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Coronavirus, le banche hanno perso il 14% del loro valore in Borsa

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Dallo scoppio dell’emergenza sanitaria per il coronavirus Covid-19, le banche dell’area Euro hanno perso in Borsa il 15% del loro valore. Le italiane sono sullo stesso livello: secondo un report di Goldman Sachs hanno perso il 14%, hanno azzerato i guadagni di un mese intero e, insieme a lusso e risparmio gestito, rappresentano il settore più colpito da un’emergenza che ha già ridimensionato fortemente le stime sulla crescita italiana, europea e mondiale.

Nella seduta di ieri, i titoli bancari sono andati di nuovo ko, con il Ftse Mib in picchiata, di nuovo sotto i 22mila punti (-2,5%). La peggiore è stata Banco Bpm, che ha perso l’8,5% alla vigilia della presentazione del nuovo piano. In forte ribasso anche Bper (-6,5%), Ubi banca (-6%), Unicredit (-6%), Mediobanca (-4,7%) e Intesa Sp, che perde il 4%. Oggi le Borse sembrano in leggera ripresa, perlomeno in apertura: nei primi minuti di scambi, il Ftse Mib registra +1,50% a 21.982,22 punti base. Anche nel Vecchio Continente le altre piazze europee aprono tutte con il segno positivo. Chiusura record invece per Wall Street, con il Dow Jones che ha guadagnato il 5,09% e il Nasdaq che ha chiuso gli scambi con un +4,49%.

I motivi della tensione sono diversi, anche antecedenti all’emergenza coronavirus. Innanzitutto, gli scenari di pesante recessione dell’Italia, già in stagnazione da alcuni trimestri, potrebbero compromettere ulteriormente i già risicati margini dell’attività bancaria, con lo stop agli investimenti dei privati e delle grandi e piccole imprese. In una settimana, lo spread tra Btp e Bund tedeschi è salito di oltre 50 punti base: da una media di 133 punti precedenti l’emergenza, è arrivato ai 185 punti di ieri (mentre oggi ha aperto a +174). I rendimenti del decennale sono saliti di gran lunga sopra il punto percentuale. A lungo andare, l’aumento dello spread può ridurre il valore dei Titoli di Stato che gli istituti tengono nei loro portafogli di asset, erodendone il capitale. Secondo Moody’s, tuttavia, non è questo lo scenario più a breve termine. “È improbabile – sottolineano gli analisti dell’agenzia di rating – che l’impatto immediato sulle banche italiane dell’epidemia di coronavirus vada oltre l’inconveniente operativo”.

Moody’s insomma non si aspetta che l’epidemia, nella sua forma attuale, possa influire materialmente sul capitale del settore e sulle riserve di liquidità. Ma se l’epidemia si trasformasse in una pandemia, il discorso sarebbe diverso. Nuovi, pesanti, crolli in Borsa a livello globale e il rialzo dei rendimenti su tutto il settore obbligazionario minerebbero anche il sentiment degli investitori, aumentando i costi di finanziamento per le emissioni bancarie. In questo caso, diventerebbe più difficile procacciare liquidità sul mercato o rifinanziare il proprio debito. Allo stesso tempo, non è escluso che possa iniziare a riproporsi il problema delle sofferenze creditizie. Circa il 40% delle filiali bancarie italiane, fa notare sempre Moody’s in un report, si trova nelle tre regioni interessate, con la Lombardia che rappresenta il 20% e Veneto ed Emilia Romagna il 10% ciascuna. Le banche più piccole nel Nord Italia come la Banca Popolare di Sondrio, il Credito Valtellinese, il Gruppo Cassa Centrale, la banca cooperativa Raiffeisen e il Mediocredito del Trentino-Alto Adige hanno portafogli di prestiti molto concentrati nella loro regione. Cosa che le rende più vulnerabili a shock locali. Un rallentamento generalizzato dell’attività economica potrebbe portare a un deterioramento della qualità degli attivi, riportando crescenti flussi in ingresso di crediti deteriorati.

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