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Startup, quasi la metà del venture capital solo in Lombardia

Si fa presto a dire startup. In Italia il mercato dei venture capital, i capitali di rischio a cui si rivolgono le neo aziende per finanziare il proprio business, è partito nel 2013. Va piuttosto bene, ma è ancora in una fase embrionale. Anche la dislocazione degli investimenti, oltre 200 milioni di euro nel 2018, sono una base che potrebbe crescere molto di più. Ma attenzione: non basta una buona idea per essere vincenti. Ne sa qualcosa Antonino Saccà, 37 anni, da quasi dieci anni nel settore, ceo e fondatore di Hephaestus Venture, fondo di private equity da 20 milioni di euro e l’obiettivo di arrivare a 100 milioni entro i prossimi sette anni che ha in pancia 12 nuove startup soprattutto legate al mondo fintech, energy, smart mobility ed eHealth. Lo abbiamo incontrato alla prima edizione del Rome Innovation Summit e a Fortune Italia ha deciso di raccontare la verità ovvero che “Il 45% degli investimenti di venture capital in startup è concentrato solo in Lombardia, nel Lazio appena l’11% delle startup riceve finanziamenti e l’intero Mezzogiorno ha una quota del 12%”.

Come si spiega questo ampio divario?

In generale il nord va sempre meglio, il centro è in lieve crescita, stabile invece a bassi livelli il sud. Spostandoci sui settori più gettonati, informatica e telecomunicazioni sono il comparto più interessante per gli operatori. Da solo fa il 39%, soprattutto grazie alle applicazioni web e mobile per smartphone e tablet. In crescita il terziario avanzato (16%) e al terzo posto troviamo i servizi finanziari, soprattutto per l’impatto del fintech (12%). Il divario lo si spiega perché gli investimenti vanno laddove ci sono già realtà produttive forte e dove si incontrano i nuovi professionisti. È il mercato a determinare questa geografia e certamente la Lombardia è la regione che tira di più.

Vuol dire che si investe di più dove c’è un’ecosistema?

Esattamente, andare laddove non vi sono insediamenti hi tech significa andare a fare greenfield investment, ovvero vai dove non c’è nulla ma a tuo rischio e pericolo e, voglio sottolinearlo, i venture capital non sono a fondo perduto ma chi investe nelle start up vuole un ritorno del capitale investito. Nessuno fa beneficenza, giusto per intenderci.

Quante start up sono nate grazie ai fondi di venture capital nel nostro Paese?

Il numero è molto alto: 1470, significa però che gli investimenti sono molto bassi. Finanziamenti che arrivano da vecchi clienti o datori di lavoro altrimenti da investitori esteri. Se guardiamo ai dati Aifi (Associazione italiana del private equity), potrebbe essere un grande volano per l’economia: per ogni milione investito da venture capital in Italia si creano 12 posti di lavoro nell’azienda. Arrivano a 60 con l’indotto. Se si considerano tutte le startup tecnologiche, hanno dato impiego a 35mila persone. La raccolta dei finanziamenti è la sfida principale per le startup italiane, seguita da maturità del mercato, accesso ai talenti, ostacoli regolamentari e competizione estera.

E quali sono le nuove professioni legate al settore?

Si va dai social media manager al blockchain developer il professionista al centro di questa rivoluzione e rappresenta uno dei ruoli più richiesti dalle startup fintech. Laureato in ingegneria informatica si occupa del design, dello sviluppo e del testing delle tecnologie blockchain. Poi c’è artificial intelligence software developer, uno sviluppatore di soluzioni robuste, scalabili e integrabili in un pre-esistente ecosistema di data management e analytics. Senza dimenticare il cyber security specialist o l’ethical hacker una figura invece pienamente tecnica, contrapposta agli hackers malevoli.

Basta avere questi profili per avere finanziamenti dai venture capital?

Ma no, sfatiamo un mito per favore. Per accedere ad un finanziamento una start up deve avere un fatturato, altrimenti è impossibile. Sia che l’investimento venga dato in debito, con un prestito, o in equity è necessario che l’azienda abbia un fatturato, venduto il suo prodotto.

In pratica quali sono gli step per arrivare ad investire?

L’investimento è come un corteggiamento, ci vuole tempo per essere realizzato. Se il corteggiamento va a buon fine, ci si sposa, così come il divorzio può costare un sacco di soldi. Negli investimenti si conosce il team, lo si mette alla prova, si valuta come si comporta in fase operativa ed infine si chiede un parere al proprio network di investitori. In caso di feedback positivo e di corteggiamento andato a buon fine si entra nell’Equity. Noi in particolare liquidiamo gli asset delle Startup. Cioè prendiamo una partecipazione a fronte di un corrispettivo monetario che diamo ai manager, come premio e pagamento per il lavoro svolto.

E i famosi “garage” dove nascono le idee vincenti, come quelle che hanno permesso a Bill Gates di far nascere Microsoft, sono solo “sogni americani”?

Nessun investimento è a fondo perduto. Si deve sempre calcolare il rational investment che si basa su tre fattori: mercato strategico, il prodotto o servizio che deve essere finalizzato ad un cliente che lo acquista. Se non ho nessuno di questi tre elementi, l’investimento fallisce. E oggi l’80% delle start up non raggiunge i due anni di vita proprio per questo. Se invece riesce a trovare il seed, il seme, il primo investimento, diventa una corporate e può cominciare

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