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Non solo pasta: Barilla fra tradizione e innovazione

Una piccola bottega familiare diventa un’impresa globale, Barilla. E scandisce la storia di un Paese, partendo dalla tradizione per puntare tutto sull’innovazione

di Fabio Insenga – articolo apparso sul numero di Fortune Italia di settembre 2018

Nascere come un’impresa familiare e diventare una impresa globale. Trasformare una piccola bottega di pane e pasta, nata 141 anni fa, in un marchio riconosciuto in tutto il mondo. Per definizione, questa, è una storia di successo. Barilla, però, è anche altro. È la crescita e l’evoluzione di un brand e dei suoi prodotti che ha accompagnato la trasformazione di un Paese e della sua società. Basta pensare alle prime cose che istintivamente vengono in mente quando si pensa al gruppo di Parma. La pasta, ovviamente, nella tradizionale confezione blu di cartone pesante. La famiglia felice del Mulino Bianco, quella delle massicce campagne pubblicitarie degli anni Novanta. Il calcio, con la maglia storica della Roma campione d’Italia del 1982-83. Roger Federer, il testimonial di oggi, uno dei più grandi campioni di sempre. Insieme, in queste istantanee, l’industria, la società e lo sport. In Italia e nel mondo. Rappresentano la tradizione ma anche una responsabilità per il futuro che, a partire dal cibo, deve contribuire a produrre in maniera sostenibile. “Nutrire una popolazione mondiale in costante crescita con prodotti buoni, senza danneggiare il nostro Pianeta, presenta una delle più grandi sfide del nostro tempo”, sintetizza il presidente Guido Barilla.

La risposta a questa sfida passa soprattutto per l’innovazione e la programmazione. Nel 2017, evidenzia, “abbiamo preso una decisione di straordinaria importanza per il futuro: un miliardo di euro di investimenti per aggiornare, espandere e innovare molti dei nostri impianti industriali nei prossimi cinque anni”. Circa il 60% degli investimenti sarà finalizzato ad aumentare il livello di competitività e sostenibilità attraverso il miglioramento dei processi e delle tecnologie, mentre più del 40% sarà indirizzato a supportare la crescita geografica e l’innovazione. Una scelta, quella di investire in questa fase, resa indispensabile da un contesto che cambia velocemente. Lo scenario, ragiona Guido Barilla, “è caratterizzato da un profondo processo di trasformazione. I mercati per i beni di largo consumo stanno evidenziando un mutamento strutturale, in particolar modo nel settore alimentare. L’affermazione di nuove modalità digitali di consumo, l’ingresso sul mercato di nuovi attori, agili e puntuali nel soddisfare le domande del consumatore e la richiesta crescente di prodotti salutari e sostenibili sta mettendo a dura prova i modelli tradizionali di attività commerciale”.

In questo contesto, serve la capacità di fare industria ma anche lo sforzo di comprendere quello che succede oggi e le conseguenze che ci saranno domani. Con la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, racconta l’imprenditore, “continuiamo a studiare le implicazioni di questo scenario e anche grazie all’impegno quotidiano di migliaia di persone che lavorano con noi, siamo pronti ad affrontare questa sfida”.

Il legame tra tradizione e innovazione è il filo conduttore nella storia del marchio. Quando apre la bottega nel 1877, il fondatore Pietro Barilla ha come parole d’ordine ‘fare cibo buono’. Oggi, la missione del gruppo è: ‘Buono per Te, Buono per il Pianeta’. Insieme, quindi, la qualità del prodotto e la sostenibilità di tutta la filiera ‘dal campo alla tavola’. A cambiare, negli anni, è stata sicuramente la dimensione. Da un negozio, a Parma, si passa ai 28 siti produttivi (14 in Italia e 14 all’estero) di una impresa globale che esporta in più di 100 Paesi circa 1.700.000 tonnellate di prodotti alimentari all’anno.

Paolo Luca Guido Barilla e Claudio Colzani
Paolo, Luca, Guido Barilla e Claudio Colzani

L’altra costante è lo sforzo di adeguarsi alle esigenze che cambiano. Oggi c’è una pasta per tutti, anche per chi una volta non poteva mangiarla: dall’integrale al gluten free, a quella bio. E il futuro forse riserverà un ulteriore step verso una pasta realmente su misura. E anche fuori dal mondo della pasta, l’innovazione corre. Sono stati riformulati centinaia di prodotti negli ultimi 5 anni, dai sughi ai prodotti da forno. La chiave non può che essere quella di sperimentare. Blu Rhapsody è il progetto dedicato da Barilla allo sviluppo di nuove tecnologie ispirate dalla stampa 3D. È una tecnologia che nel cibo ha potenzialità ancora inesplorate e la sfida è diffondere un nuovo modo di concepire la pasta, creata, a partire da materie prime ricercate, con formati esclusivi, innovativi e personalizzati, dedicati per ora al settore dell’altissima ristorazione.

Nella storia industriale di Barilla non mancano i momenti difficili, gli errori e le correzioni di rotta. Nel 1971 i fratelli Pietro e Gianni Barilla, nipoti del fondatore Pietro, per ragioni familiari e legate al periodo storico-sociale, decidono di vendere l’azienda alla multinazionale Wr Grace. Barilla rimane sotto la gestione americana fino al 1979. È un trauma, per il gruppo e per l’industria italiana. Dal momento della vendita, e per tutti gli otto anni successivi, il pensiero fisso di Pietro Barilla è uno solo, ‘come riprendersi l’azienda’. Un vero e proprio tarlo che nel 1979, con un’operazione anomala nel mondo del business, lo porta a riacquisire l’azienda, che da allora è sempre rimasta nelle mani della famiglia. Eppure, nella percezione errata di alcuni, quella parentesi americana non è mai finita. E il gruppo è tuttora impegnato a riaffermare l’italianità di un marchio diventato internazionale.

Altrettanto difficili da gestire le accuse di utilizzare grano di cattiva qualità, reiterate nel tempo. Di fronte alle campagne mediatiche contro il grano importato, resta aperta la questione dell’etichetta su cui indicare l’origine. Un suggerimento che viene rivolto a Barilla da diversi esperti di settore, convinti che sarebbe la risposta più efficace contro la demonizzazione, spesso strumentale, del grano che proviene dall’estero. Da febbraio 2018 è entrata in vigore una norma nazionale che rende obbligatorio per la sola pasta prodotta in Italia indicare in etichetta l’origine del grano duro e della semola utilizzata, in attesa della entrata in vigore del nuovo regolamento europeo che fisserà regole uguali per tutti i prodotti alimentari e tutti i Paesi Ue. E Barilla si è adeguata alle nuove norme. Intanto, qualcos’altro è stato fatto. Dal 2014, c’è il portale ‘Guardatustesso’: una piattaforma digitale integrata per far scoprire a tutti cosa c’è dietro alcuni dei prodotti simbolo (pasta, sughi), seguendo il percorso delle materie prime dall’origine agli stabilimenti. Il grano arriva anche da fuori perché non sempre quello buono si riesce a trovare in Italia. Per ridurre la dipendenza dall’estero, Barilla coinvolge migliaia di agricoltori italiani in contratti di filiera pluriennali che hanno l’obiettivo di garantire un reddito sicuro, fissano premi di produzione legati al raggiungimento di standard qualitativi, migliorano il grano duro nazionale attraverso pratiche agricole sostenibili. L’attenzione al territorio può essere letta nei dati. Il 90% del fabbisogno di grano duro viene acquistato localmente e nell’ultimo anno è aumentata del 26% la quota di grano duro sostenibile acquistato in Italia. Questo, non vuol dire che possa bastare. Sono 150 anni che la pasta italiana si fa con grano estero importato. È un problema di quantità complessive insufficienti, ma anche di qualità del grano italiano che spesso non raggiunge il valore proteico minimo stabilito dalla legge di purezza della pasta scritta 50 anni fa. Nello stesso senso, quello della sostenibilità, vogliono andare le scelte fatte per ridurre il numero di camion sulle strade a favore di trasporti più green, con mezzi a metano o utilizzando il treno del grano.

Poi, il delicato dossier dei diritti civili. “Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. È il 25 settembre del 2013 e Guido Barilla risponde così, ai microfoni di Radio24, a chi chiede perché l’azienda non abbia ancora dato spazio agli omosessuali nei propri spot. Segue una pioggia di polemiche, con la condanna unanime per una gaffe difficilmente giustificabile. E le aziende concorrenti a cavalcare l’onda, per marcare una differenza che avrebbe potuto chiudere nell’angolo Barilla: lo slogan ‘A Casa Buitoni c’è posto per tutti’ è solo uno dei cimeli della ‘guerra della pasta’ che si scatena in quei mesi. Ma mentre anche i clienti più affezionati minacciano un radicale boicottaggio, l’azienda, a partire dallo stesso presidente, capisce di dover reagire. Arrivano le scuse, l’ammissione di aver commesso un errore e anche decisioni che vanno oltre. A testimonianza degli impegni concreti, Barilla ottiene nel 2017, per il quarto anno consecutivo, il punteggio del 100% nel ‘Corporate Equality Index’, un sistema di confronto sulle attività aziendali rivolte a dipendenti Lgbti sviluppato da Human Right Champaign. Mentre lo scorso gennaio, al World Economic forum di Davos, arriva l’annuncio che Barilla è la prima azienda italiana a sostenere gli ‘standards of conduct for business’ dell’ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, che si pongono l’obiettivo di affrontare il tema della discriminazione Lgbti.

Altro capitolo importante nella costruzione del brand sono le scelte di pubblicità e di marketing. Due le strade più battute da Barilla, che hanno contribuito a fare la storia: gli spot televisivi e le sponsorizzazioni sportive. Ci sono slogan che sono entrati di diritto nella cultura popolare. ‘Dove c’è Barilla, c’è casa’ è un claim che è impresso nella memoria collettiva. Così come la Famiglia del Mulino. La mamma insegnante, il papà giornalista, i due figli e il nonno: la rappresentazione di scene di vita quotidiana disegnano l’icona della famiglia italiana. E chi non ricorda le sorprese del Mulino Bianco degli anni ’80, le gommine profumate a forma di Crostatina, Tegolino o Baiocchi, collezionate da intere generazioni di bambini?

Roger Federer in uno spot Barilla
Roger Federer in uno spot Barilla

Indelebili le immagini legate allo sport. Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera… recita a memoria il tifoso della Roma pensando a una maglia storica, quella della squadra campione d’Italia 1982-83, con il marchio Barilla. Ma non c’è solo il calcio. Da Alberto Tomba a Steffi Graf, da Francesco Moser a Valentino Rossi e Lindsey Vonn, il brand si è sempre associato a grandissimi campioni dello sport. Fino a scegliere il numero uno assoluto del tennis, Roger Federer. È lui, oggi, il testimonial scelto per rappresentare l’impegno, il rispetto e la passione. ‘Re Roger’, nei piani dell’azienda, deve aiutare a portare lontano la missione di aiutare le persone a mangiare e vivere meglio. E, chiaramente, a vendere più pasta e sughi nel mondo.

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