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I mall americani come cimiteri: chiuderanno 12 mila negozi

Si dice spesso che per sapere come sarà il futuro bisogna guardare agli Usa. In effetti è da lì che arrivano molte innovazioni e molti trend. Negli ultimi anni il numero dei negozi fisici e dei centri commerciali negli Usa è andato tendenzialmente diminuendo. A causa dell’eCommerce ma anche per una offerta che ha superato la domanda. Secondo una ricerca pubblicata da Coresight Research, nel 2019 il numero dei negozi chiusi negli Usa e Regno Unito ha già superato il totale del 2018 e viene stimato che da qui alla fine dell’anno si raggiungerà il record di 12 mila chiusure. Finora la quota è di 8.567 negozi chiusi negli Usa e 431 nel Regno Unito. Nella lista ci sono anche brand la cui chiusura ha fatto clamore: Forever 21, Barneys e il marchio di lingerie Victoria’s Secrets.

Una patina di polvere che blocca ogni elemento in fermo immagine, la natura che si appropria delle vetrine, le scale mobili ferme, magari ricoperte dalla neve che cade da quello che una volta era il lucernario del centro commerciale. Sono alcuni elementi che compongono le fotografie di Seph Lawless nel suo libro interamente dedicato alla decadenza dei grandi mall americani. Ritraendo proprio questo: la crisi del retail che ha investito gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni. Una crisi che anche noi dobbiamo tenere d’occhio, se è vero che ciò che accade oggi negli Usa, un giorno, sicuramente, arriverà anche da noi.

Già un rapporto di Credit Suisse del 2017 aveva previsto che nel settore della grande distribuzione ci sarebbe stato un declino inesorabile causato dal boom dell’eCommerce: secondo la banca svizzera il commercio elettronico coprirà da qui al 2030 il 37% delle vendite totali nel settore dell’abbigliamento. I centri commerciali – quelli che non chiuderanno – si svuoteranno di punti vendita di beauty e abbigliamento. Resteranno sono ristoranti, intrattenimento e negozi di arredamento. Credit Suisse aveva previsto che dei 1.100 centri commerciali negli Usa ne verranno chiusi 400 nei prossimi anni: una grande sfilza di “non-luoghi” che se non verranno riqualificati diventeranno ostaggio della natura e dell’abbandono, proprio come nelle fotografie di Lawless.

Coresight Research ha pubblicato la lista di tutte le chiusure di quest’anno e quello che salta subito all’occhio è che a pagare le spese della crisi del retail sono soprattutto le grandi catene di abbigliamento. Quelle davanti alle cui vetrine nei primi anni 2000 si faceva la fila per entrare e magari farsi una foto con il modello a torso nudo, oggi hanno le saracinesche chiuse e dichiarano bancarotta. Abercrombie & Fitch è in effetti l’emblema di come un brand possa raffreddarsi in modo incredibile passando dall’essere un marchio ambitissimo a un’azienda che nel 2019 ha dovuto chiudere 40 punti vendita, inclusi alcuni enormi flagship store, e di dover ridurre lo spazio nei negozi esistenti per poter restare a galla.

Per quanto riguarda le 50 chiusure forzate di Victoria’s Secret, poi, non è solo l’eCommerce ad aver quasi annientato il brand di lingerie sexy. I tempi sono cambiati, le donne lavorano e non hanno tempo di trascorrere il loro tempo a cercare di raggiungere la perfezione propugnata dagli “angeli”, le modelle ambasciatrici del brand: preferiscono la comodità e marchi che trasmettano messaggi “body-positive” invece della ricerca ossessiva di una perfezione da manichino.

Victoria's Secrets
Uno show di Victoria’s Secrets

Oltre ai gusti, i millennials hanno stravolto anche il modo di fare acquisti, frequentando sempre di più i negozi online. Forever 21 ne sa qualcosa: quello che una volta era il paradiso delle ventenni (il nome stesso del brand ammiccava proprio a loro: a tutti quelli che volevano essere “forever young”, che volevano avere 21 anni per sempre) oggi ha dichiarato bancarotta. La sua filosofia di prezzi bassissimi e un’offerta che si rinnovava sempre sembra aver stancato i giovani che non riescono più ad acquistare maglie a cinque dollari senza chiedersi che impatto abbiano sul pianeta. Negli Usa Forever 21 ha chiuso 178 punti vendita, una strage che copre più di un terzo del numero totale di negozi. Peggio è andata a Gap, che una volta era il punto di riferimento dei teen: bei tempi. Negli ultimi due anni ha chiuso oltre 230 negozi.

Le catene di lusso non sono escluse dalla crisi. Barneys New York, lussuosa catena di department store (quello di Madison Avenue si vede anche in molti film), conosciuto per la sua scelta di brand d’eccellenza e per le sue impressionanti vetrine ha dichiarato bancarotta in estate e sta procedendo alla chiusura della metà dei suoi punti vendita. Salvo, per ora, lo store al centro della grande mela, aperto nel 1923, dove sembra che sulle vetrine sia apparso lo slogan “Barneys till I die”, Barneys fino alla morte, in risposta ai titoli di giornale che ne avevano decretato la morte prematura. Macy’s, che era il simbolo dello shopping pre-natalizio newyorkese, ha dovuto chiudere quattro punti vendita, che si aggiungono ai 12 già chiusi nel 2018.

Il problema delle chiusure resta quello dei lavoratori lasciati a casa. Secondo il Time, dal 2002, le chiusure dei centri commerciali hanno lasciato a casa 448 mila lavoratori e la crescita dei negozi online non sembra averli “riassorbiti”: negli ultimi 15 anni sono stati creati 178 mila posti di lavoro, molti dei quali nel campo della distribuzione (pensiamo ai fattorini Amazon).

Immagine tratta dall’account Instagram di Seph Lawless @sephlawless

Sessant’anni fa il centro commerciale americano era la nuova cattedrale medioevale, un posto dove le persone si ritrovavano per parlare, incontrarsi e fare la foto di famiglia sotto Natale, dove si trovava il primo lavoro e dove si portava la fidanzata alla prima uscita. Oggi molti di quei luoghi sono cimiteri del consumo e i centri commerciali che stanno spuntando come funghi in molte città italiane potrebbero fare la stessa fine.

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