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Brexit: c’è l’accordo. Ma agli alleati di Johnson non piace

L’accordo sulla Brexit c’è. Dopo oltre 2 anni dal referendum popolare che aveva decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, tra colpi di scena, ribaltoni e cambi ai vertici istituzionali inaspettati, le parti hanno finalmente trovato un accordo. Lo annuncia il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker in un tweet: “Dove c’è volontà c’è accordo e noi lo abbiamo”, scrive sul social dove sottolinea che l’accordo è “bilanciato ed equo per l’Ue e Gb e testimonia il nostro impegno a trovare soluzioni. Raccomando che il Consiglio Europeo faccia sua l’intesa”.

La conferma arriva anche dalla controparte: così il premier conservatore britannico Boris Johnson , sempre cinguettando su Twitter, si affretta a far sapere al Regno Unito che “Abbiamo un grande nuovo accordo – sottolinea Johnson -, che ci restituirà il controllo” del nostro Paese. “Ora il Parlamento deve lasciare che la Brexit sia fatta”, prosegue, confermando che il voto di Westminster vi sarà sabato durante una seduta straordinaria. “#GetBrexitDone”, conclude il primo ministro con un suo slogan.

Il tweet di Johnson è stato diffuso mentre il primo ministro lasciava Downing Street da un’uscita posteriore, in partenza verso Bruxelles dove è previsto che si rivolga ai leader dei 27 Paesi Ue prima del Consiglio Europeo al via nel pomeriggio. Nel breve messaggio, BoJo incoraggia il Parlamento britannico a dare il via libera all’intesa in modo che il Regno possa poi “muoversi – scrive – per affrontare le altre sue priorità, come il costo della vita, l’Nhs (sanità pubblica), la criminalità violenta e l’ambiente”.

A minare il clima di serenità, tuttavia, il malcontento manifestato dagli alleati di Johnson: gli unionisti nordirlandesi del Dup – alleati del governo Tory di Boris Johnson nel Parlamento britannico – non sembrerebbero essere soddisfatti dell’accordo. Le loro riserve restano valide anche dopo l’annuncio dell’accordo sulla Brexit arrivato da Bruxelles e da Londra. “La nostra precedente dichiarazione – si legge in una breve nota – resta valida in risposta alla notizia che un deal è stato raggiunto”.

Negative, quanto scontate, anche le prime reazione delle leadership dei maggiori partiti di opposizione, dal Labour di Jeremy Corbyn ai LibDem di Jo Swinson. “L’accordo negoziato dal primo ministro” Boris Johnson sulla Brexit “sembra persino peggiore di quello di Theresa May, già rigettato a valanga” dal Parlamento, afferma il leader laburista Corbyn, nell’annunciare il suo no all’intesa. “Queste proposte rischiano d’innescare una corsa al ribasso su diritti e tutele”, sono “un accordo-svendita che non riunifica il Paese e che deve essere respinto”. Poi il riferimento a un referendum bis: “il miglior modo di risolvere la Brexit è ora ridare la parola al popolo per un voto finale”. E ancora: “se Johnson avrà o meno la maggioranza lo vedremo sabato al voto a Westminster, ma al momento sembra che non abbia il sostegno dei suoi alleati, tra cui il Dup, e noi non sosteniamo questo a accordo”: così il leader Labour Jeremy Corbyn commenta con i giornalisti a Bruxelles i futuri passi politici nel Regno Unito dopo l’intesa raggiunta sulla Brexit. “Vedremo che accadrà sabato e se non passa l’accordo Johnson dovrà chiedere l’estensione”, ha aggiunto Corbyn.

Ma Johnson non commenta il malcontento e rilascia alcune anticipazioni via tweet “l’antidemocratico backstop è stato abolito”, scrive con riferimento al punto cruciale di novità contenuto nel protocollo che modifica l’accordo fra Londra e Bruxelles sulla Brexit. Al posto del backstop vi sarà un meccanismo a tempo a garanzia del confine aperto irlandese, scrive Johnson, che più tardi terrà uno statement a Bruxelles. Un meccanismo a cui il popolo dell’Irlanda del Nord “potrà mettere fine” dopo 4 anni con un voto a maggioranza assoluta del parlamento locale.

E l’Europa è più che positiva sulla riuscita dell’accordo. “Abbiamo ottenuto insieme un risultato giusto e ragionevole”, afferma il capo negoziatore dell’Ue Michel Barnier presentando l’accordo di recesso col Regno Unito. “Gran parte di questo accordo” è quello già presentato nel 2018, “c’è qualche elemento nuovo sull’isola d’Irlanda e sulla dichiarazione politica”, per questo penso che ci possa essere il margine affinché sia “sostenuto e ratificato” nel tempo che ci separa dal 31 ottobre.

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