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Women bridge the ocean: le donne nella ricerca

Come, l”intelligenza artificiale e l’hi-tech, hanno cambiato il modo di fare medicina? E che ruolo hanno giocato le donne nello sviluppo della tecnologia come la conosciamo oggi? Quali le grandi personalità in rosa che hanno segnato tappe fondamentali nella storia della ricerca? Di questo, e non solo, si è parlato al Centro Studi Americani di Roma nell’ambito del progetto “Women bridge the ocean”, nato con lo scopo di gettare un ponte fra l’esperienza americana e quella italiana, attraverso la condivisione di storie di donne che si sono contraddistinte per il loro contributo in diversi ambiti della società.

Le protagoniste dell’incontro con focus su ‘Science and Research‘, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America e con Fortune Italia, hanno raccontato le loro esperienze e aprendo una finestra sul presente e sul futuro del settore tech applicato alla medicina. Michelle Jillian Johnson, direttore del Rehabilitation robotics lab presso la Perelman school of medicine, University of Pennsylvania, ha aperto il suo discorso parlando di tre donne americane che si sono distinte per il loro lavoro svolto alla Nasa, Beatrice Lorenzin, Onorevole e già ministro della salute, ha affrontato il tema della parità di genere, mentre Maria Chiara Carrozza, Professoressa di bioingegneria industriale alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa, già ministro della Pubblica istruzione, ha raccontato il progressi dell’ingegneria biomedica, così come Loredana Zollo (Tbc), docente di robotica biomedica, Università campus bio-medico di Roma. A mediare il dibattito, la giornalista Rai Alma Grandin.

L’ex ministro Lorenzin ha voluto porre l’accento sulla parità di genere nel settore della ricerca e della medicina: “Oggi le donne che si laureano in medicina sono più degli uomini, e sono moltissime anche le ricercatrici che raggiungono le vette delle direzioni scientifiche e del mondo della ricerca. Però – sottolinea – nel nostro paese sono ancora poche quelle che hanno ruoli apicali o di potere all’interno delle organizzazioni. Pensiamo al mondo universitario. Così come sono ancora pochissime le donne che diventano, per esempio, primario, nonostante abbiano tutte le capacità e i numeri per esserlo”.

Tra i temi affrontati, Maria Chiara Carrozza ha approfondito quello delle protesi bioniche osso-integrate che “sono sicuramente il futuro della riabilitazione”, afferma. Non solo “restituiamo alle persone amputate la possibilità di ‘sentire’, di percepire” ma studiando la connessione tra protesi e cervello “capiamo meglio il cervello, che è uno dei misteri di questo secolo”.

L’intelligenza artificiale, come discusso durante l’incontro, sta letteralmente cambiando l’approccio alla medicina: ciò che ha cambiato tutto, circa una decina di anni fa, è stato il cosiddetto ‘deep learning’ – un’architettura ispirata al cervello umano, con neuroni e connessioni. Il network del deep learning può essere molto fitto, fino ad avere migliaia di strati di profondità e miliardi di parametri. A differenza del cervello umano, tuttavia, questi network sono ‘addestrati’, e dunque ‘imparano’ sulla base di enormi quantità di dati predefiniti; ciò che il network impara viene poi utilizzato per individuare e riconoscere – attraverso modelli matematici – altri pattern all’interno di altre montagne di dati. A ‘stimolare’ l’attivazione del network potrebbe essere un qualsiasi input esterno di tipo digitale – un’immagine, il segmento di un suono. L’output, invece, è una decisione o predizione legata all’input ricevuto.

A spiegare l’evoluzione della robotica riabilitativa che poggio proprio sull’utilizzo dell’AI è stata Loredana Zollo: “usiamo tecnologie in grado di interpretare l’intenzione di movimento del paziente, lo decodifichiamo, diamo delle informazioni di ingresso alla macchina per movimentarla così come desiderato dal paziente, ma il paziente può intervenire continuamente nella modifica del comportamento della macchina. In questo modo restituiamo al paziente la possibilità di eseguire in maniera attiva compiti che non è in grado di fare direttamente, ma che può controllare continuamente e modificare come vuole”, ha concluso.

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