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Tpl Roma, il punto di non ritorno

C’è un punto di non ritorno in cui non ci sono più scuse che tengano. Un momento in cui il governo o il ministro di un Paese civile e avanzato, di una democrazia che funziona, decide che è tempo di intervenire a tutela della capitale dello Stato e della vita dei suoi cittadini. Anche se non è nelle sue competenze: la capitale è il primo biglietto da visita di un Paese, la sua immagine. Vedi Parigi, Berlino, Londra, Madrid. Tanto più se questa capitale è Roma, un patrimonio di bellezza millenaria che non uguali nel mondo.

Il trasporto pubblico locale di Roma ha da tempo superato il punto di non ritorno, eppure con la chiusura della scuole e l’arrivo del caldo, ha sceso ancora un ultimo gradino dell’ultimissimo girone dell’inferno, anche se sembra impossibile, quello del “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi….”, per citare Blade Runner.

Basta scorrere i bollettini di guerra stilati giorno dopo giorno dalle pagine locali dei quotidiani e dalla free press per dovere di cronaca, bollettini che elencano puntigliosamente i morti (è un’iperbole), le decine e decine di bus e filobus fermi a lato delle strade e nei depositi, di impianti di aria condizionata esausti, di stazioni della metropolitana chiuse, di scale mobili che non funzionano, di polveri sottili nelle gallerie che avvelenano i passeggeri. E i feriti (feriti veri), i malcapitati viaggiatori colpiti da malore per l’afa e l’affollamento soccorsi ogni giorno. Basta leggere sull’account twitter dell’Atac, l’azienda di trasporto pubblico di Roma, i commenti, disperati o amaramente ironici e scettici come solo i romani possono essere, di chi è costretto a prendere il bus o la metro perché non ha alternative.

Con la fine dell’anno scolastico il servizio, che già definire discontinuo sarebbe un eufemismo, si è rarefatto fino a trasformarsi in un miraggio, non solo nei quartieri periferici ma anche nelle zone semicentrali: l’inefficienza di Atac è come la livella di Totò, non fa distinzioni tra ricchi e poveri. Un autobus che passa ogni 40-50 minuti, a volte addirittura ogni ora, senza orario stabilito, non è un servizio di trasporto pubblico urbano e neppure extraurbano, è una riffa.

Così migliaia di romani si sottopongono ogni giorno, nel caldo torrido, a estenuanti attese sotto il sole, gettando alle ortiche ore preziose della propria vita. Non sarà che l’Atac confonde il servizio di trasporto scolastico, che chiude con le scuole e manda in vacanza gli autisti insieme agli studenti, con il servizio urbano, quello che c’è tutto l’anno, utilizzato da chi lavora, si sposta per necessità?

Per non parlare dei turisti, che dopo 40-50 minuti di attesa, si guardano intorno smarriti e ti chiedono se la fermata è quella giusta o se hanno sbagliato qualcosa. Quanti di loro torneranno una seconda volta in questo deserto?

Poi è arrivato il caldo, difficile sostenere che d’estate sia un evento meteorologico inaspettato, e gli impianti di aria condizionata degli autobus sono andati in tilt, a centinaia: chi scrive su 300 mezzi ogni giorno, chi su 200, chi conteggia 640 bus in servizio contro i 1.300 previsti. Durante le ore calde, queste le direttive dell’azienda agli autisti, i bus privi di condizionamento non possono circolare ma dopo le 18 sì. Qui si è innestata la protesta dei sindacati: USB e Orsa Tpl hanno proclamato l’ennesimo, inutile, sciopero il 25 giugno. Un’altra offesa al povero utente romano.

Nelle stazioni della metro le scale mobili e gli ascensori si erano già rotti prima del caldo, quelle della fermata Repubblica addirittura lo scorso ottobre: fanno 8 mesi tondi di chiusura, con i prevedibili effetti anche sul commercio della zona. Poi si sono aggiunte le fermate Barberini e Spagna, centro città non raggiungibile. Uno dei bollettini degli ultimi giorni scriveva di 17 scale mobili su 27 non funzionanti sulla Metro A (63%), 16 su 26 sulla Metro B (62%) e 4 su 22 sulla Metro C (18%, ma aperta appena cinque anni fa). In quale altra capitale europea potrebbero accadere disservizi di questa portata senza che scattasse l’assalto al Comune?

“A San Siro, al concerto di Vasco Rossi: deflusso dallo stadio fantastico. Tram e taxi ovunque, metro aperta con corsa ogni due minuti. Nessuna fila. La civiltà,” così resocontava in diretta il trasporto pubblico meneghino un amico romano in trasferta a Milano qualche notte fa, un fan del Blasco. Ecco, Milano è la civiltà, Roma il sottosviluppo.

Quanto ancora dovranno aspettare Roma e i romani prima che chi governa si decida a intervenire? Se non è emergenza questa.

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