono incorniciati da una situazione globale dove il petrolio fa ancora la parte del leone nel mercato energetico. La domanda mondiale di petrolio, nel terzo trimestre del 2018, ha superato per la prima volta la soglia psicologica dei 100 milioni di barili al giorno. Determinante è stato il contributo della Cina. A livello mondiale il petrolio si conferma la prima fonte di energia con una quota del 32%. La produzione si attesterà nel 2018 a una media di 99,8 milioni di barili (+2,4%).
Per quanto riguarda invece il 2019 l’Unione petrolifera stima, considerando una media del prezzo del petrolio a 70 dollari al barile, a parità di consumi e a cambi costanti, la fattura petrolifera a 22,6 miliardi e quella energetica a 42,3 miliardi. Passando ai consumi di energia in Italia, l’Up stima per il 2018 una domanda pari a 162,7 milioni di Tep, in flessione dello 0,4% rispetto al 2017 a causa “sia del rallentamento dell’economia che del clima più mite che ha caratterizzato l’anno”. Il gas si conferma la prima fonte energetica del Paese, sebbene rilevi un calo attorno al 3% per la minore richiesta nella produzione termoelettrica, dovuta al venire meno di alcuni eventi eccezionali che avevano caratterizzato il 2017 (scarsa produzione idroelettrica e ridotte importazioni di energia elettrica).
Il petrolio, stimato sui 58,8 milioni di Tep, ha rilevato un incremento dell’1,2% rispetto al 2017, contribuendo per oltre il 36% al soddisfacimento della domanda di energia. Forte calo per i combustibili solidi (-12%), recuperano le importazioni nette di energia elettrica (+19%). Prosegue la crescita delle rinnovabili, anche se con andamenti differenziati fra le diverse fonti: idroelettrica (+24%), eolica (+1,9%), fotovoltaico (-5%), geotermoelettrica (-1,9%). In calo del 4,7% risultano le importazioni di greggio, con l’Azerbaijan che si è confermato principale Paese fornitore (peso 19%), seguito da Iraq (13,9%) e Iran (11,6%). Il Medio Oriente è stata la prima area di provenienza con un peso di circa il 39%. Complessivamente l’Italia ha importato 69 tipi di greggio da 24 Paesi diversi. La produzione nazionale di greggio si stima intorno ai 4,8 milioni di tonnellate, con un incremento di 600.000 tonnellate, pari al +15% rispetto al 2017 (+27% rispetto al 2016 quando si ebbe il minimo storico), e un risparmio in termini di fattura petrolifera di quasi 2 miliardi di euro.
Con un volume totale di 15,4 milioni di barili al giorno, quasi l’equivalente della produzione di Arabia Saudita, Iraq ed Ecuador messe insieme, gli Usa registrano un record storico (+16%) e consolidano la prima posizione, già acquisita da qualche anno, tra i Paesi produttori di petrolio. L’incremento americano, pari a 2,1 milioni di barili al giorno, copre quasi per intero l’incremento della produzione mondiale (2,3 milioni di barili). Rispetto al 2010, quindi in soli otto anni, con lo sviluppo dello shale oil gli Usa hanno praticamente raddoppiato i loro volumi (+97%) a fronte del +11% della Russia e dei Paesi Opec.
Malgrado il forte aumento registrato dal prezzo del petrolio nel 2018 (+33% a 72 dollari di media) gli investimenti delle compagnie nel settore esplorazione e produzione, scesi al lumicino con la crisi degli ultimi anni, crescono appena del 4% a 405 miliardi di dollari. Siamo dunque “ben lontani”, come rileva l’Unione petrolifera nel preconsuntivo, dal picco di 683 miliardi del 2014 (-41%). Tornando al prezzo, per il 2019 l’Up prevede una media non molto lontana da quella del 2018 e comunque all’interno della forchetta 65/75 dollari.