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Bentivogli: scudo penale Ilva per trattare con ArcelorMittal

“Taranto potrebbe essere il più grande piano di sostenibilità a livello europeo e invece è stato battuto dalla demagogia italiana”. Sulla ex Ilva Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl, ha le idee chiare: “Il Governo ha fatto un vero e proprio pasticcio votando l’abolizione dello scudo penale per ArcelorMittal. Va rimesso assolutamente”. Intanto, domani 15 novembre, si terrà un tavolo al ministero dello Sviluppo Economico tra i sindacati e la multinazionale franco-indiana.

Bentivogli, come si salva l’ex Ilva? Al momento, stando a quanto annunciato dal gruppo, potrebbe finire tutto a gennaio 2020.

“L’ex llva si salva semplicemente mantenendo gli impegni presi con l’accordo del 6 settembre 2018, quello che non prevede esuberi ma una progressiva bonifica dell’area e tecnologie più avanzate per l’area a caldo, che è quella che produce gli idrocarburi policiclici aromatici e le diossine ed è anche quella su cui si discute maggiormente”.

In questo modo non si rischia di cedere al ricatto di Arcelor Mittal, che vuole lo scudo penale e anche la possibilità di fare 5 mila esuberi (che si sommano ai 1700 lavoratori in cassa integrazione ad oggi presenti nell’ex Ilva)?

“Quando fai un negoziato con altre parti sociali devi eliminare la possibilità che la controparte abbia degli alibi. Devi essere più intelligente e sottrarre, in questo caso a ArcelorMittal, la questione dello scudo penale. Perché dobbiamo anche metterci nei panni dell’imprenditore: se deve acquistare una fabbrica per un costo di 1 miliardo e 800 milioni e deve anche bonificarla, rischiando per di più dal punto di vista penale, allora perché mai dovrebbe comprarla? L’azienda esercita le sue prerogative, se la si mette nella condizione di farlo”.

Quindi, se diamo a ArcelorMittal lo scudo penale poi loro si comprano l’ex Ilva?

“No, lo scudo penale è una condizione necessaria per contrattare ma non sufficiente. Per il contrattualista bisogna praticare condizioni necessarie per arrivare a quelle sufficienti. La strada della contrattazione è assolutamente fattibile. Ma non va fatto l’errore, che mi pare in molti facciano, di immaginare di risolvere la questione ambientale chiudendo la fabbrica. Si può bonificare senza perdere posti di lavoro”.

E come si fa?

“Ci sono siti di interesse nazionale (Sin) in Italia che hanno al loro interno fabbriche chiuse non sono più state bonificate. Noi della Fim Cisl diciamo, invece, che l’imprenditore si deve prendere la responsabilità della bonifica e con l’impianto in marcia deve riqualificare industrialmente con le nuove tecnologie il sito. Questa cosa è successa a Linz, in Austria, e anche in Corea. Ma qui in Italia sembra una cosa impossibile da fare. Per esempio, sull’ex Ilva uno dei problemi è la questione degli altiforni: la magistratura ha chiesto di sequestrare il 2, che andrebbe ricostruito perché ha una tecnologia ormai superata. Nel frattempo, l’altoforno 3 è dismesso, il 5 – che sarebbe anche il più grande d’Europa – è fermo. Gli unici attivi sono l’1, il 2 appunto e il 4. Però anche l’1 e il 4 hanno la stessa tecnologia del 2, quindi anche quelli andrebbero ricostruiti e quindi cosa vuol dire, che li chiudi? Su questo Arcelor Mittal vuole delle garanzie perché non può scoprire un giorno alla volta se deve chiudere anche quegli altiforni”.

Sembra una situazione senza via d’uscita…

“In realtà no, il problema è tuttavia che siamo un paese che nella conciliazione tra parti sociali è molto arretrato. La verità è che, per come è stata gestita la partita sull’ex Ilva, questo è paese in guerra con sé stesso”.

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